In occasione dell’uscita di “Hitler contro Picasso e gli altri”, al cinema il 13 e il 14 marzo
Hitler e le avanguardie – Ne parla Demetrio Paparoni
Demetrio Paparoni in una recente fotografia di Guido Harari. Courtesy Demetrio Paparoni
Francesca Grego
02/03/2018
Marc Chagall, Otto Dix, Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Piet Mondrian, Oskar Kokoschka, Ernst Ludwig Kirchner, Edvard Munch: un cast formidabile per raccontare l’arte del primo scorcio del Novecento. A riunire le loro opere in un’unica mostra, insieme a quelle di altri 104 grandi talenti, fu Adolf Hitler in persona.
Ma l’intento era tutt’altro che celebrativo: nel fatiscente Istituto di Archeologia dell’Horfgarten di Monaco, nel 1937 Entartete Kunst - Arte degenerata - suggellava la guerra che il Reich condusse senza esclusione di colpi verso i protagonisti delle avanguardie. Dopo aver impedito agli artisti di creare e insegnare, ai musei di esporre opere non gradite, il regime passò al sequestro sistematico di dipinti e sculture da collezioni pubbliche e private, destinandole a lucrose aste all’estero o a roghi esemplari.
A distanza di 70 anni, il 13 e il 14 marzo il documentario “Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione dei nazisti per l’arte”, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, renderà il pubblico cinematografico italiano partecipe di queste vicende attraverso testimonianze, contributi critici e documenti originali.
Ernst Ludwig Kirchner, "Due nudi sul letto", 1907-1908, Kunstmuseum Bern
Ma cosa ha da contestare Hitler a Kandinskij e a Chagall, agli Espressionisti o ai Dadaisti? Perché l’arte delle avanguardie è ritenuta “degenerata”? Quale pericolo rappresenta per il regime?
Lo chiediamo al critico d’arte e curatore Demetrio Paparoni, che nel volume Il Bello, il Buono e il Cattivo ha analizzato i condizionamenti esercitati dalla politica sulle arti visive negli ultimi cent’anni.
“Il fenomeno è stato ben più ampio e non riguarda solo il Nazismo - spiega Paparoni - In Russia fino alla morte di Lenin gli artisti hanno goduto di una certa libertà, ma già nel ‘24 gli esponenti delle avanguardie ebbero molte difficoltà ad esprimersi liberamente. Poi, nel '34 il Realismo socialista divenne la dottrina di stato, agli artisti era dunque richiesto di mettersi al servizio del potere politico con opere letterarie, esplicite nei loro contenuti propagandistici.
Nei regimi totalitari l’arte doveva essere asservita all’ideologia, qualunque questa fosse. In questo l’Italia fascista fa eccezione, gli artisti hanno goduto di una certa libertà sul piano espressivo. Finivano in galera in quanto dissidenti, non per il proprio lavoro creativo.
La Germania nazista e l’Unione Sovietica hanno adottato la stessa politica nei confronti dell’arte seppure con alcune differenze, come la visione del popolo caratteristica dell’immaginario comunista. Ma sul piano della repressione si tratta di due realtà speculari, accomunate dal culto della personalità del leader, dalla celebrazione dell’uomo che cura il proprio corpo, dall’idea che per la patria qualunque sacrificio è legittimo e dovuto”.
Cosa fa di un artista tedesco o russo un fuorilegge?
"La sperimentazione linguistica, soprattutto se sganciata dal contenuto, genera un’arte criptica. Questo significa che nel lavoro di un artista d’avanguardia si potrebbe nascondere qualsiasi messaggio".
Ci sono movimenti o singoli artisti contro i quali la persecuzione nazista si è scagliata con più virulenza?
“I nazisti hanno penalizzato chiunque non rispettasse i canoni imposti dal regime. Anche Emil Nolde, un artista espressionista di grandissimo talento, nazista della prima ora, fu messo all’indice e incluso nella mostra degli artisti “degenerati”. Il motivo per cui abbiamo così tanti acquerelli di Nolde è che gli acquerelli potevano essere facilmente nascosti, i dipinti sono più ingombranti e soprattutto la pittura a olio ha un odore caratteristico che difficilmente sarebbe passato inosservato in caso di controlli".
