Con il commento di James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera
La Pala di Brera, un gioiello dell’Umanesimo di Piero della Francesca
Piero della Francesca, Pala di Brera o Pala Montefeltro (Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro), 1472-1474, Tempera e olio su tavola, 251 x 173 cm, Milano, Pinacoteca di Brera
Francesca Grego
26/03/2020
Con la sua atmosfera sospesa, la Pala di Brera o Madonna col Bambino e santi, angeli e Federico da Montefeltro sembra guardarci da un luogo remoto. Sebbene sia un genere comune, con Piero della Francesca la Sacra Conversazione si carica di enigmi. Pochi dipinti, tuttavia, sono così emblematici di un’epoca: quella del primo Rinascimento, quando gli artisti scoprono la prospettiva e si interrogano sul significato della matematica, riflesso di una bellezza che ha ancora a che fare col divino. Nel capolavoro braidense Masaccio incontra Van Eyck congiungendo il Nord con il Sud dell’Europa, la vita e la morte, la Storia e l’esistenza di un uomo.
Sono moltissime le domande che si affacciano alla mente guardando l’opera di Piero. Cominciamo da quelle che hanno già trovato possibili soluzioni, mentre tra gli studiosi prosegue il dibattito.
Leggi anche:
James Bradburne, il mio Piero della Francesca
Chi commissionò la tavola a Piero della Francesca?
All’origine del dipinto c’è Federico da Montefeltro, duca di Urbino e illustre mecenate del Rinascimento. Intimo amico dell’artista, nel 1472 gli commissiona una Madonna con Bambino e Santi che alcuni anni dopo andrà ad ornare la chiesa urbinate di San Bernardino, fatta costruire da Federico perché ospitasse la sua tomba. Nella pala le vicende private del duca si intrecciano con la sua funzione politica e con la devozione religiosa. A destra possiamo osservarne la figura inginocchiata: è quella di un grande condottiero, con l’armatura lucida, la spada e un ricco mantello. Diversamente dalle pale medievali, il committente è compreso nello spazio del dipinto e ha dimensioni proporzionate a quelle degli altri personaggi, rientrando a tutti gli effetti nella scena sacra. Riconosciamo Federico dal caratteristico profilo, che Piero della Francesca rese celebre nel Doppio ritratto dei duchi di Urbino. Pare che Federico mostrasse sempre il lato sinistro del volto per nascondere lo sfregio all’occhio destro subito in un torneo. Si racconta anche che per espandere al massimo il proprio campo visivo si fosse fatto limare il setto nasale, ma studi recenti sembrano aver smentito l’ipotesi. Con ogni probabilità fu la natura a dare al duca un volto che riconosceremmo tra mille.
Chi sono i personaggi del dipinto?
Al centro dell’opera, la Vergine in trono giunge le mani verso il piccolo Gesù addormentato sulle sue gambe. È una semplice Madonna? Qualcuno ha visto in lei la moglie del duca, Battista Sforza. In questo caso l’immagine del Bambino sarebbe un richiamo a Guidobaldo, l’erede nato nel 1472, mentre Piero lavorava sulla tavola. Intorno alla coppia divina, angeli e santi si dispongono in semicerchio.
Partendo da sinistra, riconosciamo dalla barba incolta Giovanni il Battista, riferimento alla duchessa che morì proprio in quell’anno; poi San Bernardino da Siena, amico di Federico, e San Girolamo, l’eremita erudito protettore degli umanisti, che si batte il petto con un sasso. Dall’altro lato del quadro, Francesco d’Assisi mostra le stimmate (un richiamo alla chiesa francescana di San Donato degli Osservanti, cui forse il dipinto fu inizialmente destinato), mentre San Giovanni Evangelista regge il libro e San Pietro da Verona espone la ferita che gli fu inferta sul cranio durante le sue lotte contro l’eresia. Alle spalle di Maria quattro angeli si fanno notare per la luce emanata da magnifici gioielli, a cui l’artista dedicò l’attenzione tipica dei maestri delle Fiandre.
Qual è il valore dell’architettura sullo sfondo?
Mai come in questo caso l’architettura è protagonista dell’opera al pari delle figure. “Più che una sacra conversazione”, scrisse lo storico Roberto Longhi, la Pala di Brera sembra “un convegno solenne, preordinato e computo, nell’aula bramantesca, prima di Bramante”. Oltre i personaggi in primo piano, possiamo ammirare nei particolari l’abside di una chiesa classicheggiante. Secondo lo studioso britannico Kenneth Mackenzie Clark, Piero della Francesca potrebbe essersi ispirato al progetto di Leon Battista Alberti per Sant’Andrea, a Mantova. I contrasti di luce e ombra esaltano la volta a botte e i cassettoni scolpiti a rosette, minuziosamente descritti come i marmi policromi sulle pareti: segno dell’entusiasmo e dell’attenzione che l’artista di Sansepolcro riservò all’architettura del suo tempo. Così Piero fonde lo spazio del Rinascimento italiano con il gusto per il dettaglio dei maestri fiamminghi, che abbiamo già notato nella ricercatezza delle vesti, nei riflessi dell’armatura di Federico, nel finissimo tappeto anatolico ai piedi della Vergine.
