LA TRINITA’ DI SANTA MARIA NOVELLA

Restauri S.M.Novella
 

25/02/2004

Da pochi mesi uno dei grandissimi capolavori dell’arte italiana del primo Rinascimento può essere nuovamente apprezzato da tutti coloro che entrano nella chiesa di S. Maria Novella di Firenze. L’opera, databile 1427, è l’ultimo capolavoro di Masaccio, culmine della sua attività fiorentina (nel 1428 morirà a Roma). L’affresco può essere definito come il massimo punto d’incontro tra il ventiseienne pittore toscano e Filippo Brunelleschi, identificato come autore dello schema architettonico del dipinto. Qui Masaccio porta alle estreme conseguenze i suoi studi prospettici, il nuovo senso dato allo spazio attraverso canoni scientifici, in special modo nel soffitto a lacunari tanto vicino all’impostazione del Pantheon e a molte soluzioni scelte da L. B. Alberti. La Santissima Trinità è rappresentata nell’asse centrale in una rigida composizione piramidale con il Figlio crocifisso che domina l’affresco, il Padre a braccia aperte sopra la croce ed infine lo Spirito Santo più volte identificato nella struttura architettonica. Ai piedi della croce i due tradizionali piangenti, la Vergine e S. Giovanni Evangelista, e, ancora più esterni, i due donatori inginocchiati (Lorenzo Cardoni e moglie). Più volte è stata notata l’impostazione solenne accompagnata da un forte senso di immobilità rotto solamente dal gesto, peraltro appena accennato, di Maria che indica il corpo del Cristo ammiccando verso l’osservatore: è un altro trucco prospettico volto a coinvolgere chi si trova al di qua del quadro. Altra notazione merita la scelta dei colori, quel rosso e azzurro, oggi ritornati a splendere, e che si dividono equamente gli spazi: alternati nei lacunari del soffitto, nella veste di Dio Padre e di quelle dei piangenti e dei donatori. Masaccio realizzò la Trinità in 27 giornate, secondo la tecnica a fresco, fatta eccezione per la stesura di alcune campiture ad azzurrite e per l’applicazione delle aureole in lamine metalliche. Il disegno è stato trasposto sull’intonaco con la battitura di corda e con l’incisione diretta. Il restauro, iniziato nel 1999, è stato effettuato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze guidato dalla direzione scientifica di Cristina Danti ed eseguito dai restauratori Maria Rosa Lanfranchi e Fabrizio Bandini, con la collaborazione, in alcune fasi dei lavori, dei restauratori dell'Associazione Temporanea di Imprese Fiorentine Cellini, R.A.M., P.T. Color e Decoart, che hanno eseguito il restauro della Chiesa. Gli interventi sono stati molteplici: hanno mirato all’eliminazione del grigiore che si era sovrapposto alle velature originali, alla riparazione dei danni causati nel XVI secolo da un altare vasariano che era stato addossato sulla parete dell’affresco, chiudendo la Trinità dietro alla pala lignea. Vanno inoltre considerate le infiltrazioni di pioggia che provenivano dalla finestra soprastante, nonché gli acidi, probabilmente usati per pulire il frontone in pietra dell’altare di Vasari, che avevano provocato una forte corrosione nella zona centrale del dipinto. Infine bisogna ricordare che nel 1859 l’affresco fu staccato e trasportato in altra zona della Basilica con inevitabili danneggiamenti: la pulitura sommaria di allora portò i restauratori a sbagliare le integrazioni di colore con cromie molto più scure di quelle originali. Nel 1950 un altro restauro guidato da Leonetto Tintori rimosse, per quanto possibile, le sostanze estranee presenti sulla superficie ma si incentrò in primo luogo a fermare le progressive cadute di colore provocate dagli interventi precedenti. Gran parte di quelle sotanze, però, è rimasta sulla pittura. Il restauro appena concluso ha definitivamente rimosso i resti di tutte gli elementi successivi al periodo di esecuzione dell’opera, offrendo per la prima volta il suo volto più autentico.

 
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