Paul Klee, Greco e i barbari, 1920, Kunstmuseum Bern
Qual è la lezione che ci viene da tutto questo?
"È interessante ricordare il modo in cui è nata documenta a Kassel, una delle più importanti manifestazioni d’arte contemporanea europee. Nel dopoguerra in Germania si resero conto che si era persa memoria degli artisti messi in ombra dal Nazionalsocialismo. Come indica il nome, nel 1955 documenta esordì proprio con l’obiettivo di documentare quest’arte dimenticata.
Oggi sappiamo che in ogni politico che pretende di mettere becco sulle scelte degli artisti, sul modo in cui un artista intende presentare il proprio lavoro, si nasconde uno spirito pericolosamente autoritario. La libertà di espressione degli artisti è la cartina di tornasole della libertà di un intero popolo".
Quali sono i precedenti storici dell’atteggiamento nazista nei confronti dell’arte? È la prima volta che il potere politico mette in atto misure così aggressive?
“Durante il periodo della Rivoluzione Francese si sono visti fenomeni abbastanza simili: agli artisti era stato chiesto espressamente di mettersi al servizio della Rivoluzione. Ma la propaganda politica moderna l’ha inventata Napoleone. Un grandissimo artista come Jacques-Louis David nasce rivoluzionario e finisce napoleonico. Nel momento di passaggio da una fase storica all’altra non gli viene risparmiata nemmeno l’esperienza del carcere, ma ha saputo adattarsi al potere del momento. Ciò non toglie che la sua arte è una grande arte: le vicende personali degli artisti non devono influire sui nostri giudizi estetici”.
A proposito di voltagabbana, come immagini la trasformazione di Joseph Goebbels, appassionato collezionista dell’arte delle avanguardie e in seguito loro acerrimo persecutore?
“Non credo avesse molte possibilità di scelta, doveva adattarsi alla volontà del Fürher. Per i gerarchi nazisti il potere era la più grande forma di piacere a cui potesse aspirare un uomo: non dev’essere stato un problema per Goebbels rinnegare i propri gusti.
Dal canto suo Hitler sapeva benissimo che la grandezza di un popolo deriva dalla sua arte, non a caso pensava di costruire la Grande Germania portando nel suo paese i capolavori di mezzo mondo.
C’era però una contraddizione: Hitler riconosceva e ricercava la grande arte del passato, ma non riusciva a comprendere il reale valore dell’arte a lui contemporanea, tant’è che dirottò la sua attenzione su artisti assolutamente mediocri. Restava fisso su canoni classicheggianti, che richiamassero anche nella forma i fasti della Grande Roma”.
Otto Dix, Leonie, 1923, Kunstmuseum Bern
Parliamo della mostra Entartete Kunst - Arte Degenerata, allestita nel 1937 a Monaco e itinerante nei quattro anni successivi in 11 città della Germania e dell’Austria, perché tutti potessero riconoscere la mostruosità di opere che oggi sono ritenute capisaldi della storia dell’arte…
“Un successo incredibile, una quantità di visitatori da far paura. La mostra fu ideata per mettere in ridicolo gli artisti, ma si trasformò in un boomerang, fu visitata da tantissima gente. L’allestimento fu concepito con meccanismi abbastanza curiosi, con lo scopo di mettere il pubblico a disagio. Per esempio la statua lignea di Cristo in croce di Ludwig Gies, che ha le ginocchia spinte in avanti, fu sistemata proprio davanti a una porta in modo da rendere scomoda l’entrata nella sala”.
Quali furono le conseguenze delle politiche artistiche di Hitler, in Germania e nel panorama internazionale?
“A differenza di quanto accaduto in Italia, nel dopoguerra gli artisti e gli intellettuali tedeschi hanno fatto autocritica sul proprio passato. Questo li ha portati a comprendere che non è possibile dire a un artista quello che deve o che non deve fare. In tal senso la nascita di documenta di Kassel, di cui si diceva prima, segna una svolta nella coscienza collettiva.
Trovo importante ribadirlo: un politico che invade il campo d’azione degli artisti nasconde in sé il seme di un principio autoritario. L’artista deve essere libero di presentare il proprio lavoro come vuole. Un esempio emblematico è il caso del Grande Vetro di Duchamp, che si ruppe durante un trasporto. Per dirla con un paradosso, i nazisti avrebbero chiamato il vetraio per farlo riparare, cioè avrebbero imposto a Duchamp come il lavoro dovesse essere presentato.
