A Bologna fino al 28 agosto
Al MAST 500 scatti raccontano l'alfabeto visivo del lavoro
Paolo Woods, Gabriele Galimberti, The Heavens. Annual Report, 2013 © Paolo Woods, Gabriele Galimberti | Courtesy of the artists
Samantha De Martin
06/04/2022
Bologna - Cinquecento scatti per dare un volto agli ultimi duecento anni di storia, folli, intensi, esplosivi.
Negli spazi della Fondazione MAST - Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia - di Bologna una selezione di 500 immagini firmate da 200 autorevoli fotografi, ma anche da artisti anonimi internazionali e italiani, trasformano la mostra The Mast Collection. Visual Alfabet of Industry, Work and Technology, in corso fino al prossimo 28 agosto, a cura di Urs Stahel, in un viaggio nell’universo del lavoro e nell’evoluzione del mondo legato all’industria.
Sono solo una parte degli oltre 6000 lavori, tra immagini e video, di celebri artisti e maestri dell’obiettivo della Collezione della Fondazione MAST, unico centro di riferimento al mondo di fotografia dell'industria e del lavoro.
All'inizio degli anni 2000 la Fondazione ha dato vita a questo spazio appositamente dedicato alla fotografia dell'industria e del lavoro con l'acquisizione di immagini da collezioni private, case d'asta, artisti, fotografi, gallerie d’arte. Il suo patrimonio, già ricco di filmati, negativi su vetro e su pellicola, album, fotografie, cataloghi che negli stabilimenti di Coesia venivano prodotti fin dall’inizio del Novecento, è lentamente cresciuto andando oltre i parametri di materiale promozionale e documentaristico delle imprese del Gruppo industriale. La raccolta abbraccia oggi opere del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo.
Henri Cartier-Bresson, Gli ultimi giorni del Kuomintang (crollo del mercato), Shanghai, Cina, 1948-1949 | Fondation Henri Cartier-Bresson/Magnun Photos
Ecco perché la mostra in corso fino al 28 agosto, a cura di Urs Stahel, si carica di un valore speciale, essendo, tra l’altro, la prima esposizione di opere selezionate dalla collezione della Fondazione MAST.
A colori o in bianco e nero, stampate in analogico o in digitale, presentate su monitor di diverse dimensioni, le fotografie in mostra scandiscono i 53 capitoli che corrono tra gli spazi espositivi. La forma dell'allestimento è quella di un alfabeto che si snoda sulle pareti della PhotoGallery, del Foyer e del Livello O, mettendo in rilievo un sistema concettuale che dalla A di “Abandoned” e Architecture arriva fino a W di “Waste”, “Water”, “Wealth”. In mezzo si inseriscono i concetti di blast furnace, cityscape, cosmetics, hight-tech, ideology, migration, post industrial, textile, tool.
"L’alfabeto - spiega il curatore Urs Stahel - nasce per mettere insieme incroci tra lo sguardo lontano e quello vicino, testi e momenti dello scatto, portando l’attenzione all’interno delle opere. Lo stesso accade con le immagini e i fotografi coinvolti”.
Hans Peter Klauser, Bagnanti felici sulla Sihl, 1936 © Hans Peter Klauser / Fotostiftung Schweiz
Il lessico visivo evoca infatti connessioni e interazioni che stimolano considerazioni più ampie. Lungo il percorso sono indicate in nero le tematiche affrontate specificamente nelle opere presentate, in chiaro quelle che rimandano a un pensiero critico ulteriore, generando un avvincente fil rouge.
In questo grande archivio di memorie visive delle realtà industriali riferite al passato, al presente e, nei limiti del medium fotografico, al futuro, incontriamo l'operaio di Max Alpert, in uno scatto degli anni Trenta, e percorriamo via Isonzo immortalata da Gabriele Basilico per la serie “Milano ritratti di fabbriche”.
