Tesori dei Moghul e dei Maharaja. La Collezione Al Thani
Dal 09 Settembre 2017 al 03 Gennaio 2018
Venezia
Luogo: Palazzo Ducale
Indirizzo: San Marco 1
Orari: Fino al 31 Ott 8.30 - 19 | Dal 1° Nov 8.30 - 17.30 | La biglietteria chiude un’ora prima
Enti promotori:
- Fondazione Musei Civici di Venezia
Costo del biglietto: Musei di Piazza San Marco: Intero 20 € | Ridotto 13 € | Gratuito: Residenti e nati nel Comune di Venezia; Membri I.C.O.M.; Bambini da 0 a 5 anni; Portatori di handicap con accompagnatore; Guide turistiche abilitate e interpreti turistici che accompagnino gruppi o visitatori individuali, per ogni gruppo di almeno 15 persone 1 ingresso gratuito (solo con prenotazione); Docenti accompagnatori di gruppi scolastici, fino ad un massimo di 2 per gruppo e altre categorie secondo normativa
Telefono per informazioni: 848 082 000
E-Mail info: info@fmcvenezia.it
Sito ufficiale: http://www.palazzoducale.visitmuve.it
Arriva a Venezia, per la prima volta in Italia, la prestigiosa e celebre mostra dedicata alle gemme e ai gioielli indiani, dal XVI al XX secolo, appartenenti alla Collezione Al Thani.
Oltre 270 oggetti esposti a Palazzo Ducale ci raccontano cinquecento anni di storia dell’arte orafa legata, per origine o
ispirazione, al subcontinente indiano.
Gemme splendenti, pietre preziose, antichi e leggendari gioielli, accanto a creazioni contemporanee ci conducono in un viaggio attraverso cinque secoli di pura bellezza e indiscussa maestria artigiana, specchio della gloriosa tradizione indiana:
dai discendenti di Gengis Khan e Tamerlano ai grandi maharaja che, nel XX secolo, commissionarono alle celebri maison europee gioielli d’inarrivabile bellezza e straordinaria modernità.
Fin dall’antichità l’India è stata una terra ricca di pietre preziose e patria di una tradizione orafa di estrema raffinatezza. Qui gemme e gioielli sono parte integrante dell’abbigliamento e dello stile di vita quotidiano. L’impareggiabile qualità dei
diamanti di Golconda, gli spinelli - pietre preziose simili a rubini - del Badakhshan, le spettacolari tonalità degli zaffiri del Kashmir resero celebre l’Asia meridionale, dove confluivano anche i rubini di Ceylon (l’attuale Sri Lanka) e della Birmania
(l’attuale Myanmar), e le perle del Golfo Persico.
Così quando i Moghul assursero al potere, nel XVI secolo, i loro maestri gioiellieri elevarono l’oreficeria a vera e propria forma d’arte.
Promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia, nella cornice suggestiva di Palazzo Ducale, la mostra Tesori dei Moghul e dei maharaja: la Collezione Al Thani offre l’opportunità al pubblico italiano di ammirare per la prima volta quasi trecento
pezzi provenienti dalla preziosa collezione creata da Sua Altezza lo sceicco Hamad bin Abdullah Al Thani, membro della famiglia reale del Qatar.
In India, i gioielli rappresentano qualcosa di più di un semplice ornamento. Ogni gemma ha un suo significato particolare nell’ordine cosmico o le viene attribuito un carattere propiziatorio. Nella cultura popolare, alcuni tipi di gioielli riflettono il
rango, la casta, la terra d’origine, lo stato civile o la ricchezza di chi li indossa.
Metalli e gemme preziose, del resto, venivano utilizzati anche nell’arredamento degli ambienti di corte, nella confezione degli abiti cerimoniali, delle armi e del mobilio.
La mostra di Venezia rappresenta un incredibile viaggio nell’universo dell’oreficeria indiana dal XVI secolo ai nostri giorni. Il percorso è scandito da alcune pietre miliari di un’arte che non ha mai smesso di colpire e affascinare lo spirito occidentale, alimentando un immaginario popolato da sovrani e divinità ricoperte di gioielli.