Un’altra importante conseguenza delle persecuzioni naziste fu l’emigrazione degli artisti. Durante la guerra molti tra i migliori talenti europei fuggirono verso gli Stati Uniti. È anche a questo che si deve il fatto che da lì a poco Parigi cedette a New York lo scettro di capitale mondiale dell’arte.”
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Ma l’intento era tutt’altro che celebrativo: nel fatiscente Istituto di Archeologia dell’Horfgarten di Monaco, nel 1937 Entartete Kunst - Arte degenerata - suggellava la guerra che il Reich condusse senza esclusione di colpi verso i protagonisti delle avanguardie. Dopo aver impedito agli artisti di creare e insegnare, ai musei di esporre opere non gradite, il regime passò al sequestro sistematico di dipinti e sculture da collezioni pubbliche e private, destinandole a lucrose aste all’estero o a roghi esemplari.
A distanza di 70 anni, il 13 e il 14 marzo il documentario “Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione dei nazisti per l’arte”, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, renderà il pubblico cinematografico italiano partecipe di queste vicende attraverso testimonianze, contributi critici e documenti originali.
Ernst Ludwig Kirchner, "Due nudi sul letto", 1907-1908, Kunstmuseum Bern
Ma cosa ha da contestare Hitler a Kandinskij e a Chagall, agli Espressionisti o ai Dadaisti? Perché l’arte delle avanguardie è ritenuta “degenerata”? Quale pericolo rappresenta per il regime?
Lo chiediamo al critico d’arte e curatore Demetrio Paparoni, che nel volume Il Bello, il Buono e il Cattivo ha analizzato i condizionamenti esercitati dalla politica sulle arti visive negli ultimi cent’anni.
“Il fenomeno è stato ben più ampio e non riguarda solo il Nazismo - spiega Paparoni - In Russia fino alla morte di Lenin gli artisti hanno goduto di una certa libertà, ma già nel ‘24 gli esponenti delle avanguardie ebbero molte difficoltà ad esprimersi liberamente. Poi, nel '34 il Realismo socialista divenne la dottrina di stato, agli artisti era dunque richiesto di mettersi al servizio del potere politico con opere letterarie, esplicite nei loro contenuti propagandistici.
Nei regimi totalitari l’arte doveva essere asservita all’ideologia, qualunque questa fosse. In questo l’Italia fascista fa eccezione, gli artisti hanno goduto di una certa libertà sul piano espressivo. Finivano in galera in quanto dissidenti, non per il proprio lavoro creativo.
La Germania nazista e l’Unione Sovietica hanno adottato la stessa politica nei confronti dell’arte seppure con alcune differenze, come la visione del popolo caratteristica dell’immaginario comunista. Ma sul piano della repressione si tratta di due realtà speculari, accomunate dal culto della personalità del leader, dalla celebrazione dell’uomo che cura il proprio corpo, dall’idea che per la patria qualunque sacrificio è legittimo e dovuto”.
Cosa fa di un artista tedesco o russo un fuorilegge?
"La sperimentazione linguistica, soprattutto se sganciata dal contenuto, genera un’arte criptica. Questo significa che nel lavoro di un artista d’avanguardia si potrebbe nascondere qualsiasi messaggio".
Ci sono movimenti o singoli artisti contro i quali la persecuzione nazista si è scagliata con più virulenza?
“I nazisti hanno penalizzato chiunque non rispettasse i canoni imposti dal regime. Anche Emil Nolde, un artista espressionista di grandissimo talento, nazista della prima ora, fu messo all’indice e incluso nella mostra degli artisti “degenerati”. Il motivo per cui abbiamo così tanti acquerelli di Nolde è che gli acquerelli potevano essere facilmente nascosti, i dipinti sono più ingombranti e soprattutto la pittura a olio ha un odore caratteristico che difficilmente sarebbe passato inosservato in caso di controlli".
Paul Klee, Greco e i barbari, 1920, Kunstmuseum Bern
Qual è la lezione che ci viene da tutto questo?
