La parola al direttore della Pinacoteca di Brera
James Bradburne racconta Umberto Boccioni, l'artista venuto dal futuro
Umberto Boccioni, La città che sale, 1910. Museum of Modern Art, New York
Samantha De Martin
21/11/2022
“Verrà un tempo in cui il quadro non basterà più. Le opere pittoriche saranno vorticose composizioni musicali di enormi gas colorati”.
Sfidando secoli di immobilità, liberando una volta per tutte la scultura dalle forme chiuse e dalla bellezza classica, Umberto Boccioni, degno allievo di Giacomo Balla, frugando nei semi di un’epoca nella quale iniziavano a fare capolino il primo aeroplano, la prima automobile, il primo telegrafo, tesseva le radici della modernità.
“Il futurismo adotta il movimento come principio ed unico fine. Lo Sviluppo di una bottiglia nello spazio e Forme uniche della continuità nello spazio iniziano la sola e vera grande evoluzione dell’arte contemporanea” scriveva nel 1951 Lucio Fontana.
E non è un caso che l’archistar statunitense Frank Gehry abbia dichiarato apertamente: “la lezione di Boccioni è stata alla base della progettazione dei miei avveniristici edifici come il Guggenheim di Bilbao. Le linee rette delle mie costruzioni, nella tensione a fendere l’aria, si sono deformate, diventando arco, parabola, appunto traiettoria”.
James Bradburne in FORMIDABILE BOCCIONI | © ARTE.it
“Viviamo tutti, come Boccioni, Freud e Einstein senza sapere cosa ci riserverà il futuro, così come Einstein nel 1907 non prevedeva il pieno impatto della sua consapevolezza che energia e materia fossero correlate. Tuttavia, il futuro di Einstein, quello di Freud e quello di Boccioni sono stati in gran parte realizzati.” A soffermarsi sulla modernità di Boccioni è James M. Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera, a Milano, scrigno che accoglie alcuni straordinari capolavori del maestro come Rissa in Galleria e l’Autoritratto del 1908.
Quella di Bradburne è una delle autorevoli voci che, nel documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura, e disponibile in esclusiva su ItsART, restituiscono il ritratto fedele dell’artista geniale, inquieto, primo attore del Futurismo.
Frame da Formidabile Boccioni | Courtesy of Goldschmied & Chiari , Paesaggi Artificiali, 2021 | © ARTE.it
Divenuto pittore in maniera non convenzionale, Boccioni, abbracciando la rivoluzione di Marinetti, dedicò la sua vita a inventare un nuovo linguaggio contemporaneo per esprimere la modernità in pittura e in scultura. Anno della svolta fu il 1910, quando, il 21 febbraio, Boccioni conobbe a Milano il poeta Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. E dello stesso anno è anche uno dei capolavori di Boccioni conservati presso la Pinacoteca di Brera, Rissa in galleria, composto nei mesi immediatamente successivi alla firma del Manifesto Tecnico della Pittura Futurista (1910), dove il pittore utilizza - ed esaspera - la tecnica divisionista per studiare i movimenti della folla e per creare inediti effetti di luce e di dinamismo, accentuati dall’uso di vivacissimi colori complementari.
Proprio a Milano, attratto dal nuovo spirito tecnologico che animava la città, Boccioni si era trasferito dopo un periodo trascorso a Roma, deluso dal clima artistico della capitale dove i fermenti e le novità che si agitavano in Europa non trovavano alcuna risonanza.
Parliamo del 1910. Perché la prima decade del XX secolo fu così straordinaria?
“Probabilmente non è mai esistito un periodo simile. Sono gli anni in cui Freud pubblica i primi scritti sul subconscio, Einstein formula la teoria della relatività, Picasso per primo getta le basi del Cubismo. Parliamo di anni dinamici, di rottura, che assistono al culmine della resistenza e del desiderio di cambiare il mondo”.
Umberto Boccioni, Rissa in galleria, 1910, Milano, Pinacoteca di Brera, Dalla Collezione Emilio e Maria Jesi. Dimensioni: 76×64 cm
Com’è Milano in quegli anni e in che modo influenzerà Boccioni?
“Milano era al centro della modernità in Italia. E qui abbiamo la Galleria, di per sé un edificio molto moderno, un enorme tempio dello shopping che si sviluppa in quattro direzioni. E poi c’è Boccioni che sta effettuando una transizione da uno stile già innovativo di pittura verso qualcos'altro, ed è sul punto di fare una scoperta. Come giovane artista è alla ricerca di un nuovo linguaggio capace di esprimere le idee di un'epoca nella quale fanno capolino il primo aeroplano, la prima automobile, il primo telegrafo. Vediamo un artista che sta vivendo la nascita della modernità”.
