I colori del pensiero

 

25/02/2004

E’ in corso a Basilea, alla Fondazione Bayeler la mostra intitolata “A consummated Experience between Picture and Onlooker” dedicata a Mark Rothko, che ci dà l’occasione di approfondire l’opera e la personalità di uno dei più importanti artisti della sua generazione, che può identificarsi con la scuola di New York, gruppo emergente negli anni quaranta, nuova voce collettiva dell’arte americana. Durante una carriera che attraversa cinque decenni la ricerca di Rothko si è volta allo studio degli elementi formali (colore, forma, bilanciamento, profondità, composizione), creando un nuovo tipo di arte astratta. Tra le 75 opere esposte spicca l’allestimento di due stanze intere rispettivamente dedicate alla famosa Phillips Collection di Washington e ai murali di Harvard, esempio di come la ricerca spaziale di Rothko tentasse di mettere in crisi la percezione di piattezza di un dipinto, rapportandolo con l’ambiente non attraverso regole prospettiche illusionistiche, ma con sensazioni atmosferiche date dai colori che coinvolgono sia lo spettatore sia il luogo del quadro. Dopo le prime esperienze di pittura dal vero (non prive di una certa deformazione espressionistica) durante gli anni quaranta l’arte di Rothko diventa sempre più simbolica, (una delle cause è sicuramente il clima di ansia degli anni di guerra). Per l’artista russo-americano servono nuove forme, nuovi idiomi adatti ad esprimere la tragedia storica ed esistenziale umana. Ma serve anche una nuova attenzione ai contenuti, ai soggetti e alla forza evocativa dell’arte, come afferma una lettera al New York Times del ’43, in cui Rothko polemizza con l’abitudine “accademica” a non interessarsi a ciò che viene rappresentato, purché venga dipinto bene. Forte è poi l’influenza dei surrealisti emigrati in America. Rothko oltre a sperimentare la scrittura automatica, scopre e dipinge forme biomorfe e si appassiona ai miti, alle profezie, ai rituali arcaici e agli scenari dell’inconscio. “Questi soggetti riguardano non il singolo racconto, ma lo Spirito del Mito, che è comune a tutti i miti di tutte le epoche” Il Sacrificio di Ifigenia del 1942 ne è testimonianza. Presto Rothko affermerà di voler usare una “forma semplice per un pensiero complesso” e di favorire le “grandi dimensioni perché hanno l’impatto dell’inequivocabile” e di “preferire le forme piatte perché distruggono l’illusione e rivelano la verità”: Nel 1947 dalle sue opere sono ormai scomparsi gli elementi simbolici e surrealisti per far spazio alla non-oggettività e all’indeterminatezza delle forme condensatrici di colori che costituiscono lo stile classico di Rothko. “I piccoli dipinti sin dal Rinascimento sono come le novelle, mentre i dipinti di grandi dimensioni sono drammi a cui uno partecipa direttamente” afferma il pittore che vuole che la sua arte sfondi le pareti (sia quindi anti-decorativa), creando un’atmosfera particolare, evocata dai colori, che coinvolga lo spettatore. “Eliminare gli ostacoli tra il pittore e l’idea e tra l’idea e lo spettatore” dirà ancora. Tra gli anni cinquanta e i sessanta, a partire dal lavoro per i murali commissionati dal ristorante Four Seasons nel Seagram Building di New York, la tavoletta di Rothko si scurisce notevolmente (usa prevalentemente il rosso, il marrone e il nero) e la tecnica vede una sovrapposizione di stesure fino ad ottenere una superficie vellutata. Certe tematiche rivelano la lettura di Nietzsche, come il dualismo tra l’elemento compositivo astratto e razionale e quello unitario, originario, emotivo, che richiama la polarità dei principi dionisiaco e apollineo della “Nascita della tragedia” nietzschiana, o come il concetto di spazialità aperta che richiama quello filosofico di “sublime” e di immensità senza limiti della natura. Col passare degli anni la pittura di Rothko si fa sempre più ascetica e minimalista, tuttavia senza mai abbandonare la convinzione di poter trasmettere un’esperienza emotiva. Egli vuole sempre trovare una connessione con l’anima di chi si trova davanti ai suoi quadri. Per questo è importante che i suoi dipinti siano “grandi, ricchi di colori e senza cornice” poiché come egli afferma “i muri dei musei di solito sono immensi comportando il pericolo che i quadri si relazionino ad essi come parti decorative. Questa sarebbe una distorsione del loro significato, poiché i dipinti sono intimi e intensi, ovvero l’opposto di ciò che è decorativo e sono stati creati nelle dimensioni della vita normale, piuttosto che in quelle istituzionali da museo”. Questa è un’ulteriore conferma dell’assidua ricerca dell’artista volta a creare opere che siano esperienze da vivere, e di come sia riduttivo e difficile cercare di ricavarne un significato enunciabile a parole. Lo stesso Rothko cominciò a fuggire nel corso degli anni le spiegazioni, pronunciando frasi di elogio dell’accuratezza del silenzio.