Ma un elemento ha attratto in maniera speciale l’attenzione dei critici: è la conchiglia incastonata in fondo alla volta, che ci ricorda Brunelleschi e Donatello. Ci soffermeremo più in là sui suoi possibili significati.
Che cos’hanno di strano le mani di Federico?
Chi osserva l’opera da vicino noterà subito la differenza: le mani paffute del duca si discostano dallo stile con cui Piero dipinse il resto della pala. Pochi anni dopo la consegna, infatti, per motivi ancora ignoti un altro artista intervenne sulla tavola. Per molto tempo si è pensato a Giusto di Gand, il maestro fiammingo che Federico convocò a Urbino per decorare il bellissimo Studiolo di Palazzo Ducale. Oggi l’ipotesi più accreditata è quella avanzata da Roberto Longhi: a dipingere le mani del duca sarebbe stato Pedro Berruguete, pittore spagnolo attivo a corte, che a Urbino lasciò il celebre Ritratto di Federico da Montefeltro con il figlio Guidobaldo.
Perché la Pala di Brera ha uno sviluppo verticale?
Incredibile ma vero, la Sacra Conversazione di Piero della Francesca è stata mutilata. Non sappiamo chi e quando abbia compiuto il misfatto, ma ricerche recenti confermano l’ipotesi proposta da Carlo Ludovico Ragghianti. Secondo lo storico toscano, l’opera avrebbe subito dei tagli su tutti i lati. Nella versione iniziale, l’architettura sullo sfondo sarebbe apparsa più ampia e ariosa, con le figure riunite sotto un vasto tiburio. La pala di Piero, tuttavia, aveva già in origine qualcosa di speciale: era una novità rispetto ai polittici ancora in voga sugli altari e presentava comunque proporzioni inconsuete. Furono in molti a copiarla, diffondendo un nuovo formato nelle chiese italiane.
Perché un uovo di struzzo pende sulla testa della Vergine?
È uno dei tanti simboli celati nell’opera. L’uovo rappresenta la perfezione e la sua posizione - leggermente sfalsata rispetto all’asse mediano del quadro - significa che la fede è superiore alla ragione. Ma l’uovo evoca anche la vita e la rinascita, mentre lo struzzo era l’emblema araldico dei Montefeltro. Ecco un altro riferimento alla nascita di Guidobaldo, il figlio di Federico. E ancora, attraverso intricati paralleli con il mito pagano di Leda e il cigno, l’uovo diventa un richiamo al dogma dell’Immacolata Concezione. La conchiglia a cui è appeso sembrerebbe confermarlo: simboleggia la nuova Venere, Maria madre del Salvatore, e la sua natura generatrice.
La collana di corallo rosso appesa al collo del Bambino, invece, fa pensare al sangue che sarà versato nella Passione, così come la posizione del neonato addormentato, abbandonato sulle gambe della madre, ricorda l’iconografia della Pietà, già diffusa in pittura e nella scultura di tradizione nordica. La vita e la morte si incontrano nell’opera, così come nell’esistenza di Federico: in quegli anni morì Battista Sforza, sua sposa e madre dell’erede al trono urbinate, e quasi certamente la Pala di Brera fu commissionata dal duca pensando al proprio mausoleo. Tirando le somme, nell'insieme l’opera sembra costruita per richiamare l’attenzione sul favore accordato dalla Vergine al potere dinastico dei Montefeltro.
Che ruolo ha la matematica nel capolavoro di Piero della Francesca?
La Pala di Brera è considerata il manifesto dell’umanesimo matematico che fiorì alla corte di Urbino, nonché il punto di arrivo delle intense ricerche che Piero, come molti artisti del suo tempo, condusse sull’uso della prospettiva. Non dimentichiamo che, oltre a essere un pittore, l’artista di Sansepolcro si segnalò come teorico con i trattati De prospectiva pingendi e De quique corporibus regularibus. Nel capolavoro braidense l’armonia delle forme e delle proporzioni evoca continuamente la perfezione divina. Un esempio? Dopo aver rintracciato il punto di fuga significativamente all’altezza degli occhi di Maria, noteremo che l’intera composizione è scandita da un semicerchio ripetuto: possiamo rintracciarlo nella disposizione dei santi attorno al Bambino, nella pianta dell’abside, nell’arco della volta e nella conchiglia posta sul fondo.
Come mai il dipinto si trova alla Pinacoteca di Brera?
