Il Tiziano mai visto. La fuga in Egitto e la grande pittura veneta

Tiziano, Fuga in Egitto, olio su tela, 206x336 cm

Il Tiziano mai visto. La fuga in Egitto e la grande pittura veneta, Gallerie dell'Accademia, Venezia

 

Dal 29 Agosto 2012 al 09 Dicembre 2012

Venezia

Luogo: Gallerie dell'Accademia

Indirizzo: Campo della Carità 1050

Orari: lunedì 8.15-14; da martedì a domenica 8.15-19.15

Enti promotori:

  • Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico
  • artistico e etnoantropologico e per il Polo museale della città di Venezia
  • comuni della Gronda lagunare
  • Museo Statale Ermitage
  • Comune di Venezia
  • Fondazione Musei Civici di Venezia
  • National Gallery di Londra
  • Fondazione Ermitage Italia

Costo del biglietto: intero € 11, ridotto € 8

Telefono per informazioni: +39 041 5904893 - 335 7185874

E-Mail info: a.lacchin@villaggioglobale.191.it

Sito ufficiale: http://www.gallerieaccademia.org


Ci sono voluti 12 anni di restauri accurati da parte dell’Ermitage per far riemergere
i colori, la luce, i particolari, la forza rivoluzionaria dell’opera con cui tiziano
nel 1507 “scopre” la natura in pittura; ed è stato necessario un accordo internazionale
tra il Museo Statale Ermitage, la Soprintendenza per il Patrimonio storico,
artistico e etnoantropologico e per il Polo museale della città di Venezia e dei comuni
della Gronda lagunare, la National Gallery di Londra e la Fondazione Ermitage
Italia per consentire che quest’opera, imponente per dimensioni (204 × 324 cm)
e sconcertante per la vitalità del paesaggio, potesse tornare – dopo quasi 250
anni – in Italia, nella sua Venezia, in un’esposizione irripetibile dal 29 agosto al 2
dicembre 2012.
Esposta a Londra subito dopo il restauro, la Fuga in Egitto – che a ragione può
considerarsi il primo capolavoro di Tiziano – giungerà direttamente dall’Inghilterra
alle Gallerie dell’Accademia, dove sarà il fulcro di una mostra preziosissima
che avvicina al dipinto circa venti opere dei grandi maestri veneti che, tra
la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, hanno contribuito a innovare
lo sguardo sulla natura (Bellini, Giorgione, Sebastiano del Piombo, Lotto, ecc.),
per poi rientrare all’Ermitage da dove, hanno già annunciato, sarà impossibile
possa allontanarsi in futuro.
un’occasione irripetibile per ammirare il grandioso paesaggio, eccezionale
se non unico, non solo nel panorama della pittura veneziana degli inizi del xvi
secolo – realizzato nel formato del tradizionale telero – ma di tutta la pittura
italiana del tempo e per cogliere, grazie alle suggestioni e ai confronti proposti nella
mostra curata da giuseppe pavanello e irina artemieva, l’elemento specifico e
innovativo della visione paesistica di Tiziano, la sua natura “fremente” e vitale
che diventa tutt’uno con la figura umana, grazie alla pittura: colore, luce,
ombra, atmosfera.
Promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico, artistico e etnoantropologico
e per il Polo museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda
lagunare, dal Museo Statale Ermitage, dal Comune di Venezia e dalla Fondazione
Musei Civici di Venezia, in collaborazione con la National Gallery di Londra e con
la Fondazione Ermitage Italia, l’esposizione alle Gallerie dell’Accademia, prodotta
da Venezia Accademia e Villaggio Globale International (catalogo Marsilio), entra
dunque nel vivo del nuovo modo di intendere il paesaggio e il rapporto
tra uomo e natura (una delle invenzioni più straordinarie di tutta la storia dell’arte
veneta) non solo grazie al capolavoro tizianesco, che ha lasciato per la prima
volta la russia dal 1768, ma in forza anche delle sceltissime opere che nell’occasione gli verranno affiancate: dall’Allegoria sacra (ora agli Uffizi) di Giovanni Bellini
alla Tempesta e al Tramonto di Giorgione, rispettivamente delle Gallerie dell’Accademia
di Venezia e della National Gallery di Londra; dal San Girolamo di Cima da Conegliano
della Galleria Palatina, all’analogo soggetto raffigurato da Lorenzo Lotto e
prestato da Castel Sant’Angelo; dalla Nascita e dalla Morte di Adone di Sebastiano del
Piombo (Museo Civico Amedeo Lia, La Spezia) fino alla Fuga in Egitto di Albrecht
Dürer e ai trittici di Santa Liberata e degli Eremiti di Hieronymus Bosch.
In sequenza e a confronto maestri veneziani e maestri oltremontani, in un contrappunto
da cui emergono le rispettive personalità, in modo da offrire al visitatore opportunità
uniche e singolari di comprensione di un passaggio cruciale della pittura
rinascimentale.
Vasari ci racconta che Tiziano, nel 1507 – lo stesso anno in cui realizza la Fuga in
Egitto per Andrea Loredan e il suo nuovo palazzo sul Canal Grande, Ca’ Loredan
Vendramin Calergi – lascia la bottega di Giovanni Bellini per quella di Giorgione.
Le esperienze cui attinge il giovanissimo pittore sono straordinarie: in quegli anni
venezia diventa infatti il luogo d’elezione per l’elaborazione della rappresentazione
del paesaggio in senso moderno, non più sfondo ma “specchio
del corpo vivente della natura” e Bellini prima, Giorgione poi sono tra i protagonisti
