To be Played - Video, immagine in movimento e videoinstallazione nella ‘generazione ottanta'
Dal 11 Ottobre 2019 al 22 Novembre 2019
Verona
Luogo: Giardino Giusti
Indirizzo: via Giardino Giusti 2
Orari: dalle 9.00 alle 19.00 (ultimo alle 18.30)
Curatori: Jessica Bianchera, Marta Ferrett
Enti promotori:
- con il patrocinio di
- Provincia di Verona
- Comune di Verona
- Accademia di Belle Arti di Verona
Costo del biglietto: intero 10 euro
Telefono per informazioni: +39 045 8034029
E-Mail info: info@giardinogiusti.com
Sito ufficiale: http://www.giardinogiusti.com
Il Giardino Giusti si fa promotore della scena culturale veronese e sceglie ArtVerona come momento inaugurale di questo nuovo percorso, partecipando al programma di progetti e iniziative che animeranno il quartiere Veronetta durante le giornate della fiera. Da sempre considerato uno degli esempi più interessanti di giardino all'italiana, con i suoi reperti romani, il maestoso viale di cipressi e un labirinto tra i più antichi d’Europa, il Giardino Giusti si apre all’arte contemporanea con la mostra “To be played - Video, immagine in movimento e videoinstallazione nella ‘generazione ottanta’”.
Introdotto nel corso degli anni Sessanta principalmente come documentazione di pratiche performative e divenuto nei Settanta linguaggio artistico autonomo, il video è uno di quei media artistici che dimostrano una stretta correlazione tra la ricerca artistica del Novecento e l’ambito dell’innovazione tecnologica. Oggi la sperimentazione sul video e l’immagine in movimento si dimostra una tra le principali protagoniste della ricerca di un nutrito gruppo di artisti che dopo aver assimilato dagli storici predecessori i tratti salienti delle possibili operatività, ne hanno fatto oggetto di una proliferazione di linguaggi che è caratteristica principale dell’epoca contemporanea.
A cura di Jessica Bianchera e Marta Ferretti, in collaborazione con ArtVerona e Careof, con il patrocinio della Provincia di Verona, del Comune di Verona e dell’Accademia di Belle Arti di Verona, la mostra presenta il lavoro di una selezione di giovani artisti che operano in maniera trasversale e con differenti approcci alle possibilità espressive, narrative e di display del video. Le recenti produzioni di Helen Dowling, Nina Fiocco, Anna Franceschini, Adelita Husni-Bey, Invernomuto, Michal Martychowiec, Elena Mazzi, Jacopo Mazzonelli, Giulio Squillacciotti e Luca Trevisani costruiscono un complesso panorama di connessioni e continui rimandi tra differenti linguaggi al confine tra il documentario, il cinema, la finzione e la sperimentazione sull'immagine in movimento. La mostra ne esplora la multiforme ricerca in relazione alle sue forme installative, in un primo e non esaustivo capitolo d’indagine sulla generazione dei nati negli anni Ottanta. Così se un’opera come Empire (2017) del giovane artista polacco Michal Martychowiec - citando lo storico film di Andy Warhol in un dialogo serrato con la storia dell’arte e allo stesso tempo introducendo una complessa riflessione sul concetto di “libertà” - si configura come tassello di una ricerca che spazia dall’installazione alla fotografia alla performance al video, un lavoro come Scala C, Interno 8 (2017) di Giulio Squillacciotti testimonia l’attenzione per un’indagine quasi antropologica condotta con un taglio e uno sguardo decisamente registici. Accostabile a queste riflessioni ma con un approccio decisamente differente è Agency giochi di potere (2014) di Adelita Husni-Bey: installazione video ispirata a un esercizio di cittadinanza di classe originariamente sviluppato nel Regno Unito e attuato nel corso di una simulazione svoltasi nell’aprile 2014 al Museo MAXXI di Roma con trentacinque studenti volontari del Liceo Manara. Sul tema della contaminazione dei linguaggi va invece sicuramente citata Dido’s lament (2017) di Jacopo Mazzonelli, in cui emerge la doppia anima di un artista/musicista e il suo interesse per il “gesto musicale”, per ciò che sta alla base dell’esecuzione rispetto al suono prodotto. L’integrazione tra video e dimensione installativa viene ben rappresentata da Le Domestique (2015) di Nina Fiocco in cui gli elementi dentro e fuori dall’immagine filmica si integrano e si completano a vicenda. Particolare attenzione è stata prestata anche nei confronti dell’utilizzo dei mezzi tecnici come strumenti che concorrono alla definizione del lavoro: ne è un esempio Something for the Ivory (2019) di Helen Dowling, che implica l’utilizzo di due tubi catodici in cui le immagini scorrono parallelamente