Al Museo di Santa Giulia di Brescia fino al 23 febbraio
Parla l’attivista Khalid Albaih: “La mia arte come atto di sopravvivenza e forma di protesta”
Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, Allestimento | Foto: © Alberto Mancini | Courtesy Fondazione Brescia Musei
Samantha De Martin
19/11/2024
Brescia - Da quando, nel 2008, ha iniziato a condividere in rete i suoi lavori nella pagina social Khartoon! (combinando la parola “cartoon” con il nome della capitale del Sudan, Khartoum), Khalid Albaih ha utilizzato la sua matita acuminata per sollevare importanti dibattiti su questioni sociali e politiche di stringente attualità.
Nella sua prima personale in Italia l'artista sudanese ripercorre la propria carriera presentando al pubblico il lavoro pluridecennale di dissidente ed esule.
Fino al 23 febbraio nelle sale del Museo di Santa Giulia a Brescia l’artista presenta La stagione della migrazione a Nord, un percorso a cura di Elettra Stamboulis, attraverso il quale la Fondazione Brescia Musei porta avanti il percorso di narrazione sui diritti umani attraverso l’arte contemporanea avviato nel 2019.
Arte e diritti tornano dunque a incrociarsi nell’ambito di questo nuovo appuntamento presentato nell’ambito del Festival della Pace di Brescia, durante il quale sarà visitabile gratuitamente da tutti.
La mostra segna anche la quinta tappa del percorso di ricerca intrapreso da Fondazione Brescia Musei, che ha visto susseguirsi le personali di Zehra Doğan, Badiucao e Victoria Lomasko, e la mostra Finché non saremo libere (2023), che ha presentato le opere delle artiste iraniane Sonia Balassanian, Farideh Lashai, Shirin Neshat, Soudeh Davoud e Zoya Shokoohi.
Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, Allestimento | Foto: © Alberto Mancini | Courtesy Fondazione Brescia Musei
Il titolo della mostra, la sua prima personale in Italia, trae ispirazione dall'omonimo romanzo dello scrittore sudanese Tayeb Salih, la cui voce narrante fa da filo conduttore al progetto espositivo. Perché questa scelta?
“Il titolo della mostra, Season of Migration to the North, è un cenno deliberato all'influente romanzo di Tayeb Salih, una delle più grandi figure letterarie del Sudan. L'opera di Salih esplora i temi dello sfollamento, dello scontro di culture e del trauma ciclico delle eredità coloniali, idee che risuonano profondamente nelle mie esperienze e nelle lotte che cerco di catturare attraverso la mia arte. La curatrice Electra Stamboulis ha dato alla mia mostra lo stesso nome per il medesimo motivo, ma con una storia diversa. L'esposizione riguarda la migrazione, sia letterale che metaforica, e fornisce un quadro per discutere di identità, potere e degli effetti persistenti delle ingiustizie storiche”.
In Sudan è in atto "il più grande movimento di popolazione al mondo". Il Paese conta dieci milioni di rifugiati su un totale di 45 milioni di abitanti. Il Sudan è la fotografia di una catastrofe umanitaria. A Brescia finalmente se ne parla. Qual è la situazione in questo momento?
“La crisi umanitaria in Sudan spesso passa inosservata sulla scena mondiale a causa del razzismo e della mancanza di voce dei giornalisti indipendenti per motivi di sicurezza. Una persona che ha appena lasciato il paese ha detto che in Sudan era più facile portare una pistola che una macchina fotografica. Ci sono milioni di sudanesi sfollati, sia internamente che come rifugiati, a causa della violenza in corso e dell'instabilità politica. La situazione attuale è disperata: le infrastrutture di base stanno crollando, gli aiuti umanitari stanno lottando per raggiungere chi è nel bisogno e la portata della sofferenza umana è enorme. Sento la responsabilità, come artista e sudanese, di continuare a portare l'attenzione su questo”.
Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, Allestimento | Foto: © Alberto Mancini | Courtesy Fondazione Brescia Musei
La mostra ripercorre la sua carriera artistica presentando per la prima volta in Italia una mostra personale del suo lavoro decennale come artista dissidente ed esiliato. Cosa significa essere un artista dissidente oggi?
“Significa destreggiarsi in un mondo in cui la lotta per la libertà di espressione è sempre più complicata. L'esilio amplifica questa lotta. La mia arte è sia una protesta che un atto personale di sopravvivenza. L'arte rimane una voce potente che trascende i confini. È un modo per mantenere vive le conversazioni, per ricordare alle persone le ingiustizie che persistono anche quando l'attenzione del mondo si sposta altrove. Come dissidente, lavori sotto la minaccia di essere messo a tacere, direttamente o attraverso forme più insidiose di repressione, come la censura o lo spostamento in Occidente o in patria”.
I suoi lavori restituiscono visioni analitiche del panorama contemporaneo e si estendono a una vasta rete di collaborazioni, che a Brescia hanno vista coinvolta la cittadinanza, oltre ad alcune associazioni che operano nel sociale, con le quali ha lavorato per la realizzazione di alcune sezioni della mostra. Quali sono le opere site-specific realizzate per Brescia?
“Per la mostra ho creato tre lavori site-specific. "Haboba", un mobile - nome con cui affettuosamente viene chiamata la nonna nelle famiglie sudanesi ndr - e "toub", un'opera su tessuto per la quale ho collaborato con il pittore sudanese Khalid Shasta. Entrambi parlano direttamente e interagiscono con l'architettura e la storia del Sudan come qualcosa che sta rapidamente scomparendo. "Camp", il campo dei passaporti, traccia parallelismi tra i problemi dell’ immigrazione locale di Brescia e le lotte globali. I pezzi riflettono non solo sul mio viaggio, ma anche sull'esperienza umana condivisa di ricerca di sicurezza, casa e identità”.
Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, Allestimento | Foto: © Alberto Mancini | Courtesy Fondazione Brescia Musei
La sua pratica artistica affonda le sue radici nel disegno. Il fumetto rende la sofferenza più umana, le dà un volto. Allo stesso tempo, lascia spazio all’interpretazione. Le sue caricature sono finite sui muri della rivoluzione, da Tunisi al Cairo, diventando il simbolo di una “primavera araba”. Quale potere ha il disegno rispetto ad altri strumenti artistici?
“Il disegno è un linguaggio che trascende le parole, cattura l'essenza cruda ed emotiva di un momento. I fumetti hanno la capacità di scomporre questioni complesse in qualcosa di universalmente accessibile. Non reagisco al mondo, ne faccio parte. Il mio lavoro è un diario visivo del mondo che mi circonda”.
Come viene vissuta la satira in Africa?
“La satira è un'arte di sopravvivenza, un modo per affrontare le realtà più dure. Nei regimi autoritari o in quelli futuri come quelli che vediamo in Occidente, la satira è spesso una forma di espressione pericolosa perché sfida direttamente chi è al potere”.
La sua ricerca artistica è orientata verso l'art-ivismo. I suoi lavori affondano le radici nella contemporaneità e coinvolgono cittadini e associazioni che operano nel sociale. L'arte può davvero innescare un cambiamento?
“Art-ivism, la fusione di arte e attivismo, per me è ciò di cui si occupa l'arte. Non sono due cose, è una cosa sola. È vero che l'arte da sola non risolverà i problemi strutturali, ma pianta semi di cambiamento dando forma alle narrazioni. Quando le persone vedono se stesse e le loro lotte riflesse nell'arte, ciò umanizza la loro situazione, e questa è una cosa potente”.
Sudanese, nato in Romania, figlio di un diplomatico, lei è un prodotto della diaspora. Ha studiato negli Emirati, a Doha in Qatar architettura, design e ingegneria. Dal 2008 ha intrapreso la tua ricerca nelle arti visive. Da dove nasce il suo art-ivismo?