indiscussi di questa avventura.
Il rapporto tra la figura e l’ambientazione paesistica è un problema che accomunerà,
pur nella differenza degli esiti conseguiti, diverse generazioni d’artisti, fin da quando
un nuovo sentimento della natura viene manifestandosi proprio nell’opera di Giovanni
Bellini, che si mostra capace di illustrare la serena bellezza del creato nella sue
variazioni temporali.
Un dipinto come l’Allegoria sacra degli Uffizi con figure di santi nel paesaggio – cui
viene accostato in mostra il San Gerolamo di Cima da Conegliano – è un esempio
di questo nuovo sentire che si esplicita anche nei soggetti sacri e che troverà approfondimenti
decisivi nell’opera di Giorgione, nel cosiddetto Tramonto della National
Gallery di Londra, carico di misteri e di enigmi come tutta la pittura del Maestro di
Castelfranco e come la natura stessa.
Quella che era una semplice componente prende qui il sopravvento e trasforma il
quadro quasi in paesaggio puro: una composizione in cui le figurette dei personaggi
sacri sono davvero inglobate e partecipano al vasto respiro della natura.
È un annuncio della Tempesta dello stesso autore (presente nel percorso espositivo
insieme alla giovanile Madonna dell’Ermitage) indicata da sempre come l’opera che
apre una fase nuova non solo del fare pittorico ma una Weltanschauung con riflessi
ed esiti di particolare rilievo soprattutto nell’attività giovanile di Tiziano e dei giovani
contemporanei.
Se in Bellini – come già aveva scritto Mariuz – «i personaggi si accampano monumentali,
per cui la natura sembra farsi abside e altare e accogliere icone viventi», in
Giorgione il paesaggio e l’elemento atmosferico colti grazie all’osservazione diretta,
divengono assoluti protagonisti.
È un’iniezione di nuova linfa nella pittura veneta e rinascimentale, che s’insinua e
corre profonda.
Partecipe di questa sensibilità, sia pure su un altro fronte, è anche l’esordiente Lorenzo
Lotto alter ego di Giorgione e del giovane Tiziano, sperimentatore anch’egli
del tema paesaggistico. Proprio nella raffigurazione del San Girolamo penitente di
Castel Sant’Angelo – altra opera in mostra esemplare di questi cruciali quindici anni
– Lotto trova esiti diversi, fino a costituire un’alternativa personalissima. Così come
originalissima e altrettanto fondamentale per l’elaborazione del tempo appare la
soluzione paesistica, visionaria e metamorfica, di Hieronymus Bosch nelle sue opere
veneziane: quasi un contraltare al senso della natura arcadico e classicheggiante dei
veneziani.
Sarà tuttavia Tiziano a portare a compimento lo sviluppo del percorso intrapreso da
Bellini e rivoluzionato da Giorgione, grazie anche alle suggestioni del grande incisore
e disegnatore di Norimberga, Albrecht Dürer, che è a Venezia prima del 1498 e
poi, per un intero anno, dal 1505 agli inizi del 1507.
Il giovane cadorino introduce nel paesaggio di Giorgione – pur in una composizione
dall’impianto ancora tradizionale come è, nonostante tutto, La fuga in Egitto – il
vasto fremito del bosco, la varietà delle sue forme, la sua animazione impetuosa.
tiziano trae dalla stampe di dürer il rapporto pulsante tra le figure e
l’ambiente, convertendolo in pittura.
La sua diventa così una natura viva e vitale, con una freschezza d’osservazione e una
libertà di resa che sembrano escludere il riferimento a qualsiasi schema precostituito;
una natura nella quale è possibile calare le passioni e i sentimenti degli uomini.
La straordinaria opera realizzata per il Loredan, ampia finestra sul mondo naturale
che aveva colpito anche l’immaginazione di Vasari, riconsegnata grazie al restauro al
suo ruolo di capolavoro del Rinascimento, è la prima grandiosa affermazione
di questa originalità tizianesca, della sua capacità cioè di trasformare in pura
pittura un’innovativa e sbalorditiva interpretazione della natura.
Tiziano nel realizzare questo telero stava per osare addirittura qualcosa in più, innovando
completamente il rapporto tra figure e paesaggio anche nella composizione:
i raggi x a cui è stato sottoposto il dipinto, presso i laboratori del Museo Statale
Ermitage, hanno infatti rivelato sorprendentemente che l’autore aveva inizialmente
abbozzato un diverso soggetto – un’Adorazione, ben visibile sotto lo strato pittorico
– collocando nel centro della tela tre figure di dimensioni ridotte rispetto a quelle
poi dipinte nella Fuga.
Non è chiaro quale sia il motivo che ha spinto il pittore ad abbandonare l’idea
iniziale, scegliendo un altro soggetto, per altro ben poco presente nella tradizione
della pittura veneta, né cosa abbia indotto Tiziano ad adottare una più tradizionale
impostazione delle figure, ma una scintilla era ormai scattata.
Quella spettacolare ambientazione boschiva di dimensioni impensabili, il ruscello
dalla pennellata grumosa, i molti animali che animano la tela «i quali ritrasse dal
vivo – come scrisse Vasari – e sono veramente naturali e quasi vivi» rivelano una
personalità unica e danno inizio a una nuova stagione.


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