Dal 1° gennaio a Firenze
Le speranze (e le delusioni) del Risorgimento in una tela: arriva agli Uffizi un capolavoro di Francesco Hayez
Francesco Hayez, Ritratto del conte colonnello Francesco Teodoro Arese Lucini in carcere, 1828, Olio su tela, 116 x 151 cm
Samantha De Martin
02/01/2023
Firenze - Stretto nella sua tenuta militare, la cravatta perfettamente annodata sotto il colletto inamidato della camicia, il conte Francesco Teodoro Arese Lucini, militare napoleonico poi coinvolto nei moti risorgimentali, osserva lo spettatore con sguardo diretto e franco.
A incorniciare la sua figura, enfatizzando la durissima condizione del prigioniero, è lo squallore del carcere, le mura scabre della cella, il giaciglio sfatto, la cassa utilizzata come sedile, i ceppi che stringono le caviglie.
Così il grande pittore Francesco Hayez aveva ritratto, sul finire degli anni Venti dell’Ottocento, il conte Lucini in un dipinto divenuto celebre per la sua originalissima storia, oltre che per la sua intrinseca potenza espressiva.
Dal 1° gennaio lo si potrà ammirare all’inizio del percorso delle Gallerie degli Uffizi, in cima allo scalone lorenese, mentre al termine di un “tour” in diversi comuni toscani, che avrà luogo in primavera, il ritratto sarà esposto in maniera permanente nella Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti.
Francesco Hayez, Ritratto del conte colonnello Francesco Teodoro Arese Lucini in carcere, 1828, Olio su tela, 116 x 151 cm
L’acquisizione del Ritratto del conte colonnello Francesco Teodoro Arese Lucini in carcere di Hayez permette alle Gallerie fiorentine di arricchire il proprio patrimonio con un’opera fondamentale, non solo per il suo valore pittorico, ma anche per il suo forte significato storico e politico in relazione ai moti risorgimentali. In quest’olio su tela, che si caratterizza per la sua carica rivoluzionaria, emerge infatti la capacità di Hayez, tra i maggiori interpreti del Romanticismo italiano e internazionale, di esprimere le speranze, e al tempo stesso le delusioni, del Risorgimento italiano.
Il “nobile gentiluomo”, come lo stesso Hayez aveva definito Arese Lucini, da membro dell’aristocrazia, volle infrangere le ingessate convenzioni della ritrattistica scegliendo di farsi raffigurare in catene (sebbene al momento in cui il dipinto venne eseguito la pena fosse già effettivamente conclusa). Ex colonnello napoleonico, attivo nei moti risorgimentali del 1820-21, finito sotto processo e oggetto, due anni più tardi, di una condanna a morte, il conte volle affidare al geniale tocco del pittore lombardo, un tentativo di riscatto sociale.
La pena capitale era stata infatti convertita in tre anni di detenzione nel lugubre penitenziario austriaco dello Spielberg (lo stesso in cui Silvio Pellico scrisse Le mie Prigioni), dopo che, durante il processo, il conte colonnello aveva riferito alla corte tutto quello che sapeva degli altri accusati, giustificandosi con la propria presunta incapacità a mentire.
Francesco Hayez, Ritratto del conte colonnello Francesco Teodoro Arese Lucini in carcere, 1828, Olio su tela, 116 x 151 cm
“Arese - commenta il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt - condannato per aver partecipato ai falliti moti anti-austriaci del 1820-21, rivelò i nomi dei cospiratori e di Federico Confalonieri, professando un’impossibilità di mentire che certo lo salvò dalla condanna a morte, ma non da anni di carcere durissimo che minarono gravemente la sua salute. Il dipinto riassume mirabilmente la vicenda e le ragioni del conte, ma soprattutto offre a Francesco Hayez, il più grande pittore del Romanticismo italiano, la possibilità di misurarsi con la psicologia del personaggio e di offrire una delle prove più alte della sua produzione pittorica. Le Gallerie degli Uffizi si arricchiscono così di un capolavoro riprodotto nei più importanti testi sull’Ottocento”.
Scegliendo di farsi immortalare da Hayez in veste di “martire carcerario” Arese-Lucini riuscì infatti, con grande efficacia comunicativa, a trasmettere all’opinione pubblica un’immagine delle sue condizioni di prigionia, tale da dissolvere ogni ombra e dubbio sul proprio comportamento processuale. Il protagonista del dipinto fu anche un appassionato collezionista e un generoso mecenate. Nel corso della sua vita, infatti, Lucini ebbe modo di venire in possesso di altri capolavori di Hayez, come la prima versione perduta del Il Conte di Carmagnola mentre sta per essere condotto al supplizio raccomanda la sua famiglia all’amico Gonzaga, ultima scena della tragedia di Alessandro Manzoni, oltre al Ritratto di Carlo Prayer nel personaggio di Alp (Il rinnegato veneto).