Che anni erano quelli?
“Il Futurismo si è consolidato intorno alla figura di Marinetti, ma aveva bisogno di un catalizzatore. Questo stava accadendo in tutti i maggiori centri europei, a Parigi, a Mosca, a Londra. Si respirava un’ansia legata al futuro - perché c'era un estremo ottimismo sul tipo di mondo che avremmo potuto creare con macchine in grado di fare cose - ma anche un'ansia che veniva da un mondo che stava chiaramente crollando. Siamo alla fine dell'Impero Austro-Ungarico, siamo al capolinea di un ordine mondiale. A pochi anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale lo stesso Boccioni morirà. È un momento in cui si guarda avanti con eccitazione. D’altra parte il Futurismo suggeriva anche che le idee moderne fossero un modo per spazzare via le macerie del passato”.
Tuttavia era Parigi ad aggiudicarsi il titolo di capitale dell’arte mondiale…
“Marinetti, Balla, Carrà e Boccioni facevano parte del fermento italiano della modernità, ma naturalmente il centro dell'universo culturale non era Milano, bensì Parigi. A Parigi avremmo incontrato Picasso, Giacometti, Duchamp, a Parigi esordiscono il Surrealismo e il movimento Dada. Tutto ciò che era importante nel mondo artistico accadeva a Parigi. Era ovvio che per un giovane artista che guardava al futuro e voleva creare un mondo nuovo, c’era solo un posto dove andare e quello era Parigi”.
Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it
Eppure Parigi non si fece trovare poi così preparata ad accogliere la rivoluzione dei Futuristi. Perché la capitale francese non era ancora pronta?
“Dobbiamo considerare che in modi diversi il pubblico parigino era ancora molto relativamente conservatore. Parigi non era solo il centro del mondo culturale, ma era anche il cuore del mondo economico europeo. La stampa non ha preso bene il futurismo ma bisogna anche considerare come la comunità artistica lo abbia accolto. A Parigi viveva anche Picasso e Picasso fu compreso da quel piccolo gruppo di persone che includeva artisti come Bocconi, Marinetti, Carrà. Loro lo hanno capito".
Che cosa rappresentava la guerra? In cosa consiste la battaglia modernista dei futuristi?
“I giovani in quegli anni vedevano la guerra come un’opportunità per essere cavalieri su cavalli bianchi, per essere eroi. Vedevano la guerra come un'operazione salutare e necessaria in Europa per sbarazzarsi delle vecchie monarchie e delle vecchie incrostazioni. Agli occhi di un trentenne nel 1914 bisognava creare un nuovo mondo luminoso nel quale aeroplani e macchine sarebbero andati veloci e tutto avrebbe funzionato. Era una visione idealistica e profondamente ottimistica di un futuro utopico. Pensavano che la modernità potesse spazzare via i problemi del vecchio mondo, ed ecco perché erano interessati all'aspetto del fascismo che prometteva di ripulire ogni cosa, di superare la vecchia burocrazia per superare la vecchia classe politica, il nepotismo. Si combatteva una battaglia modernista. Boccioni è morto in guerra perché credeva nella guerra intesa come un'operazione di pulizia, in Inghilterra, come anche in Francia o in Germania”.
Gli americani hanno compreso il modernismo prima degli altri?
“Assolutamente.E a dimostrarlo sono persone come Alfred Barr (il primo direttore del Museum of Modern Art di New York, ndr). Certo è curioso pensare che in America fino agli anni Trenta e Quaranta ci sono gallerie che vengono bombardate per aver mostrato arte modernista perché si era soliti dire "anche mio figlio sarebbe in grado di farlo. Anche in America negli anni Trenta le idee venivano contestate, ma c'erano visionari come Alfred Barr, il primo direttore del Museum of Modern Art di New York che oggi vanta la migliore collezione di arte moderna italiana".
Qual è il mondo dell’arte immaginato da Boccioni?
“Il mondo dell'arte immaginato da Boccioni è quello che va oltre la definizione dell'oggetto e della cornice, è il mondo in cui viviamo oggi, un mondo in cui la cultura e la cultura visiva sono disponibili in forma di suono, di luce, di esperienza. Stiamo vivendo la sua visione del futuro, lui si trovava sulla soglia, proprio come Einstein nel 1907 non prevedeva gli effetti positivi e negativi della sua consapevolezza che energia e materia fossero correlate. Il futuro di Einstein, il futuro di Freud e il futuro di Boccioni sono stati in realtà ampiamente realizzati".
Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it
Leggi anche:
• Peggy Guggenheim e Umberto Boccioni. Un incontro esplosivo nel racconto di Karole Vail
• Le opere di Boccioni da vedere in Italia
• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo
• Formidabile Boccioni. Il genio futurista in un docufilm
• Ester Coen racconta Boccioni, il pittore che sfidò i futuristi a colpi di luce e dinamismo
Sfidando secoli di immobilità, liberando una volta per tutte la scultura dalle forme chiuse e dalla bellezza classica, Umberto Boccioni, degno allievo di Giacomo Balla, frugando nei semi di un’epoca nella quale iniziavano a fare capolino il primo aeroplano, la prima automobile, il primo telegrafo, tesseva le radici della modernità.
“Il futurismo adotta il movimento come principio ed unico fine. Lo Sviluppo di una bottiglia nello spazio e Forme uniche della continuità nello spazio iniziano la sola e vera grande evoluzione dell’arte contemporanea” scriveva nel 1951 Lucio Fontana.
E non è un caso che l’archistar statunitense Frank Gehry abbia dichiarato apertamente: “la lezione di Boccioni è stata alla base della progettazione dei miei avveniristici edifici come il Guggenheim di Bilbao. Le linee rette delle mie costruzioni, nella tensione a fendere l’aria, si sono deformate, diventando arco, parabola, appunto traiettoria”.
James Bradburne in FORMIDABILE BOCCIONI | © ARTE.it
“Viviamo tutti, come Boccioni, Freud e Einstein senza sapere cosa ci riserverà il futuro, così come Einstein nel 1907 non prevedeva il pieno impatto della sua consapevolezza che energia e materia fossero correlate. Tuttavia, il futuro di Einstein, quello di Freud e quello di Boccioni sono stati in gran parte realizzati.” A soffermarsi sulla modernità di Boccioni è James M. Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera, a Milano, scrigno che accoglie alcuni straordinari capolavori del maestro come Rissa in Galleria e l’Autoritratto del 1908.
Quella di Bradburne è una delle autorevoli voci che, nel documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura, e disponibile in esclusiva su ItsART, restituiscono il ritratto fedele dell’artista geniale, inquieto, primo attore del Futurismo.
Frame da Formidabile Boccioni | Courtesy of Goldschmied & Chiari , Paesaggi Artificiali, 2021 | © ARTE.it
Divenuto pittore in maniera non convenzionale, Boccioni, abbracciando la rivoluzione di Marinetti, dedicò la sua vita a inventare un nuovo linguaggio contemporaneo per esprimere la modernità in pittura e in scultura. Anno della svolta fu il 1910, quando, il 21 febbraio, Boccioni conobbe a Milano il poeta Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. E dello stesso anno è anche uno dei capolavori di Boccioni conservati presso la Pinacoteca di Brera, Rissa in galleria, composto nei mesi immediatamente successivi alla firma del Manifesto Tecnico della Pittura Futurista (1910), dove il pittore utilizza - ed esaspera - la tecnica divisionista per studiare i movimenti della folla e per creare inediti effetti di luce e di dinamismo, accentuati dall’uso di vivacissimi colori complementari.
Proprio a Milano, attratto dal nuovo spirito tecnologico che animava la città, Boccioni si era trasferito dopo un periodo trascorso a Roma, deluso dal clima artistico della capitale dove i fermenti e le novità che si agitavano in Europa non trovavano alcuna risonanza.
Parliamo del 1910. Perché la prima decade del XX secolo fu così straordinaria?
“Probabilmente non è mai esistito un periodo simile. Sono gli anni in cui Freud pubblica i primi scritti sul subconscio, Einstein formula la teoria della relatività, Picasso per primo getta le basi del Cubismo. Parliamo di anni dinamici, di rottura, che assistono al culmine della resistenza e del desiderio di cambiare il mondo”.
Umberto Boccioni, Rissa in galleria, 1910, Milano, Pinacoteca di Brera, Dalla Collezione Emilio e Maria Jesi. Dimensioni: 76×64 cm
Com’è Milano in quegli anni e in che modo influenzerà Boccioni?
“Milano era al centro della modernità in Italia. E qui abbiamo la Galleria, di per sé un edificio molto moderno, un enorme tempio dello shopping che si sviluppa in quattro direzioni. E poi c’è Boccioni che sta effettuando una transizione da uno stile già innovativo di pittura verso qualcos'altro, ed è sul punto di fare una scoperta. Come giovane artista è alla ricerca di un nuovo linguaggio capace di esprimere le idee di un'epoca nella quale fanno capolino il primo aeroplano, la prima automobile, il primo telegrafo. Vediamo un artista che sta vivendo la nascita della modernità”.