grazie a un sincronizzatore. Nella scelta dei lavori, determinante è anche il dialogo con lo spazio, che non è stato trattato alla stregua di un semplice contenitore, ma come parte attiva del dispositivo generale della mostra. Così al centro del Salone d’Onore campeggia Wax, Relax (2011) di Invernomuto: una grotta in cera bianca di circa 5 metri che si colloca esattamente agli antipodi rispetto alla grotta reale in fondo al viale dei cipressi che taglia il giardino cinquecentesco. Qui, dove un tempo un complesso sistema di specchi, mimetizzati tra le emergenze della roccia grezza e gli inserti di conchiglie, creava suggestivi giochi di luce in base alle ore del giorno e alle stagioni, Pirolisi solare (2017) di Elena Mazzi affronta il tema della ricerca scientifica sulle fonti di energia rinnovabile partendo da un’installazione di specchi da lei realizzata per un lavoro precedente (Reflecting Venice, 2012-2014). Infine, la questione generazionale: scegliendo di operare una campionatura sui nati negli Ottanta si intende avviare un affondo critico sullo stato della ricerca attuale procedendo secondo un criterio caro alla storiografia artistica e contemporaneamente puntando l’attenzione su giovani che già possono garantire solidità nella ricerca. In questo senso Anna Franceschini e Luca Trevisani (entrambi del 1979) fungono da anello di collegamento con la generazione precedente. Per la Franceschini torna a essere determinante la relazione dell’immagine con il supporto, mentre in un’opera come Physical examination (2014) di Trevisani l’attenzione è rivolta alle contaminazioni con l’universo scientifico e la relazione dialettica tra opposti: ricerca teorica ed empirica, geometria e natura, organico e inorganico.
Il percorso espositivo intercetta contemporaneamente l'Archivio Video di Careof, costituitosi nel 1987 per volontà di Mario Gorni e Zefferina Castoldi e diventato, con circa 8500 opere a oggi catalogate, uno dei più esaustivi e interessanti osservatori sulle produzioni artistiche italiane legate all’immagine in movimento. In mostra sarà data la possibilità di consultarne una parte grazie a un dispositivo che permette di esplorare il materiale per temi, categorie, annualità, parole chiave, diventando un’occasione di approfondimento e confronto rispetto ai lavori e alle operatività degli artisti invitati.
"Sono lieta che un evento legato al linguaggio dell’arte contemporanea sia ospitato in uno dei luoghi più suggestivi di Verona" commenta l'Assessore con delega alla Cultura, Turismo, Politiche giovanili e Pari opportunità Francesca Briani, che prosegue: "la mostra To be played consente che l'arte contemporanea dialoghi con la bellezza del giardino rinascimentale, tessendo la trama dello scorrere del tempo attraverso diversi linguaggi storici e artistici. ArtVerona si conferma appuntamento culturale di rilievo e, come ormai tradizione, esce dal contesto fieristico per essere protagonista anche in città e sceglie per questo Veronetta, luogo autentico di ritrovata vivacità e di particolare interesse per questa Amministrazione che sostiene e favorisce le iniziative culturali che rendono la zona protagonista indiscussa anche ai fini di una rinnovata offerta turistica."
La mostra si trasforma in un’occasione ancor più speciale grazie alla presentazione ufficiale dell’Appartamento 900, recentemente restaurato e riallestito.
All’ombra degli affreschi dell’architetto veronese Paolo Farinati (1524-1606), l’appartamento dell’ala di ponente del Palazzo che affaccia sul maestoso giardino, si sviluppa in grandi sale che illustrano le varie epoche dal 500 al 900. Costruito nel corso del 500 da Agostino Giusti venne abitato dalla famiglia fino al 1944, quando subì i bombardamenti. Il resto del palazzo era già stato requisito dalla Luftwaffe nel 1943.
Le sale accolgono il visitatore avvolgendolo con un decoro famigliare sottolineato da piante e palme tipiche dell’epoca. L’allestimento del verde – a cura di Flò Bologna – presenta una selezione di piante che venivano importate agli inizi dello scorso secolo dai viaggi verso il nuovo mondo enfatizzando l’arredamento e le particolarità architettoniche dell’appartamento.
Il Giardino Giusti è stato recentemente inserito tra i 10 finalisti de “Il parco più bello”, concorso nazionale che ha lo scopo di valorizzare l’inestimabile patrimonio di parchi e giardini presenti nella nostra Penisola, contribuendo a stimolare l’interesse e la sensibilità verso il verde nelle sue forme più alte.
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