Giorgione: liricita' ed enigma

Cinquecento veneto. Dipinti dall’Ermitage.
 

11/06/2001

La Madonna con il bambino in paesaggio, opera esposta alla mostra bassanese e che da oltre dieci anni il pubblico italiano non aveva modo di ammirare, introduce ad uno dei temi fondamentali della creatività di Giorgione: l’armonia dell’essere umano con la natura circostante. L’immersione della figura nel paesaggio, tratto caratteristico dei suoi più celebri dipinti, dalla Tempesta delle Gallerie dell’Accademia alla Adorazione dei pastori della National Gallery of Art di Washington, dai Tre filosofi di Vienna alla Venere dormiente di Dresda, fu la causa del successo arriso al pittore a partire dall’inizio del Seicento, soprattutto in Francia. In quel periodo, stimolati dalle prove di Annibale Carracci (Lunette Aldobrandini) e dei suoi seguaci emiliani, Nicolas Poussin e Claude Lorrain sperimentarono a Roma i primi “paesaggi classici” (affascinanti dipinti nei quali l’episodio sacro o mitologico è inserito all’interno di brani paesaggistici esuberanti) e Pierre Crozat, uno dei maggiori collezionisti del tempo, si mise a raccogliere decine e decine di opere d’area veneta di ambientazione pastorale o archeologica. Furono attribuiti a Giorgione centinaia di quadri, per esempio il celeberrimo Concerto campestre del Louvre, oggi riconosciuto come originale tizianesco. Ancora nel secolo successivo un Ritrovamento di Mosè di Bonifacio Veronese venne etichettato come “il miglior Giorgione”. E questo accadde per opere di Cariani, Licinio, Catena, Palma il Vecchio fino alla fine del XIX secolo. Nella storia e nella storiografia dell’arte il “caso” di Giorgione è veramente unico. Di lui, fiorito a Venezia nel cuore del Rinascimento, abbiamo pochissime notizie; i dipinti certi, ricordati dalle fonti più antiche, non arrivano nemmeno a cinque. Ricamando leggende fantasiose intorno agli scarni episodi della biografia è stata costruita la figura di un eroe romanzesco: un giovane appassionato, morto poco più che trentenne, che evoca con il pennello l’idillio campestre, un mondo di natura incontaminata, di ragazzi innamorati, di fanciulle splendide. La lettura delle opere così non è riuscita sempre a svincolarsi dall’interpretazione letteraria, in chiave romantica. A parte i rovinatissimi affreschi del Fondaco dei Tedeschi a Venezia, i dipinti sicuri sono solo quattro: la Tempesta, i Tre Filosofi, la Venere di Dresda (alla quale collaborò certamente Tiziano), la Pala di Castelfranco. Da soli, carichi come sono di sentimento poetico e di enigmaticità, sono stati in grado di creare il mito dell’artista intellettuale, appassionato di scienze occulte, che lavora per una clientela ristretta e colta, lontano dai clamori dell’ufficialità. Solo sulla Tempesta sono state scritte migliaia di pagine di commento; non c’è aggettivo squillante che non sia stato utilizzato per magnificarla; non c’è ambito o livello di cultura, di fonti, di significato che non sia stato perlustrato alla ricerca del soggetto: racconto biblico, mito classico, leggenda cristiana, episodio letterario, vicenda storica, allegoria ermetico-alchemica, ecc.. Le più recenti teorie (Settis) vedono nei due personaggi Adamo ed Eva scacciati dall’Eden ma c’è chi pensa che la Tempesta sia semplicemente “il più reticente dei reticenti quadri di Giorgione” (Gentili). Aderendo con totale convinzione alla linea tracciata da Giovanni Bellini, la vera rivoluzione di Giorgione fu quella della conquista definitiva del “tonalismo”: stese i dipinti senza troppo insistere su un preciso disegno, e mirò piuttosto a rendere i delicati passaggi chiaroscurali dei diversi toni del colore, sempre con mezzi più propriamente pittorici che grafici. Una vera innovazione fu inoltre l’uso delle “ombre colorate”: la tinta della parte in ombra, per esempio di un panneggio, non si ottiene caricando di nero il colore ma individuandone uno nuovo, più intenso. Si tratta di una tecnica destinata ad avere un seguito importante, fino alla fine dell’Ottocento, quando venne adottata dagli Impressionisti. Nel corso del Cinquecento l’evoluzione della pittura di Tiziano conferì al sentimentalismo giorgionesco un’energia espressiva nuova: si passò così dall’arte basata sui delicati e impalpabili passaggi di luce ad un robusto uso del colore steso a larghe pennellate (altra innovazione carica di sviluppi, si pensi a Rubens, Velazquez o Luca Giordano). E’ fuori di dubbio che la pittura di Giorgione continui ad infiammare gli animi dei giovani sui banchi di scuola e dei viaggiatori adulti in giro per il mondo. “Sarebbe effettivamente difficile dire di Giorgione qualcosa di più di questo: che le sue opere non sono null’altro che il limpido specchio del Rinascimento alla sua altezza suprema” scrisse il grande storico dell’arte Bernard Berenson alla fine del XIX secolo. Ci sentiamo di sottoscrivere tale altisonante dichiarazione.