La CONVERSIONE DI SAULO

 

25/05/2001

Il 24 settembre 1600 Michelangelo Merisi da Caravaggio stipula un contratto col cardinal Cerasi per una coppia di tele di “dieci palmi per otto, raffiguranti il mistero della conversione di san Paolo e il martirio di san Pietro, da consegnarsi entro otto mesi, dietro pagamento di quattrocento scudi”. Nel luglio precedente il Cerasi aveva acquisto una cappella in S. Maria del Popolo dove le due tele dovevano essere collocate. Il cardinale muore nel maggio 1601, lasciando come erede l’ospedale della Consolazione che a novembre risulta dare parte di un pagamento al pittore: le tele sono già finite da qualche mese e Caravaggio prende i soldi a più riprese. Molto si è detto sulla vicenda dei due dipinti che, secondo Maurizio Calvesi (“Le realtà del Caravaggio”, Einaudi, 1990), avrebbero avuto altrettanti precedenti non accettati. Anche sui rifiuti ricevuti da Caravaggio Calvesi è molto preciso: spesso sarebbero stati “incoraggiati dai collezionisti stessi, desiderosi di entrare in possesso dei capolavori scartati”, cosicché andrebbero a “testimoniare il successo di Caravaggio, piuttosto che il contrario”. La prima “Crocefissione di Pietro” è oggi andata perduta: qualcuno ha ipotizzato che una sua copia sarebbe quella del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. La “Conversione di Saulo” della collezione Odescalchi Balbi per anni è stata letta come iconografia rifiutata perché contraria agli Atti degli Apostoli che parlano di grande luce e non di apparizione di Cristo a Saulo. In realtà, come Calvesi ha puntualizzato, l’iconografia con l’apparizione era decisamente accettata, tanto è vero che è presente in opere precedenti come l’affresco di Michelangelo per la Cappella Paolina e il cartone di Raffaello per uno degli arazzi vaticani: “il Caravaggio dissacratore è cliché talmente preconcetto che favorisce sviste del genere”. Il pittore lombardo è tutt’altro che ignorante o sacrilego, le sue iconografie sono frutto di un’ampia portata culturale. Dall’arazzo di Raffaello Caravaggio riprende il Cristo di profilo sorretto dagli angeli, il cavallo con la testa voltata all’indietro, Saulo caduto, il soldato con la lancia. Da Michelangelo cita lo scudo aggiunto al soldato, accentua il gesto di coprirsi il volto da parte di Saulo, che non riesce a sostenere la forte luce. La volontà di Caravaggio è quella di mettere d’accordo tre passi degli Atti degli Apostoli in cui si cita l’episodio: nel terzo di questi Gesù si rivolge a Saulo parlando di apparizione. Saulo, però, colpito dalla luce non avrebbe potuto vederlo, ecco perché si copre il volto ed ecco perché non parla di apparizione ma solo di grande luce negli altri due passi. Il rifiuto probabilmente è legato solo in parte all’eccessiva concretezza dell’apparizione di Cristo; gran parte dei problemi doveva nascere dall’interpretazione dei tre passi degli Atti degli Apostoli con annose implicazioni dottrinarie. La scelta di scartare i dipinti in questo frangente sarebbe derivata anche dal materiale scelto: per i primi due tavole in legno di cipresso, per i secondi tele. Altro celebre esempio di questo tipo negli stessi anni è rappresentato dalla pala di Rubens per l’altare maggiore della Chiesa Nuova, che il pittore dapprima realizza su tavola, poi su ardesia per sua stessa scelta. Nel caso della committenza Cerasi la spinta di un collezionista avrebbe fatto il resto: così le due tavole vengono acquistate dal cardinal Sannesio, mentre le due tele vanno nella cappella.