La cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto

Luca Signorelli
 

25/02/2004

Se entrate nel Duomo di Orvieto e percorrete la navata laterale destra fino al transetto, muniti di un biglietto d’accesso del costo di tremila lire, è possibile che abbiate conquistato una mezz’ora di puro, estatico godimento. Dietro una cancellata in ferro è infatti possibile ammirare, nella smagliante veste che il recente restauro ha loro conferito, gli affreschi che nella cappella di San Brizio Luca Signorelli realizzò tra il 1499 e il 1504. Si tratta di una delle maggiori imprese pittoriche del nostro Rinascimento, collocata nel momento di passaggio tra la morte di Lorenzo il Magnifico e Girolamo Savonarola (1492) e i papati di Giulio II (1503-13) e Leone X (1513-21), quando il centro del potere politico si sposta definitivamente da Firenze a Roma. Nel 1447 gli Orvietani avevano per la verità chiamato ad affrescare la loro cappella il Beato Angelico, pittore fiorentino, erede di Masaccio, allora residente presso la corte pontificia. In due anni egli realizzò appena due vele di una delle volte: un Cristo giudice e il coro dei Profeti. In suo aiuto aveva chiamato una nutrita schiera di giovani artisti, tra i quali Benozzo Gozzoli, che si erano occupati della decorazione dei costoloni con melegrane dorate e fiori, e delle fasce adiacenti con figurine contenute entro cornici esagonali. Tutto era però finito inspiegabilmente nel settembre del 1449. Per cinquant’anni non successe nulla. Nel periodo compreso tra il 1489 e il 1499 fallirono le trattative portate avanti con Pietro Perugino, pittore notoriamente esoso. Finalmente agli inizi dell’anno successivo venne raggiunto un accordo con Luca Signorelli. L’artista, allora cinquantenne, avrebbe dovuto portare a termine, secondo i disegni del Beato Angelico, le restanti due vele della volta d’altare. Il compito fu assolto così brillantemente che i padri del duomo gli affidarono anche l’esecuzione delle quattro vele della campata d’ingresso e degli affreschi sulle pareti. Se il primo incarico fu eseguito senza troppo sforzo immaginativo, con le figure dei Martiri, dei Patriarchi, delle Vergini e dei Dottori della Chiesa costruite, secondo l’esempio dell’Angelico, su fondo oro, il secondo compito fu occasione di una straordinaria prova di talento e originalità. Signorelli si diede a rappresentare il tema apocalittico-escatologico degli “ultimi giorni dell’umanità”. Sette sono le scene dipinte sulle quattro pareti: "Storie e predicazione dell’Anticristo", "il Finimondo", "la Resurrezione della carne", "l’Inferno", "l’Antinferno", "la Chiamata degli Eletti", "il Paradiso". La scelta del tema, insolito per l’arte rinascimentale, appare difficile da spiegare se non in diretta connessione con il turbamento delle coscienze causato, alla fine del secolo, oltre che da oroscopi e presagi catastrofici, dai recenti avvenimenti fiorentini (la morte al rogo di Savonarola). L’attesa ansiosa di un’età di rinnovamento profondo era comune agli ambienti dotti e a quelli popolari, orientati verso il riscatto del mondo cristiano dalla violenza e dal crimine. Altri profetavano la fine del mondo e l’avvento dell’Anticristo come giusto corollario all’aggravarsi della situazione politica italiana, alle invasioni turche, allo scandaloso pontificato di Alessandro VI Borgia. Nella "Predica dell’Anticristo" un consesso di personaggi contemporanei (si riconoscono Cesare Borgia, Cristoforo Colombo e altri) assiste al sermone dell’Anticristo, panneggiato all’antica e somigliante, nei tratti somatici, al Cristo. Le figure si dispongono in uno spazio aperto profondissimo, misurato dalla struttura del tempio. La padronanza delle regole prospettiche permette al pittore di sciorinare il racconto con semplicità e piglio. Il disegno, che soggiace alla costruzione delle figure e delle architetture, si propone come imprescindibile strumento di ricerca e conoscenza. Il tono delle altre scene è drammatico e concitato: anatomie scorciate, carnaio di corpi compressi, mischie furibonde tra dannati e demoni aguzzini nell’arcinoto "Inferno"; pose forzate, muscolature in evidenza nella ben riuscita "Resurrezione della carne". Nel registro inferiore, quello che chiude in basso le pareti, Signorelli inserisce infine la teoria degli uomini illustri. L’idea delle finestre che si aprono su cuoi istoriati a grottesche e dalle quali si affacciano i personaggi è stata mutuata dai pannelli lignei che rivestivano biblioteche e studioli (ad Urbino, per esempio). Ogni figura di saggio è circondata da tondi in monocromo con funzione identificativa. Il complesso programma iconografico, dettato al pittore da un ignoto dotto del tempo, è ancor oggi oggetto di studi. Si fanno i nomi di Dante, e dei poeti latini Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, uomini di intensa rettitudine morale, preconizzatori dell’insegnamento cristiano. In queste scene il linguaggio si fa più pacato, l’esuberanza decorativa prende il posto della lezione di anatomia, la narrazione degli eventi cataclismatici si interrompe e dà spazio alla riflessione. Cappella di San Brizio Affreschi di Luca Signorelli e di Beato Angelico Orario: lun-sab 10-12.45 e 14.30-19.15 (da ottobre 18.15); dom. e festivi 14.30-18.45 Ingresso: Lire 3000 (i biglietti si acquistano presso l’antistante Ufficio del Turismo)

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