Curata da Amin Jaffer, conservatore capo della Collezione Al Thani e da Gian Carlo Calza, insigne studioso di arte dell’Estremo Oriente, con la direzione scientifica di Gabriella Belli, la mostra condurrà il pubblico alla conoscenza di leggendari gioielli indiani e diamanti carichi di storia, espressione di un gusto artistico raffinato e di un perfetto dominio della tecnica.
Il punto di partenza storico della mostra è lo stile di corte dei Moghul (1526-1858) la dinastia timuride fondata all’indomani della conquista di gran parte dell’India settentrionale per mano di Babur (1526). La corte Moghul divenne da subito l’epicentro di uno stile peculiare, destinato a diffondersi in tutta l’India. In particolare è ai regni del quarto e del quinto imperatore Moghul che si deve la cosiddetta età dell’oro, durante la quale i gioiellieri crearono opere meravigliose che con gemme di qualità eccezionale fondevano arte e cultura d’Oriente e Occidente.
Con il declino del regno, seguito da un periodo d’instabilità politica e dal colonialismo britannico di metà del Settecento, la committenza dell’alta gioielleria passò ai governanti degli Stati sorti sulle ceneri dell’impero Moghul: fossero essi maharaja, nawab o nizam. Ricchi e dai gusti sempre più occidentalizzati, furono loro a commissionare lavori a rinomate maison europee, prima fra tutte Cartier. È così che instillarono nuova vita nella gioielleria: antiche gemme montate in composizioni moderne e la creazione di un nuovo stile, frutto dell’incontro tra le tradizioni indiane e la cultura orafa dell’Occidente.
LA MOSTRA E LE SEZIONI
La mostra proposta con un allestimento scenografico di particolare effetto, si apre con una panoramica di tesori dei Moghul, in particolare incentrata su pietre preziose con inscrizioni reali. Il pubblico è condotto ad ammirare, attraverso i tesori della Collezione Al Thani, l’incredibile assortimento di gemme dinastiche a partire da due diamanti universalmente noti: l’Idol’s Eye (Occhio dell’idolo), il più grande diamante blu tagliato del mondo e Arcot II, uno dei due diamanti donati alla regina Charlotte - moglie del re Giorgio III (1738-1820) - da Muhammad ‘Ali Wallajah, nawab di Arcot (1717-1795): provenienti entrambi dalle leggendarie miniere di Golconda.
Questi due pezzi unici sono esposti insieme a smeraldi e spinelli in parte incisi con i nomi e i titoli dei sovrani che li possedettero. Punti focali dell’esposizione sono il gusto artistico Moghul e il suo dialogo con la cultura europea, instauratosi a partire dal Rinascimento e incentrato sul reciproco scambio di stili e tecniche. La profondità del legame tra Europa e India è attestata dall’uso frequente nella gioielleria indiana della smaltatura, una tecnica ispirata proprio all’arte delle corti rinascimentali.
La seconda sezione della mostra è dedicata ad alcuni suggestivi esemplari in giada e cristallo di rocca, due materiali molto apprezzati alla corte Moghul. Nella cultura islamica, la giada era considerata una pietra propiziatrice di vittoria e si credeva perfino rivelasse la presenza del veleno e ne contrastasse gli effetti. La Coppa per il vino dell’imperatore Jahangir, contenente un’iscrizione in versi in lingua persiana e la titolatura del monarca, è considerata la più antica giada Moghul datata. Il Pugnale di Shah Jahan (1620-1625), un capolavoro dell’arte di corte Moghul, riporta iscritti sulla lama i titoli dell’imperatore, mentre l’elsa in giada ha la forma della testa di un giovane.
Le giade indiane erano molto apprezzate anche in Cina come testimonia un’elegante coppa datata tra il 1660 e il 1680, decorata con la testa di uno stambecco e con incisa una poesia dell’imperatore Qianlong verso il tardo XVIII secolo.
I gioielli indiani sono spesso caratterizzati da una raffinata decorazione a smalto policromo e dall’uso del kundan una tecnica che consente di montare le gemme con l’oro senza il ricorso a griffe ma semplicemente avvolgendo il castone con lamine malleabili di oro puro che sviluppano un legame molecolare intorno alla pietra.