“Il mio art-ivismo è radicato nella mia educazione. Sono un prodotto della diaspora, plasmato da un ambiente multiculturale e politicamente carico. Crescendo in diversi paesi, ma sentendomi sempre legato al Sudan, ho sviluppato un profondo senso di responsabilità nell'usare la mia voce per qualcosa di più grande. Il mio background in architettura e design mi ha insegnato a vedere i problemi e immaginare soluzioni visivamente, ma è stata la testimonianza di ingiustizie sociali a trasformare quell'educazione in uno strumento di attivismo”.
Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, Allestimento | Foto: © Alberto Mancini | Courtesy Fondazione Brescia Musei
Il suo attivismo ha attraversato diverse fasi, è partito online, grazie ai social media, e si è spostato nelle varie piazze della Primavera araba, e in Sudan, dove da dieci anni è in corso una guerra civile che coinvolge i principali attori della geopolitica internazionale. Che ruolo hanno avuto i social media?
“I social media sono stati un'ancora di salvezza per me e per molti attivisti sin dalla Primavera araba. Ci hanno permesso di condividere le nostre realtà con il mondo, aggirando i tradizionali gatekeeper dei media. Hanno creato una nuova via per la resistenza, uno spazio in cui notizie, idee e strategie potevano essere scambiate in tempo reale. Ora i social media sono vulnerabili alla censura della sorveglianza e alle repressioni”.
Dove vive?
“Attualmente vivo una vita nomade, spostandomi tra diversi luoghi a seconda delle necessità, ma spesso lavoro da una base in Europa. Prima l'esilio e ora la guerra definiscono il modo in cui io e la mia famiglia viviamo: c'è un senso costante di essere tra mondi. Cerco di incanalare questa irrequietezza nel mio lavoro, creando da un luogo sia di urgenza che di desiderio”.
Prossimi progetti?
“Una mostra online sui fatti del Sudan in collaborazione con Al Jazeera. Una scultura in bronzo a grandezza naturale che sarà installata in modo permanente nel parco di sculture Nirox, a Joberg, in Sudafrica, una graphic novel su Venezia pubblicata dalla rivista veneziana WetLands e una collaborazione con l'università di Copenhagen su un progetto per indagare sul genocidio ad Ardamata, in Darfur, nel Sudan occidentale”.
Nella sua prima personale in Italia l'artista sudanese ripercorre la propria carriera presentando al pubblico il lavoro pluridecennale di dissidente ed esule.
Fino al 23 febbraio nelle sale del Museo di Santa Giulia a Brescia l’artista presenta La stagione della migrazione a Nord, un percorso a cura di Elettra Stamboulis, attraverso il quale la Fondazione Brescia Musei porta avanti il percorso di narrazione sui diritti umani attraverso l’arte contemporanea avviato nel 2019.
Arte e diritti tornano dunque a incrociarsi nell’ambito di questo nuovo appuntamento presentato nell’ambito del Festival della Pace di Brescia, durante il quale sarà visitabile gratuitamente da tutti.
La mostra segna anche la quinta tappa del percorso di ricerca intrapreso da Fondazione Brescia Musei, che ha visto susseguirsi le personali di Zehra Doğan, Badiucao e Victoria Lomasko, e la mostra Finché non saremo libere (2023), che ha presentato le opere delle artiste iraniane Sonia Balassanian, Farideh Lashai, Shirin Neshat, Soudeh Davoud e Zoya Shokoohi.
Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, Allestimento | Foto: © Alberto Mancini | Courtesy Fondazione Brescia Musei
Il titolo della mostra, la sua prima personale in Italia, trae ispirazione dall'omonimo romanzo dello scrittore sudanese Tayeb Salih, la cui voce narrante fa da filo conduttore al progetto espositivo. Perché questa scelta?
