Sala di Astrea

Campania

Sala di Astrea
La sala di Astrea, che fungeva da "Anticamera per i Gentiluomini di Carriera, Ambasciatori, Segretari di Stato e di altre persone privilegiate", prende il nome dal dipinto della volta con Il trionfo di Astrea che, secondo la mitologia, era la dea presente sulla terra nell’età aurea dell’umanità e simboleggiava la Giustizia.

Il progetto di decorazione della sala fu commissionato da Gioacchino Murat ed eseguito dall’architetto Antonio De Simone, con la collaborazione di Etienne Chérubin Leconte. Il dipinto della volta, opera del francese Jacques Berger (1754-1822), raffigura appunto Astrea fra la Verità e l’Innocenza, “mentre fuggono la Prepotenza, l’Ignoranza, e l’Errore”.

Con ogni probabilità, per le fattezze di Astrea il pittore, tra i preferiti da Gioacchino Murat, si ispirò alla regina Carolina Bonaparte, moglie di Murat. Il pavimento, disegnato a labirinto, è in marmo di Carrara.

Sulle pareti brevi, decorate a finto marmo, furono collocati nel 1822 i rilievi in stucco dorato con Minerva come Ragione fra la Stabilità e la Legislazione, opera di Valerio Villareale (1773-1854), e con Astrea tra Ercole e il Regno delle due Sicilie, opera di Domenico Masucci (1772-1818). Quest’ultimo presenta a sinistra la figura mitologica di Ercole - raffigurato tradizionalmente con la pelle di leone - che tiene con una mano la clava e con l'altra il giglio borbonico, a simboleggiare l'unione delle due famiglie Farnese e  Borbone. Al centro Astrea, abbigliata all'antica, reca in mano una bilancia e un pendolo a rappresentare la giustizia che governa il Regno; infine, a destra, la personificazione delle Provincie delle Due Sicilie: una donna incoronata dal cavallo turrito, simbolo di Napoli, e recante nell'altra mano lo scudo della Trinacria, antico nome della Sicilia.