Sebastião Salgado, Pozzo petrolifero, Burhan, Kuwait © Sebastião Salgado /Amazonas Images/Contrasto
L’industriale Alberto Alessi, i designer Achille Castiglioni, Enzo Mari, Aldo Rossi, Alessandro Mendini sbucano da uno scatto di Gianni Berengo Gardin come La madre migrante da una fotografia di Dorothea Lange del 1936. Da un paesaggio industriale anni Cinquanta di Saarland, captato dall’obiettivo di Otto Steinert, al pozzo petrolifero in Kuwait fotografato da Sebastião Salgado, il viaggio prosegue nella Napoli di Mimmo Jodice, incrocia i Bagnanti felici sulla Sihl, messi a fuoco da Hans Peter Klauser, e ancora il Vecchio spazzino di Nino Migliori, l’Addetta al magazzino (con olio che le cola dalle mani) di Brian Griffin. E ancora invita a insinuarci tra le ciminiere di Edward Steichen, tra i soggetti industriali di Albert Renger-Patzsch, scevri da ogni componentistica soggettiva.
Otto Steinert, Saarland, paesaggio industriale 3, 1950 © Estate Otto Steinert, Museum Folkwang, Essen
I paesaggi cupi dell’industria pesante stridono con gli scintillanti impianti high-tech, mentre il duro lavoro manuale e la maestria artigiana trovano il loro contrappunto negli universi digitali, nell’elaborazione automatizzata dei dati. Alle manifestazioni di protesta contro il mercato e il crac finanziario si affiancano le testimonianze visive del fenomeno migratorio e del lavoro d’ufficio.
"Il parallelismo tra industria, mezzo fotografico e modernità - prosegue Urs Stahel - produce a tratti un effetto che può disorientare. La fotografia è figlia dell'industrializzazione e al tempo stesso ne rappresenta il documento visivo più incisivo, fondendo in sé memoria e commento".
Thomas Demand, Space Simulator, 2003 © Thomas Demand by SIAE 2022 | Courtesy of Esther Schipper, Berlin
Simili a isole tematiche nelle quali convivono giovani e vecchi, ricchi e poveri, sani e malati, operai e intellettuali, i capitoli della mostra segnano un punto di contatto di percezioni, atteggiamenti, progetti disparati. Così la fotografia documentaristica incontra l’arte concettuale. Gli antichi processi di sviluppo e di stampa su diversi tipi di carta fotografica, come la tecnica all’albumina, dialogano con le nuove possibilità offerte dagli sviluppi tecnici e dalla innovazione digitale e inkjet, con i dispositivi digitali ultra leggeri, perennemente connessi, con le stampe 3D, fino a cedere il passo a una sorta di contemporaneità 4.0.
La mostra, a ingresso gratuito, è aperta dal martedì alla domenica dalle 10 alle 19.
Brian Griffin, Addetta al magazzino (con olio che le cola dalle mani), 2013 © Brian Griffin | Courtesy of the artist
Leggi anche:
• The Mast Collection. Un alfabeto visivo dell'industria, del lavoro e della tecnologia
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Sono solo una parte degli oltre 6000 lavori, tra immagini e video, di celebri artisti e maestri dell’obiettivo della Collezione della Fondazione MAST, unico centro di riferimento al mondo di fotografia dell'industria e del lavoro.
All'inizio degli anni 2000 la Fondazione ha dato vita a questo spazio appositamente dedicato alla fotografia dell'industria e del lavoro con l'acquisizione di immagini da collezioni private, case d'asta, artisti, fotografi, gallerie d’arte. Il suo patrimonio, già ricco di filmati, negativi su vetro e su pellicola, album, fotografie, cataloghi che negli stabilimenti di Coesia venivano prodotti fin dall’inizio del Novecento, è lentamente cresciuto andando oltre i parametri di materiale promozionale e documentaristico delle imprese del Gruppo industriale. La raccolta abbraccia oggi opere del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo.
Henri Cartier-Bresson, Gli ultimi giorni del Kuomintang (crollo del mercato), Shanghai, Cina, 1948-1949 | Fondation Henri Cartier-Bresson/Magnun Photos
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A colori o in bianco e nero, stampate in analogico o in digitale, presentate su monitor di diverse dimensioni, le fotografie in mostra scandiscono i 53 capitoli che corrono tra gli spazi espositivi. La forma dell'allestimento è quella di un alfabeto che si snoda sulle pareti della PhotoGallery, del Foyer e del Livello O, mettendo in rilievo un sistema concettuale che dalla A di “Abandoned” e Architecture arriva fino a W di “Waste”, “Water”, “Wealth”. In mezzo si inseriscono i concetti di blast furnace, cityscape, cosmetics, hight-tech, ideology, migration, post industrial, textile, tool.