“Il titolo della mostra, Season of Migration to the North, è un cenno deliberato all'influente romanzo di Tayeb Salih, una delle più grandi figure letterarie del Sudan. L'opera di Salih esplora i temi dello sfollamento, dello scontro di culture e del trauma ciclico delle eredità coloniali, idee che risuonano profondamente nelle mie esperienze e nelle lotte che cerco di catturare attraverso la mia arte. La curatrice Electra Stamboulis ha dato alla mia mostra lo stesso nome per il medesimo motivo, ma con una storia diversa. L'esposizione riguarda la migrazione, sia letterale che metaforica, e fornisce un quadro per discutere di identità, potere e degli effetti persistenti delle ingiustizie storiche”.
In Sudan è in atto "il più grande movimento di popolazione al mondo". Il Paese conta dieci milioni di rifugiati su un totale di 45 milioni di abitanti. Il Sudan è la fotografia di una catastrofe umanitaria. A Brescia finalmente se ne parla. Qual è la situazione in questo momento?
“La crisi umanitaria in Sudan spesso passa inosservata sulla scena mondiale a causa del razzismo e della mancanza di voce dei giornalisti indipendenti per motivi di sicurezza. Una persona che ha appena lasciato il paese ha detto che in Sudan era più facile portare una pistola che una macchina fotografica. Ci sono milioni di sudanesi sfollati, sia internamente che come rifugiati, a causa della violenza in corso e dell'instabilità politica. La situazione attuale è disperata: le infrastrutture di base stanno crollando, gli aiuti umanitari stanno lottando per raggiungere chi è nel bisogno e la portata della sofferenza umana è enorme. Sento la responsabilità, come artista e sudanese, di continuare a portare l'attenzione su questo”.
Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, Allestimento | Foto: © Alberto Mancini | Courtesy Fondazione Brescia Musei
La mostra ripercorre la sua carriera artistica presentando per la prima volta in Italia una mostra personale del suo lavoro decennale come artista dissidente ed esiliato. Cosa significa essere un artista dissidente oggi?
“Significa destreggiarsi in un mondo in cui la lotta per la libertà di espressione è sempre più complicata. L'esilio amplifica questa lotta. La mia arte è sia una protesta che un atto personale di sopravvivenza. L'arte rimane una voce potente che trascende i confini. È un modo per mantenere vive le conversazioni, per ricordare alle persone le ingiustizie che persistono anche quando l'attenzione del mondo si sposta altrove. Come dissidente, lavori sotto la minaccia di essere messo a tacere, direttamente o attraverso forme più insidiose di repressione, come la censura o lo spostamento in Occidente o in patria”.
I suoi lavori restituiscono visioni analitiche del panorama contemporaneo e si estendono a una vasta rete di collaborazioni, che a Brescia hanno vista coinvolta la cittadinanza, oltre ad alcune associazioni che operano nel sociale, con le quali ha lavorato per la realizzazione di alcune sezioni della mostra. Quali sono le opere site-specific realizzate per Brescia?
“Per la mostra ho creato tre lavori site-specific. "Haboba", un mobile - nome con cui affettuosamente viene chiamata la nonna nelle famiglie sudanesi ndr - e "toub", un'opera su tessuto per la quale ho collaborato con il pittore sudanese Khalid Shasta. Entrambi parlano direttamente e interagiscono con l'architettura e la storia del Sudan come qualcosa che sta rapidamente scomparendo. "Camp", il campo dei passaporti, traccia parallelismi tra i problemi dell’ immigrazione locale di Brescia e le lotte globali. I pezzi riflettono non solo sul mio viaggio, ma anche sull'esperienza umana condivisa di ricerca di sicurezza, casa e identità”.
Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, Allestimento | Foto: © Alberto Mancini | Courtesy Fondazione Brescia Musei
La sua pratica artistica affonda le sue radici nel disegno. Il fumetto rende la sofferenza più umana, le dà un volto. Allo stesso tempo, lascia spazio all’interpretazione. Le sue caricature sono finite sui muri della rivoluzione, da Tunisi al Cairo, diventando il simbolo di una “primavera araba”. Quale potere ha il disegno rispetto ad altri strumenti artistici?
