Intervista a Florio Pozza
 
										
										 
										
										
																		
																									Pozza
															
							25/02/2004
							 Florio Pozza mi accoglie nel suo appartamento di Vicenza. E’ una persona semplice la cui passione si esprime anche nell’arredamento della casa dove ad ogni parete e’ appeso un segno dell’Australia: un boomerang, una foto, un suo quadro.
Mi fa fare visitare le stanze dove sono appese alcune delle sue opere, il laboratorio, suona un po’ di didgeridoo (uno strumento musicale aborigeno), poi ci sediamo sotto l’occhio vigile di alcuni gatti, e cominciamo a parlare:
 Florio, com’è nata l’esigenza del ritorno in Australia?
E’ stata un’esigenza istintiva che e’ scattata di punto in bianco. C’è sempre stata in me una nostalgia latente della terra natale che di colpo e’ esplosa violentemente.
Una settimana dopo avevo già il biglietto e sono partito per un viaggio in Australia di due mesi.
Perché è successo così tardi, a 42 anni?
Al ritorno in Italia a 12 anni ho avuto una crisi di identità della quale però non ero pienamente cosciente. Poi, verso i 28/30 anni, ho trovato una dimensione, un equilibrio, italiana. Ma non un identità. Ho portato a termine le mie esperienze e il ritorno in Australia è stato come un ripartire da zero. C’è stata la fortissima esigenza di riprendere le radici dal punto esatto in cui le avevo lasciate.
 Come è nata l’idea di utilizzare la tecnica dello sbalzo e del cesello su temi aborigeni?
La tecnica è rappresentativa della mia parte Italiana. Perché è una tecnica mediterranea e antica. L’incontro tra le due culture ha creato questa forma in modo quasi indipendente dalla mia volontà. Ho preso spunto dall’arte aborigena in quanto considero gli Aborigeni parte della Terra Australiana alla quale sento una forte appartenenza. La nostalgia infatti è la mia spinta creativa più forte. Un nuovo ritorno in Australia per me sarebbe una cosa esplosiva dal punto di vista umano per i rapporti profondi che ho con la popolazione aborigena.
Ti definisci un artista aborigeno?
Assolutemente no. L’unico punto in comune è l’appartenenza alla terra. Prendo spunto dall’arte aborigena rupreste antica perchè rappresenta la mia ricerca delle origini. La considero un alfabeto attraverso il quale sto sviluppando un mio linguaggio personale che appartiene a tutta l’umanità. Perchè siamo tutti aborigeni, nel senso che essi rappresentano il nostro io ancestrale, animale, dei primordi, l’io energia, sinergia perfetta con la natura.
Quali saranno i tuoi prossimi sviluppi artistici?
Per il momento sento che la mia attività artistica sarà comunque legata alla terra australiana, forse non più con temi prettamente aborigeni ma per esempio con le espressioni proprie del territorio. Tutto però dipende dall’evoluzione della mia esistenza, non posso prevedere gli eventi.
 Conti di andare a vivere in Australia?
Il mio ideale al momento è di ritornare a vivere in Australia e di approfondire e riprendere i contatti con gli amici aborigeni.
E il mercato artistico Australiano?
Promuovendo la ricchezza dell’arte aborigena e della cultura mediterranea ho trovato qui in Italia forti riscontri che però non posso dire se si ripeteranno anche in Australia. Credo molto nell’evoluzione degli eventi, quindi tendo a non forzare le cose. Cerco sempre di capire se sto forzando o se sto seguendo l’evoluzione con il giusto equilibrio.
Come ha risposto l’Italia alla tua proposta artistica?
Al momento ci sono molti apprezzamenti per la mia tecnica che viene considerata molto originale grazie soprattutto al puntinato e l’abbinamento con le ocre e i colori. L’interesse generale è in continua crescita.
Prima che me ne vada, Florio prende la sua chitarra e suona un arpeggio deciso e sereno, sta già preparando un terzo Cd dove il didgeridoo e la chitarra cercano un’intesa per raccontare, anche in questo modo, la nostalgia per la terra lontana.						
						
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