Cezanne e la critica

Il dipinto "bagnanti" di Paul Cezanne
 

08/03/2002

Se ci un fu qualcosa nella vita di Cezanne che non creò in lui alcuna preoccupazione fu la promozione delle sue opere. E questo non fu determinato dal fatto che godesse di una buona considerazione da parte della critica, tutt’altro: è noto infatti come per riuscire ad esporre un proprio quadro in qualche Salon il maestro di Aix dovesse vincere le resistenze di coloro che dicevano i suoi quadri dipinti con “spazzolini da denti e scope”. In realtà questo suo sottrarsi ad ogni iniziativa che potesse favorire lui e la sua opera è spiegabile, oltre che dalla situazione economica abbastanza tranquilla della quale godeva, sia dalla natura schiva e riservata che lo portava ad immergersi completamente nella propria ricerca, lontano dal clamore degli ambienti mondani parigini che così poco amava. Se non avessimo le testimonianze raccolte da alcuni giovani artisti come Emile Bernard e Mauris Denis, che si recarono a fargli visita negli ultimi anni della sua vita, la sua personalità sarebbe a noi quasi completamente sconosciuta. E furono proprio i suoi colleghi pittori a scoprire per primi di quale grande valore erano portatori i dipinti di Cezanne, loro per primi compresero quale fosse la novità assoluta del suo linguaggio: la “logica nuova e originale” della sua arte veniva non a caso scoperta proprio da coloro che erano soliti confrontarsi con problemi principalmente figurativi. Artisti furono i primi collezionisti dei suoi dipinti: Camille Pissarro, suo grande amico, ne possedette circa venti, Monet quattordici, Degas sette, Renoir e Calleibot ne acquistarono da Vollard quattro ciascuno. Il resto del circuito artistico non aveva i mezzi per comprenderlo, per percepire che dietro quella continua e quasi maniacale ripetizione dei soggetti vi era la ricerca di chi, poco interessato ai contenuti, rifletteva sui meccanismi fondamentali del processo pittorico. Ci fu allora chi disse che il nome di Cezanne sarebbe rimasto “unito alla più memorabile burla dell’arte” e chi affermò “se si ammette Cezanne [...] non resta che dare fuoco al Louvre.” Ma contemporaneamente una vasta schiera di “addetti ai lavori” analizzava e studiava gli elaborati giochi di linee e colori con cui Cezanne, ignorando per la prima volta la prospettiva centrale tradizionale, ritraeva l’oggetto in una complessa serie di piani costruttivi. La ricerca di un nuovo sistema spaziale, rivelatore della struttura interna delle cose, proveniva dal suo implacabile sforzo di conoscenza del reale: i pittori che lo capirono intuirono subito che in quello che ad occhi profani appariva come insensato disordine vi era “la scoperta del vero ordine del sensibile”. Alle nuove generazioni lasciava aperta la strada per nuove e diverse soluzioni formali. Pablo Picasso, che nell’anno della morte del maestro di Aix aveva già iniziato a dipingere "Le demoiselle d’Avignon", nella sua illimitata riverenza a Cezanne affermava: “Per me fu l’unico maestro... per noi era la figura di un padre; era colui che offriva protezione.”