L'arte di strada si ribella ai musei
La mostra sulla Street Art che ha fatto infuriare Blu
Blu
Ludovica Sanfelice
14/03/2016
Bologna - I paradossi della street art dentro i musei
Già dalle anticipazioni circolate nei mesi scorsi, era facile intuire che la mostra “Street Art - Banksy & Co. L’arte allo stato urbano”, avrebbe destato polemiche.
A mettere in allarme, oltre all’ingresso della street art nel museo con tutto il carico di paradossi che una simile operazione porta con sé, era stato in particolare il paternalismo con cui si era giustificata la “privatizzazione” forzata di alcune opere rimosse direttamente dai muri con la scusa di preservarle. Proprio loro che erano nate alle intemperie e portavano inscritta nel patrimonio genetico la loro natura effimera, proprio loro comparse clandestinamente e volontariamente fuori dai circuiti di musealizzazione per essere di tutti.
La mostra di Palazzo Pepoli
Per “avviare una riflessione sulle modalità della salvaguardia, conservazione e musealizzazione di queste esperienze urbane”, si legge nel comunicato dell'evento è nato quindi il progetto di una rassegna, sostenuta da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, e prodotta da Genus Bononiae. Musei nella città e Arthemisia Group. Un establishment influente, guidato dalla ferrea volontà del professor Fabio Roversi-Monaco che dal 18 marzo porterà a Palazzo Pepoli cinquant’anni di storia dell’arte di strada sovrapposti e accumulati in maniera non regolata sui muri del mondo e adesso riuniti e ordinati in un percorso di 250 opere, documenti vari e diversi interrogativi. “Quali modalità e quali approcci prediligere per salvaguardare il fenomeno? Che ruolo assegnare al museo in questa prospettiva?”.
Peccato che in nome di un’indagine tesa a conservare il patrimonio di un’arte che ha influenzato il gusto estetico dell’ultimo mezzo secolo, ci sia spinti a chiudere in gabbia l’uccellino che incantava con il suo volo, inghiottendo nel circuito espositivo alcuni murales (quelli realizzati dagli artisti più quotati) senza alcuna licenza se non quella dell’autoassoluzione per un bene superiore: ammirare e riflettere.
La risposta del graffitaro Blu
Un gesto in cui in molti hanno letto una forma di arroganza che oltre ad infischiarsene della consensualità degli autori, ha spento il colore primario dell’arte che pretende di difendere, vale a dire l’appartenenza alla Strada.
Ad un simile oltraggio la strada ha risposto con toni radicali attraverso l’azione del grande graffitaro Blu che, armato di vernice grigia, così come aveva prodotto arte e bellezza negli ultimi vent’anni, nell’ultimo weekend si è impegnato a cancellarla in segno di protesta verso quel "signore" che prima ti denunciava perché imbrattavi (pochi giorni fa la condanna di AliCé ci ha ricordato quanto attuale sia l'incertezza che si lega alla valutazione di questo linguaggio) e ora probabilmente tenterà di denunciarti perché pulisci.
Non mi avrete, ha gridato Blu. E al suo fianco si è schierato il collettivo Wu Ming con una dura ricostruzione del casus che ha trovato pieno endorsement da parte dell'artista che dal suo blog ne ha indicato la lettura a quanti fossero in cerca di spiegazioni insieme ad un breve messaggio: "A Bologna non c’è più blu e non ci sarà più finché i magnati magneranno. Per ringraziamenti e lamentele sapete a chi rivolgervi".
Lo abbiamo sottratto dalla demolizione degli edifici su cui campeggiava, dovrebbe ringraziarci, risponde dall'altro fronte Roversi-Monaco che dal canto suo rifiuta ogni connessione logica tra la mostra e la furia antagonista di Blu.
La performance e l'estensione della protesta
L'azione di Blu - e su questo la mostra potrebbe davvero riflettere e far riflettere - nelle lunghe cicatrici grige seminate per la città ha dato vita a qualcosa di esteticamente non bello che però, considerata la risonanza, assume il valore di una performance di strada. Un'action furibonda che già dal giorno successivo era meta di pellegrinaggi.
Difficile del resto rimanere indifferenti alla perdita di un patrimonio tanto consistente e prezioso come quello di Blu a Bologna. Che a farne le spese siamo stati tutti noi è piuttosto chiaro, ma ancor più chiaro è il peso politico del messaggio da parte di un'arte che il guinzaglio lo ha categoricamente rifiutato fin dall'alba della prima bomboletta spray agitata nella notte.
Ci si affanna ora a studiare modelli alternativi di conservazione attraverso per esempio la proposta di creare un centro di documentazione fotografica sulla street art avanzata dall'assessore regionale alla cultura, Massimo Mezzetti.
La notizia, nel frattempo, rimbalzando sui social ha raccolto dispiacere, sdegno e tutte le cinquanta sfumature di condanna, ma ha incontrato anche e soprattutto la solidarietà di molte persone comuni e di numerosi artisti che per l'inaugurazione della mostra stanno adesso organizzando una manifestazione che assumerà la forma di un'ulteriore performance, o di una contro-mostra. Gratuita e per strada.