Che anni erano quelli?
“Il Futurismo si è consolidato intorno alla figura di Marinetti, ma aveva bisogno di un catalizzatore. Questo stava accadendo in tutti i maggiori centri europei, a Parigi, a Mosca, a Londra. Si respirava un’ansia legata al futuro - perché c'era un estremo ottimismo sul tipo di mondo che avremmo potuto creare con macchine in grado di fare cose - ma anche un'ansia che veniva da un mondo che stava chiaramente crollando. Siamo alla fine dell'Impero Austro-Ungarico, siamo al capolinea di un ordine mondiale. A pochi anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale lo stesso Boccioni morirà. È un momento in cui si guarda avanti con eccitazione. D’altra parte il Futurismo suggeriva anche che le idee moderne fossero un modo per spazzare via le macerie del passato”.
Tuttavia era Parigi ad aggiudicarsi il titolo di capitale dell’arte mondiale…
“Marinetti, Balla, Carrà e Boccioni facevano parte del fermento italiano della modernità, ma naturalmente il centro dell'universo culturale non era Milano, bensì Parigi. A Parigi avremmo incontrato Picasso, Giacometti, Duchamp, a Parigi esordiscono il Surrealismo e il movimento Dada. Tutto ciò che era importante nel mondo artistico accadeva a Parigi. Era ovvio che per un giovane artista che guardava al futuro e voleva creare un mondo nuovo, c’era solo un posto dove andare e quello era Parigi”.
Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it
Eppure Parigi non si fece trovare poi così preparata ad accogliere la rivoluzione dei Futuristi. Perché la capitale francese non era ancora pronta?
“Dobbiamo considerare che in modi diversi il pubblico parigino era ancora molto relativamente conservatore. Parigi non era solo il centro del mondo culturale, ma era anche il cuore del mondo economico europeo. La stampa non ha preso bene il futurismo ma bisogna anche considerare come la comunità artistica lo abbia accolto. A Parigi viveva anche Picasso e Picasso fu compreso da quel piccolo gruppo di persone che includeva artisti come Bocconi, Marinetti, Carrà. Loro lo hanno capito".
Che cosa rappresentava la guerra? In cosa consiste la battaglia modernista dei futuristi?
“I giovani in quegli anni vedevano la guerra come un’opportunità per essere cavalieri su cavalli bianchi, per essere eroi. Vedevano la guerra come un'operazione salutare e necessaria in Europa per sbarazzarsi delle vecchie monarchie e delle vecchie incrostazioni. Agli occhi di un trentenne nel 1914 bisognava creare un nuovo mondo luminoso nel quale aeroplani e macchine sarebbero andati veloci e tutto avrebbe funzionato. Era una visione idealistica e profondamente ottimistica di un futuro utopico. Pensavano che la modernità potesse spazzare via i problemi del vecchio mondo, ed ecco perché erano interessati all'aspetto del fascismo che prometteva di ripulire ogni cosa, di superare la vecchia burocrazia per superare la vecchia classe politica, il nepotismo. Si combatteva una battaglia modernista. Boccioni è morto in guerra perché credeva nella guerra intesa come un'operazione di pulizia, in Inghilterra, come anche in Francia o in Germania”.
Gli americani hanno compreso il modernismo prima degli altri?
“Assolutamente.E a dimostrarlo sono persone come Alfred Barr (il primo direttore del Museum of Modern Art di New York, ndr). Certo è curioso pensare che in America fino agli anni Trenta e Quaranta ci sono gallerie che vengono bombardate per aver mostrato arte modernista perché si era soliti dire "anche mio figlio sarebbe in grado di farlo. Anche in America negli anni Trenta le idee venivano contestate, ma c'erano visionari come Alfred Barr, il primo direttore del Museum of Modern Art di New York che oggi vanta la migliore collezione di arte moderna italiana".
Qual è il mondo dell’arte immaginato da Boccioni?
“Il mondo dell'arte immaginato da Boccioni è quello che va oltre la definizione dell'oggetto e della cornice, è il mondo in cui viviamo oggi, un mondo in cui la cultura e la cultura visiva sono disponibili in forma di suono, di luce, di esperienza. Stiamo vivendo la sua visione del futuro, lui si trovava sulla soglia, proprio come Einstein nel 1907 non prevedeva gli effetti positivi e negativi della sua consapevolezza che energia e materia fossero correlate. Il futuro di Einstein, il futuro di Freud e il futuro di Boccioni sono stati in realtà ampiamente realizzati".
Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it
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