La pala fu prelevata dall’altare maggiore della Chiesa di San Bernardino a Urbino durante le requisizioni napoleoniche. Diversamente da altri capolavori italiani, non prese la via di Parigi, ma fu mandata a Milano dove, sempre sotto l’egida dei francesi, in quegli anni stava nascendo la Pinacoteca di Brera. Come mai? La verità è che la Pala di Brera non piacque molto ai funzionari di Napoleone: il Rinascimento di Piero della Francesca fu giudicato ancora acerbo rispetto all’ideale di arte classica gradito all’imperatore. E fu una fortuna.
Sono moltissime le domande che si affacciano alla mente guardando l’opera di Piero. Cominciamo da quelle che hanno già trovato possibili soluzioni, mentre tra gli studiosi prosegue il dibattito.
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Chi commissionò la tavola a Piero della Francesca?
All’origine del dipinto c’è Federico da Montefeltro, duca di Urbino e illustre mecenate del Rinascimento. Intimo amico dell’artista, nel 1472 gli commissiona una Madonna con Bambino e Santi che alcuni anni dopo andrà ad ornare la chiesa urbinate di San Bernardino, fatta costruire da Federico perché ospitasse la sua tomba. Nella pala le vicende private del duca si intrecciano con la sua funzione politica e con la devozione religiosa. A destra possiamo osservarne la figura inginocchiata: è quella di un grande condottiero, con l’armatura lucida, la spada e un ricco mantello. Diversamente dalle pale medievali, il committente è compreso nello spazio del dipinto e ha dimensioni proporzionate a quelle degli altri personaggi, rientrando a tutti gli effetti nella scena sacra. Riconosciamo Federico dal caratteristico profilo, che Piero della Francesca rese celebre nel Doppio ritratto dei duchi di Urbino. Pare che Federico mostrasse sempre il lato sinistro del volto per nascondere lo sfregio all’occhio destro subito in un torneo. Si racconta anche che per espandere al massimo il proprio campo visivo si fosse fatto limare il setto nasale, ma studi recenti sembrano aver smentito l’ipotesi. Con ogni probabilità fu la natura a dare al duca un volto che riconosceremmo tra mille.
Chi sono i personaggi del dipinto?
Al centro dell’opera, la Vergine in trono giunge le mani verso il piccolo Gesù addormentato sulle sue gambe. È una semplice Madonna? Qualcuno ha visto in lei la moglie del duca, Battista Sforza. In questo caso l’immagine del Bambino sarebbe un richiamo a Guidobaldo, l’erede nato nel 1472, mentre Piero lavorava sulla tavola. Intorno alla coppia divina, angeli e santi si dispongono in semicerchio.
Partendo da sinistra, riconosciamo dalla barba incolta Giovanni il Battista, riferimento alla duchessa che morì proprio in quell’anno; poi San Bernardino da Siena, amico di Federico, e San Girolamo, l’eremita erudito protettore degli umanisti, che si batte il petto con un sasso. Dall’altro lato del quadro, Francesco d’Assisi mostra le stimmate (un richiamo alla chiesa francescana di San Donato degli Osservanti, cui forse il dipinto fu inizialmente destinato), mentre San Giovanni Evangelista regge il libro e San Pietro da Verona espone la ferita che gli fu inferta sul cranio durante le sue lotte contro l’eresia. Alle spalle di Maria quattro angeli si fanno notare per la luce emanata da magnifici gioielli, a cui l’artista dedicò l’attenzione tipica dei maestri delle Fiandre.
Qual è il valore dell’architettura sullo sfondo?
Mai come in questo caso l’architettura è protagonista dell’opera al pari delle figure. “Più che una sacra conversazione”, scrisse lo storico Roberto Longhi, la Pala di Brera sembra “un convegno solenne, preordinato e computo, nell’aula bramantesca, prima di Bramante”. Oltre i personaggi in primo piano, possiamo ammirare nei particolari l’abside di una chiesa classicheggiante. Secondo lo studioso britannico Kenneth Mackenzie Clark, Piero della Francesca potrebbe essersi ispirato al progetto di Leon Battista Alberti per Sant’Andrea, a Mantova. I contrasti di luce e ombra esaltano la volta a botte e i cassettoni scolpiti a rosette, minuziosamente descritti come i marmi policromi sulle pareti: segno dell’entusiasmo e dell’attenzione che l’artista di Sansepolcro riservò all’architettura del suo tempo. Così Piero fonde lo spazio del Rinascimento italiano con il gusto per il dettaglio dei maestri fiamminghi, che abbiamo già notato nella ricercatezza delle vesti, nei riflessi dell’armatura di Federico, nel finissimo tappeto anatolico ai piedi della Vergine.
Ma un elemento ha attratto in maniera speciale l’attenzione dei critici: è la conchiglia incastonata in fondo alla volta, che ci ricorda Brunelleschi e Donatello. Ci soffermeremo più in là sui suoi possibili significati.