"È interessante ricordare il modo in cui è nata documenta a Kassel, una delle più importanti manifestazioni d’arte contemporanea europee. Nel dopoguerra in Germania si resero conto che si era persa memoria degli artisti messi in ombra dal Nazionalsocialismo. Come indica il nome, nel 1955 documenta esordì proprio con l’obiettivo di documentare quest’arte dimenticata.
Oggi sappiamo che in ogni politico che pretende di mettere becco sulle scelte degli artisti, sul modo in cui un artista intende presentare il proprio lavoro, si nasconde uno spirito pericolosamente autoritario. La libertà di espressione degli artisti è la cartina di tornasole della libertà di un intero popolo".
Quali sono i precedenti storici dell’atteggiamento nazista nei confronti dell’arte? È la prima volta che il potere politico mette in atto misure così aggressive?
“Durante il periodo della Rivoluzione Francese si sono visti fenomeni abbastanza simili: agli artisti era stato chiesto espressamente di mettersi al servizio della Rivoluzione. Ma la propaganda politica moderna l’ha inventata Napoleone. Un grandissimo artista come Jacques-Louis David nasce rivoluzionario e finisce napoleonico. Nel momento di passaggio da una fase storica all’altra non gli viene risparmiata nemmeno l’esperienza del carcere, ma ha saputo adattarsi al potere del momento. Ciò non toglie che la sua arte è una grande arte: le vicende personali degli artisti non devono influire sui nostri giudizi estetici”.
A proposito di voltagabbana, come immagini la trasformazione di Joseph Goebbels, appassionato collezionista dell’arte delle avanguardie e in seguito loro acerrimo persecutore?
“Non credo avesse molte possibilità di scelta, doveva adattarsi alla volontà del Fürher. Per i gerarchi nazisti il potere era la più grande forma di piacere a cui potesse aspirare un uomo: non dev’essere stato un problema per Goebbels rinnegare i propri gusti.
Dal canto suo Hitler sapeva benissimo che la grandezza di un popolo deriva dalla sua arte, non a caso pensava di costruire la Grande Germania portando nel suo paese i capolavori di mezzo mondo.
C’era però una contraddizione: Hitler riconosceva e ricercava la grande arte del passato, ma non riusciva a comprendere il reale valore dell’arte a lui contemporanea, tant’è che dirottò la sua attenzione su artisti assolutamente mediocri. Restava fisso su canoni classicheggianti, che richiamassero anche nella forma i fasti della Grande Roma”.
Otto Dix, Leonie, 1923, Kunstmuseum Bern
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“Un successo incredibile, una quantità di visitatori da far paura. La mostra fu ideata per mettere in ridicolo gli artisti, ma si trasformò in un boomerang, fu visitata da tantissima gente. L’allestimento fu concepito con meccanismi abbastanza curiosi, con lo scopo di mettere il pubblico a disagio. Per esempio la statua lignea di Cristo in croce di Ludwig Gies, che ha le ginocchia spinte in avanti, fu sistemata proprio davanti a una porta in modo da rendere scomoda l’entrata nella sala”.
Quali furono le conseguenze delle politiche artistiche di Hitler, in Germania e nel panorama internazionale?
“A differenza di quanto accaduto in Italia, nel dopoguerra gli artisti e gli intellettuali tedeschi hanno fatto autocritica sul proprio passato. Questo li ha portati a comprendere che non è possibile dire a un artista quello che deve o che non deve fare. In tal senso la nascita di documenta di Kassel, di cui si diceva prima, segna una svolta nella coscienza collettiva.
Trovo importante ribadirlo: un politico che invade il campo d’azione degli artisti nasconde in sé il seme di un principio autoritario. L’artista deve essere libero di presentare il proprio lavoro come vuole. Un esempio emblematico è il caso del Grande Vetro di Duchamp, che si ruppe durante un trasporto. Per dirla con un paradosso, i nazisti avrebbero chiamato il vetraio per farlo riparare, cioè avrebbero imposto a Duchamp come il lavoro dovesse essere presentato.
Un’altra importante conseguenza delle persecuzioni naziste fu l’emigrazione degli artisti. Durante la guerra molti tra i migliori talenti europei fuggirono verso gli Stati Uniti. È anche a questo che si deve il fatto che da lì a poco Parigi cedette a New York lo scettro di capitale mondiale dell’arte.”
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