“Il disegno è un linguaggio che trascende le parole, cattura l'essenza cruda ed emotiva di un momento. I fumetti hanno la capacità di scomporre questioni complesse in qualcosa di universalmente accessibile. Non reagisco al mondo, ne faccio parte. Il mio lavoro è un diario visivo del mondo che mi circonda”.
Come viene vissuta la satira in Africa?
“La satira è un'arte di sopravvivenza, un modo per affrontare le realtà più dure. Nei regimi autoritari o in quelli futuri come quelli che vediamo in Occidente, la satira è spesso una forma di espressione pericolosa perché sfida direttamente chi è al potere”.
La sua ricerca artistica è orientata verso l'art-ivismo. I suoi lavori affondano le radici nella contemporaneità e coinvolgono cittadini e associazioni che operano nel sociale. L'arte può davvero innescare un cambiamento?
“Art-ivism, la fusione di arte e attivismo, per me è ciò di cui si occupa l'arte. Non sono due cose, è una cosa sola. È vero che l'arte da sola non risolverà i problemi strutturali, ma pianta semi di cambiamento dando forma alle narrazioni. Quando le persone vedono se stesse e le loro lotte riflesse nell'arte, ciò umanizza la loro situazione, e questa è una cosa potente”.
Sudanese, nato in Romania, figlio di un diplomatico, lei è un prodotto della diaspora. Ha studiato negli Emirati, a Doha in Qatar architettura, design e ingegneria. Dal 2008 ha intrapreso la tua ricerca nelle arti visive. Da dove nasce il suo art-ivismo?
“Il mio art-ivismo è radicato nella mia educazione. Sono un prodotto della diaspora, plasmato da un ambiente multiculturale e politicamente carico. Crescendo in diversi paesi, ma sentendomi sempre legato al Sudan, ho sviluppato un profondo senso di responsabilità nell'usare la mia voce per qualcosa di più grande. Il mio background in architettura e design mi ha insegnato a vedere i problemi e immaginare soluzioni visivamente, ma è stata la testimonianza di ingiustizie sociali a trasformare quell'educazione in uno strumento di attivismo”.
Khalid Albaih. La stagione della migrazione a Nord, Allestimento | Foto: © Alberto Mancini | Courtesy Fondazione Brescia Musei
Il suo attivismo ha attraversato diverse fasi, è partito online, grazie ai social media, e si è spostato nelle varie piazze della Primavera araba, e in Sudan, dove da dieci anni è in corso una guerra civile che coinvolge i principali attori della geopolitica internazionale. Che ruolo hanno avuto i social media?
“I social media sono stati un'ancora di salvezza per me e per molti attivisti sin dalla Primavera araba. Ci hanno permesso di condividere le nostre realtà con il mondo, aggirando i tradizionali gatekeeper dei media. Hanno creato una nuova via per la resistenza, uno spazio in cui notizie, idee e strategie potevano essere scambiate in tempo reale. Ora i social media sono vulnerabili alla censura della sorveglianza e alle repressioni”.
Dove vive?
“Attualmente vivo una vita nomade, spostandomi tra diversi luoghi a seconda delle necessità, ma spesso lavoro da una base in Europa. Prima l'esilio e ora la guerra definiscono il modo in cui io e la mia famiglia viviamo: c'è un senso costante di essere tra mondi. Cerco di incanalare questa irrequietezza nel mio lavoro, creando da un luogo sia di urgenza che di desiderio”.
Prossimi progetti?
“Una mostra online sui fatti del Sudan in collaborazione con Al Jazeera. Una scultura in bronzo a grandezza naturale che sarà installata in modo permanente nel parco di sculture Nirox, a Joberg, in Sudafrica, una graphic novel su Venezia pubblicata dalla rivista veneziana WetLands e una collaborazione con l'università di Copenhagen su un progetto per indagare sul genocidio ad Ardamata, in Darfur, nel Sudan occidentale”.
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