Che cos’hanno di strano le mani di Federico?
Chi osserva l’opera da vicino noterà subito la differenza: le mani paffute del duca si discostano dallo stile con cui Piero dipinse il resto della pala. Pochi anni dopo la consegna, infatti, per motivi ancora ignoti un altro artista intervenne sulla tavola. Per molto tempo si è pensato a Giusto di Gand, il maestro fiammingo che Federico convocò a Urbino per decorare il bellissimo Studiolo di Palazzo Ducale. Oggi l’ipotesi più accreditata è quella avanzata da Roberto Longhi: a dipingere le mani del duca sarebbe stato Pedro Berruguete, pittore spagnolo attivo a corte, che a Urbino lasciò il celebre Ritratto di Federico da Montefeltro con il figlio Guidobaldo.
Perché la Pala di Brera ha uno sviluppo verticale?
Incredibile ma vero, la Sacra Conversazione di Piero della Francesca è stata mutilata. Non sappiamo chi e quando abbia compiuto il misfatto, ma ricerche recenti confermano l’ipotesi proposta da Carlo Ludovico Ragghianti. Secondo lo storico toscano, l’opera avrebbe subito dei tagli su tutti i lati. Nella versione iniziale, l’architettura sullo sfondo sarebbe apparsa più ampia e ariosa, con le figure riunite sotto un vasto tiburio. La pala di Piero, tuttavia, aveva già in origine qualcosa di speciale: era una novità rispetto ai polittici ancora in voga sugli altari e presentava comunque proporzioni inconsuete. Furono in molti a copiarla, diffondendo un nuovo formato nelle chiese italiane.
Perché un uovo di struzzo pende sulla testa della Vergine?
È uno dei tanti simboli celati nell’opera. L’uovo rappresenta la perfezione e la sua posizione - leggermente sfalsata rispetto all’asse mediano del quadro - significa che la fede è superiore alla ragione. Ma l’uovo evoca anche la vita e la rinascita, mentre lo struzzo era l’emblema araldico dei Montefeltro. Ecco un altro riferimento alla nascita di Guidobaldo, il figlio di Federico. E ancora, attraverso intricati paralleli con il mito pagano di Leda e il cigno, l’uovo diventa un richiamo al dogma dell’Immacolata Concezione. La conchiglia a cui è appeso sembrerebbe confermarlo: simboleggia la nuova Venere, Maria madre del Salvatore, e la sua natura generatrice.
La collana di corallo rosso appesa al collo del Bambino, invece, fa pensare al sangue che sarà versato nella Passione, così come la posizione del neonato addormentato, abbandonato sulle gambe della madre, ricorda l’iconografia della Pietà, già diffusa in pittura e nella scultura di tradizione nordica. La vita e la morte si incontrano nell’opera, così come nell’esistenza di Federico: in quegli anni morì Battista Sforza, sua sposa e madre dell’erede al trono urbinate, e quasi certamente la Pala di Brera fu commissionata dal duca pensando al proprio mausoleo. Tirando le somme, nell'insieme l’opera sembra costruita per richiamare l’attenzione sul favore accordato dalla Vergine al potere dinastico dei Montefeltro.
Che ruolo ha la matematica nel capolavoro di Piero della Francesca?
La Pala di Brera è considerata il manifesto dell’umanesimo matematico che fiorì alla corte di Urbino, nonché il punto di arrivo delle intense ricerche che Piero, come molti artisti del suo tempo, condusse sull’uso della prospettiva. Non dimentichiamo che, oltre a essere un pittore, l’artista di Sansepolcro si segnalò come teorico con i trattati De prospectiva pingendi e De quique corporibus regularibus. Nel capolavoro braidense l’armonia delle forme e delle proporzioni evoca continuamente la perfezione divina. Un esempio? Dopo aver rintracciato il punto di fuga significativamente all’altezza degli occhi di Maria, noteremo che l’intera composizione è scandita da un semicerchio ripetuto: possiamo rintracciarlo nella disposizione dei santi attorno al Bambino, nella pianta dell’abside, nell’arco della volta e nella conchiglia posta sul fondo.
Come mai il dipinto si trova alla Pinacoteca di Brera?
La pala fu prelevata dall’altare maggiore della Chiesa di San Bernardino a Urbino durante le requisizioni napoleoniche. Diversamente da altri capolavori italiani, non prese la via di Parigi, ma fu mandata a Milano dove, sempre sotto l’egida dei francesi, in quegli anni stava nascendo la Pinacoteca di Brera. Come mai? La verità è che la Pala di Brera non piacque molto ai funzionari di Napoleone: il Rinascimento di Piero della Francesca fu giudicato ancora acerbo rispetto all’ideale di arte classica gradito all’imperatore. E fu una fortuna.
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