La terza sezione presenta dunque una selezione di manufatti realizzati secondo queste tecniche e provenienti da diverse regioni del subcontinente indiano. Tra questi spicca lo splendido set da scrittoio con portapenne e calamaio (Deccan o India settentrionale, 1575-1600), realizzato in oro massiccio tempestato di pietre preziose. Oggetti del genere venivano spesso utilizzati dai funzionari di alto rango per scrivere i decreti imperiali e sono raffigurati in molti dipinti. Il pezzo rappresenta attualmente un unicum, sebbene le miniature contemporanee attestino la diffusione di suppellettili del genere.
Altra meraviglia di questa sezione è l’ornamento del trono di Tipu Sultan a forma di testa di tigre, realizzato in occasione della sua ascesa al potere. In oro tempestato di gemme, il trono fu smembrato dopo l’uccisione di Tipu e la conquista di Seringapatam da parte delle forze britanniche nel 1799. Alcune parti del trono entrarono nella collezione della Famiglia reale britannica, mentre altre, tra cui questo oggetto, sono state ritrovate solo di recente.
Ancora da segnalare in questa sezione la superba collezione di oggetti a smalto verde con gemme incastonate, datati al XVIII secolo, opera delle botteghe di Hyderabad. Usati in origine nei rituali e nel cerimoniale che accompagnava le udienze
di corte, questi oggetti rappresentano oggi dei simboli dell’antica tradizione indiana
che il grande pubblico può finalmente ammirare.
Incentrata su ornamenti e simboli del potere, la quarta sezione propone un repertorio di manufatti straordinari che copre un arco cronologico dal XVII al XX secolo. L’obiettivo di questo segmento della mostra è far luce sulle manifestazioni del potere nell’ambito della corte, sia sotto l’influenza Moghul sia della Compagnia delle Indie Orientali o dell’amministrazione britannica.
I visitatori potranno apprezzare una splendida collezione di collier di diamanti e altri oggetti preziosi come la Spada del nizam di Hyderabad e il favoloso Baldacchino che faceva parte del Tappeto di perle di Baroda, commissionato dal maharaja Khanderao Gaekwad tra il 1865 e il 1870. La seta che riveste la pelle di cervo è riccamente decorata in argento, oro, vetro colorato, diamanti, rubini, zaffiri, smeraldi e circa 950.000 perle. Lo splendido oggetto era stato confezionato con l’idea di collocarlo all’interno della tomba del profeta Maometto a Medina, ma il dono non partì mai per la sua destinazione.
In questa parte della mostra - la quinta sezione - protagonista è l’Europa con una selezione di gioielli realizzati da prestigiose maison occidentali su richiesta dei principi indiani, o ispirati all’oreficeria indiana. Incanterà i visitatori la sublime piuma di pavone in smalto creata da Mellerio detto Meller (Parigi 1905) e acquistata dal maharaja Jagatjit Singh di Kapurthala.
Il girocollo di rubini disegnato da Cartier per una delle mogli del maharaja Bhupinder di Patiala attesta il gusto di quest’ultimo, un committente particolarmente importante. La sezione presenta anche altre due tra le più spettacolari realizzazioni di Cartier per il maharaja Digvijaysinhji, successore del maharaja Ranjitsinhji di Nawanagar, egli stesso esperto di pietre preziose e ottimo amico di Jacques Cartier: il meraviglioso Occhio della tigre, un diamante color oro montato a ornamento per turbante, e una splendida collana déco impreziosita dai rubini appartenenti alla collezione personale di Nawanagar.
L’esposizione si conclude con un omaggio all’arte orafa contemporanea attraverso la presentazione di gioielli indiani ed europei ispirati alla tradizione indiana. Nel suo laboratorio di Bombai, Viren Bhagat coniuga materiali e tecniche moderne con forme e motivi decorativi antichissimi. Le sue opere figurano accanto a quelle di Cartier e JAR in cui sono montate antiche gemme indiane.
I visitatori sono dunque invitati ad ammirare una magica collezione che racconta la storia di cinque secoli di design e bellezza. L’esposizione di questa raccolta di splendore inarrivabile è anche l’occasione per far luce sull’intreccio di relazioni tra la società e la cultura orientali e quelle occidentali. In India sono veramente molti i simboli, i rituali, le credenze rapportati al mondo dei gioielli.
La mostra sarà accompagnata da un prezioso catalogo Skira e da un programma di seminari e visite guidate che consentiranno al pubblico di approfondire ulteriormente la conoscenza della cultura indiana e la storia e la valenza di questi antichi gioielli.
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