A Bologna fino al 24 settembre

La Forza delle Immagini racconta il mondo del lavoro

Estate of Rudolf Holtappel | Rudolf Holtappel (Münster, Germania, 1923 – Duisburg, Germania, 2013) Duisburg Bruckhausen, Ebertstrasse con stabilimento metallurgico August Thyssen, 1968 Duisburg Bruckhausen, Ebertstrasse with August Thyssen Plant, 1968
 

Francesca Grego

12/05/2017

Bologna - Lamine industriali riprese nella loro qualità di pure forme, generatori di vapore come l’intrico di una giungla, macchine trasformate dall’obiettivo in enigmatiche, impenetrabili creature: l’universo della fabbrica si trasfigura nello sguardo di oltre 60 fotografi negli spazi di MAST Gallery per La forza delle immagini. Collezione MAST. Una selezione iconica di fotografie su industria e lavoro, in programma fino al 24 settembre.

Un centinaio di scatti firmati da Richard Avedon, Berenice Abbott, Margaret Bourke-White, Masahisa Fukase e altri grandi autori raccontano la realtà del lavoro nel mondo dagli anni Venti a oggi, in un excursus che mette in mostra tutta la potenza espressiva del mezzo fotografico.
Architetture, paesaggi urbani, umanità, temi sociali, forme e materiali di intenso impatto visivo si incrociano in un percorso da leggere su più livelli, dove alla memoria storica si affianca la ricerca sullo specifico del linguaggio della fotografia.
Un patchwork di situazioni e atmosfere che si attraversano vicendevolmente, come l’uomo sul carro trainato da un asino ritratto di fronte a uno stabilimento industriale da Pepi Merisio o il piccolo campanile accostato alle torri del World Trade Center nell’immagine di André Kertész.
 
Dalla vasta collezione della Fondazione MAST - un migliaio di immagini per un osservatorio su 150 anni di storia - arrivano i sensuali Psycomotor di Rémy Markowitsch, gli altoforni svettanti di Max Alpert, il fascino nero dell’asfalto nelle aree industriali dismesse di Pietro Donzelli, la luce, i cromatismi, le alchemiche trasmutazioni dei metalli nelle intriganti visioni di Germaine Krull, Berenice Abbott, Nino Migliori, Takashi Kijima, Kiyoshi Niimaya.
Ma anche lo scintillio delle merci pronte, il bianco impersonale di uffici che gestiscono invisibili flussi di dati, il mistero di congegni notturni e centrali nucleari.
 
Tra le impressioni più forti, il Mezzogiorno di fuoco della discarica di Dacca, in Bangladesh, immortalato dall’obiettivo di Jim Goldberg: una vasta pianura abitata solo da rifiuti, a eccezione di un sorvegliante, che controlla che i materiali di scarto siano separati dai cadaveri animali.
 
Per arrivare infine agli uomini. Lavoratori e manager, che il fotografo spesso isola dal contesto del loro lavoro quotidiano, come nella nota serie di Avedon Il West americano. Con lo sguardo perso nel vuoto, scrive il curatore Urs Stahel “sembrano chiedere: chi siamo? dove andiamo? cosa abbiamo fatto? Sono stati gettati nel mondo, come ha affermato Jean-Paul Sartre, condannati a una libertà che spesso, nelle condizioni sociali in cui vivono, non sono mai riusciti a sperimentare. Paiono assai meno smarriti e alienati quando sono attivi e manovrano le loro macchine, le apparecchiature, gli strumenti. Il lavoro è una gigantesca macchina che produce identità”.
 
Il seguito è nelle architetture di immagini di Hiroko Komatsu, pareti di preziose stampe ai sali d’argento da attraversare come in una performance: se l’installazione rimanda a una positiva attività di costruzione, i singoli scatti veicolano un’atmosfera di catastrofe e rovina con depositi di materiale edilizio di ogni tipo.
 
Ed è proprio intorno alla rovina e all’obsolescenza che ruota il focus dedicato all’industria della fotografia da Catherine Lautenegger, che ritrae ambienti e parcheggi del vecchio colosso Kodak svuotati dalla rivoluzione digitale.
 
Ma la “forza delle immagini” è pronta a trovare nuove strade, tecniche e occasioni per esprimersi, come dimostra l’esposizione di MAST Gallery.



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