A incorniciare la sua figura, enfatizzando la durissima condizione del prigioniero, è lo squallore del carcere, le mura scabre della cella, il giaciglio sfatto, la cassa utilizzata come sedile, i ceppi che stringono le caviglie.
Così il grande pittore Francesco Hayez aveva ritratto, sul finire degli anni Venti dell’Ottocento, il conte Lucini in un dipinto divenuto celebre per la sua originalissima storia, oltre che per la sua intrinseca potenza espressiva.
Dal 1° gennaio lo si potrà ammirare all’inizio del percorso delle Gallerie degli Uffizi, in cima allo scalone lorenese, mentre al termine di un “tour” in diversi comuni toscani, che avrà luogo in primavera, il ritratto sarà esposto in maniera permanente nella Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti.
Francesco Hayez, Ritratto del conte colonnello Francesco Teodoro Arese Lucini in carcere, 1828, Olio su tela, 116 x 151 cm
L’acquisizione del Ritratto del conte colonnello Francesco Teodoro Arese Lucini in carcere di Hayez permette alle Gallerie fiorentine di arricchire il proprio patrimonio con un’opera fondamentale, non solo per il suo valore pittorico, ma anche per il suo forte significato storico e politico in relazione ai moti risorgimentali. In quest’olio su tela, che si caratterizza per la sua carica rivoluzionaria, emerge infatti la capacità di Hayez, tra i maggiori interpreti del Romanticismo italiano e internazionale, di esprimere le speranze, e al tempo stesso le delusioni, del Risorgimento italiano.
Il “nobile gentiluomo”, come lo stesso Hayez aveva definito Arese Lucini, da membro dell’aristocrazia, volle infrangere le ingessate convenzioni della ritrattistica scegliendo di farsi raffigurare in catene (sebbene al momento in cui il dipinto venne eseguito la pena fosse già effettivamente conclusa). Ex colonnello napoleonico, attivo nei moti risorgimentali del 1820-21, finito sotto processo e oggetto, due anni più tardi, di una condanna a morte, il conte volle affidare al geniale tocco del pittore lombardo, un tentativo di riscatto sociale.
La pena capitale era stata infatti convertita in tre anni di detenzione nel lugubre penitenziario austriaco dello Spielberg (lo stesso in cui Silvio Pellico scrisse Le mie Prigioni), dopo che, durante il processo, il conte colonnello aveva riferito alla corte tutto quello che sapeva degli altri accusati, giustificandosi con la propria presunta incapacità a mentire.
Francesco Hayez, Ritratto del conte colonnello Francesco Teodoro Arese Lucini in carcere, 1828, Olio su tela, 116 x 151 cm
“Arese - commenta il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt - condannato per aver partecipato ai falliti moti anti-austriaci del 1820-21, rivelò i nomi dei cospiratori e di Federico Confalonieri, professando un’impossibilità di mentire che certo lo salvò dalla condanna a morte, ma non da anni di carcere durissimo che minarono gravemente la sua salute. Il dipinto riassume mirabilmente la vicenda e le ragioni del conte, ma soprattutto offre a Francesco Hayez, il più grande pittore del Romanticismo italiano, la possibilità di misurarsi con la psicologia del personaggio e di offrire una delle prove più alte della sua produzione pittorica. Le Gallerie degli Uffizi si arricchiscono così di un capolavoro riprodotto nei più importanti testi sull’Ottocento”.
Scegliendo di farsi immortalare da Hayez in veste di “martire carcerario” Arese-Lucini riuscì infatti, con grande efficacia comunicativa, a trasmettere all’opinione pubblica un’immagine delle sue condizioni di prigionia, tale da dissolvere ogni ombra e dubbio sul proprio comportamento processuale. Il protagonista del dipinto fu anche un appassionato collezionista e un generoso mecenate. Nel corso della sua vita, infatti, Lucini ebbe modo di venire in possesso di altri capolavori di Hayez, come la prima versione perduta del Il Conte di Carmagnola mentre sta per essere condotto al supplizio raccomanda la sua famiglia all’amico Gonzaga, ultima scena della tragedia di Alessandro Manzoni, oltre al Ritratto di Carlo Prayer nel personaggio di Alp (Il rinnegato veneto).
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