"L’alfabeto - spiega il curatore Urs Stahel - nasce per mettere insieme incroci tra lo sguardo lontano e quello vicino, testi e momenti dello scatto, portando l’attenzione all’interno delle opere. Lo stesso accade con le immagini e i fotografi coinvolti”.
Hans Peter Klauser, Bagnanti felici sulla Sihl, 1936 © Hans Peter Klauser / Fotostiftung Schweiz
Il lessico visivo evoca infatti connessioni e interazioni che stimolano considerazioni più ampie. Lungo il percorso sono indicate in nero le tematiche affrontate specificamente nelle opere presentate, in chiaro quelle che rimandano a un pensiero critico ulteriore, generando un avvincente fil rouge.
In questo grande archivio di memorie visive delle realtà industriali riferite al passato, al presente e, nei limiti del medium fotografico, al futuro, incontriamo l'operaio di Max Alpert, in uno scatto degli anni Trenta, e percorriamo via Isonzo immortalata da Gabriele Basilico per la serie “Milano ritratti di fabbriche”.
Sebastião Salgado, Pozzo petrolifero, Burhan, Kuwait © Sebastião Salgado /Amazonas Images/Contrasto
L’industriale Alberto Alessi, i designer Achille Castiglioni, Enzo Mari, Aldo Rossi, Alessandro Mendini sbucano da uno scatto di Gianni Berengo Gardin come La madre migrante da una fotografia di Dorothea Lange del 1936. Da un paesaggio industriale anni Cinquanta di Saarland, captato dall’obiettivo di Otto Steinert, al pozzo petrolifero in Kuwait fotografato da Sebastião Salgado, il viaggio prosegue nella Napoli di Mimmo Jodice, incrocia i Bagnanti felici sulla Sihl, messi a fuoco da Hans Peter Klauser, e ancora il Vecchio spazzino di Nino Migliori, l’Addetta al magazzino (con olio che le cola dalle mani) di Brian Griffin. E ancora invita a insinuarci tra le ciminiere di Edward Steichen, tra i soggetti industriali di Albert Renger-Patzsch, scevri da ogni componentistica soggettiva.
Otto Steinert, Saarland, paesaggio industriale 3, 1950 © Estate Otto Steinert, Museum Folkwang, Essen
I paesaggi cupi dell’industria pesante stridono con gli scintillanti impianti high-tech, mentre il duro lavoro manuale e la maestria artigiana trovano il loro contrappunto negli universi digitali, nell’elaborazione automatizzata dei dati. Alle manifestazioni di protesta contro il mercato e il crac finanziario si affiancano le testimonianze visive del fenomeno migratorio e del lavoro d’ufficio.
"Il parallelismo tra industria, mezzo fotografico e modernità - prosegue Urs Stahel - produce a tratti un effetto che può disorientare. La fotografia è figlia dell'industrializzazione e al tempo stesso ne rappresenta il documento visivo più incisivo, fondendo in sé memoria e commento".
Thomas Demand, Space Simulator, 2003 © Thomas Demand by SIAE 2022 | Courtesy of Esther Schipper, Berlin
Simili a isole tematiche nelle quali convivono giovani e vecchi, ricchi e poveri, sani e malati, operai e intellettuali, i capitoli della mostra segnano un punto di contatto di percezioni, atteggiamenti, progetti disparati. Così la fotografia documentaristica incontra l’arte concettuale. Gli antichi processi di sviluppo e di stampa su diversi tipi di carta fotografica, come la tecnica all’albumina, dialogano con le nuove possibilità offerte dagli sviluppi tecnici e dalla innovazione digitale e inkjet, con i dispositivi digitali ultra leggeri, perennemente connessi, con le stampe 3D, fino a cedere il passo a una sorta di contemporaneità 4.0.
La mostra, a ingresso gratuito, è aperta dal martedì alla domenica dalle 10 alle 19.
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