Già dalle anticipazioni circolate nei mesi scorsi, era facile intuire che la mostra “Street Art - Banksy & Co. L’arte allo stato urbano”, avrebbe destato polemiche.
A mettere in allarme, oltre all’ingresso della street art nel museo con tutto il carico di paradossi che una simile operazione porta con sé, era stato in particolare il paternalismo con cui si era giustificata la “privatizzazione” forzata di alcune opere rimosse direttamente dai muri con la scusa di preservarle. Proprio loro che erano nate alle intemperie e portavano inscritta nel patrimonio genetico la loro natura effimera, proprio loro comparse clandestinamente e volontariamente fuori dai circuiti di musealizzazione per essere di tutti.
La mostra di Palazzo Pepoli
Per “avviare una riflessione sulle modalità della salvaguardia, conservazione e musealizzazione di queste esperienze urbane”, si legge nel comunicato dell'evento è nato quindi il progetto di una rassegna, sostenuta da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, e prodotta da Genus Bononiae. Musei nella città e Arthemisia Group. Un establishment influente, guidato dalla ferrea volontà del professor Fabio Roversi-Monaco che dal 18 marzo porterà a Palazzo Pepoli cinquant’anni di storia dell’arte di strada sovrapposti e accumulati in maniera non regolata sui muri del mondo e adesso riuniti e ordinati in un percorso di 250 opere, documenti vari e diversi interrogativi. “Quali modalità e quali approcci prediligere per salvaguardare il fenomeno? Che ruolo assegnare al museo in questa prospettiva?”.
Peccato che in nome di un’indagine tesa a conservare il patrimonio di un’arte che ha influenzato il gusto estetico dell’ultimo mezzo secolo, ci sia spinti a chiudere in gabbia l’uccellino che incantava con il suo volo, inghiottendo nel circuito espositivo alcuni murales (quelli realizzati dagli artisti più quotati) senza alcuna licenza se non quella dell’autoassoluzione per un bene superiore: ammirare e riflettere.
La risposta del graffitaro Blu
Un gesto in cui in molti hanno letto una forma di arroganza che oltre ad infischiarsene della consensualità degli autori, ha spento il colore primario dell’arte che pretende di difendere, vale a dire l’appartenenza alla Strada.
Ad un simile oltraggio la strada ha risposto con toni radicali attraverso l’azione del grande graffitaro Blu che, armato di vernice grigia, così come aveva prodotto arte e bellezza negli ultimi vent’anni, nell’ultimo weekend si è impegnato a cancellarla in segno di protesta verso quel "signore" che prima ti denunciava perché imbrattavi (pochi giorni fa la condanna di AliCé ci ha ricordato quanto attuale sia l'incertezza che si lega alla valutazione di questo linguaggio) e ora probabilmente tenterà di denunciarti perché pulisci.
Non mi avrete, ha gridato Blu. E al suo fianco si è schierato il collettivo Wu Ming con una dura ricostruzione del casus che ha trovato pieno endorsement da parte dell'artista che dal suo blog ne ha indicato la lettura a quanti fossero in cerca di spiegazioni insieme ad un breve messaggio: "A Bologna non c’è più blu e non ci sarà più finché i magnati magneranno. Per ringraziamenti e lamentele sapete a chi rivolgervi".
Lo abbiamo sottratto dalla demolizione degli edifici su cui campeggiava, dovrebbe ringraziarci, risponde dall'altro fronte Roversi-Monaco che dal canto suo rifiuta ogni connessione logica tra la mostra e la furia antagonista di Blu.
La performance e l'estensione della protesta
L'azione di Blu - e su questo la mostra potrebbe davvero riflettere e far riflettere - nelle lunghe cicatrici grige seminate per la città ha dato vita a qualcosa di esteticamente non bello che però, considerata la risonanza, assume il valore di una performance di strada. Un'action furibonda che già dal giorno successivo era meta di pellegrinaggi.
Difficile del resto rimanere indifferenti alla perdita di un patrimonio tanto consistente e prezioso come quello di Blu a Bologna. Che a farne le spese siamo stati tutti noi è piuttosto chiaro, ma ancor più chiaro è il peso politico del messaggio da parte di un'arte che il guinzaglio lo ha categoricamente rifiutato fin dall'alba della prima bomboletta spray agitata nella notte.
Ci si affanna ora a studiare modelli alternativi di conservazione attraverso per esempio la proposta di creare un centro di documentazione fotografica sulla street art avanzata dall'assessore regionale alla cultura, Massimo Mezzetti.
La notizia, nel frattempo, rimbalzando sui social ha raccolto dispiacere, sdegno e tutte le cinquanta sfumature di condanna, ma ha incontrato anche e soprattutto la solidarietà di molte persone comuni e di numerosi artisti che per l'inaugurazione della mostra stanno adesso organizzando una manifestazione che assumerà la forma di un'ulteriore performance, o di una contro-mostra. Gratuita e per strada.
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