La vita di Giacomo Leopardi
Leopardi
12/10/2001
Giacomo nasce a Recanati il 29 giugno del 1798 dal conte Monaldo e dalla marchesa Adelaide Antici. Il padre, uomo di grande cultura, possessore di una ricca biblioteca nel proprio palazzo, è un sostenitore del potere temporale della Chiesa. La madre, fredda ed autoritaria come si tramanda, si interessa per lo più alle finanze familiari spesso messe a dura prova dalle errate speculazioni compiute dal marito, curandosi poco dei figli.
Il piccolo Giacomo già all’età di dieci anni dà i primi segni della sua spigliatezza intellettuale, dando prova di poter continuare i suoi studi senza l’apporto dei maestri. L’assiduo studio nella biblioteca di casa lo porta, a soli dodici anni, ad essere in grado di tradurre dal latino due libri delle Odi di Orazio e di comporre due tragedie intitolate “La virtù indiana” e “Pompeo in Egitto”.
A quindici anni inizia una “Storia dell’astronomia” e compone il “Saggio sopra gli errori popolari degli antichi”. In questi anni studia e scrive su molti argomenti: lo “studio matto e disperatissimo” lo porta a perfezionare le lingue classiche, ad apprendere la lingua ebraica e alcune lingue moderne.
Alienato dal mondo esterno, che gli resta ignoto avvertendolo inevitabilmente come una realtà a lui ostile, la sua salute fisica diviene precaria.
Nel 1817 è costretto a fronteggiare la prima delusione amorosa: si invaghisce, senza alcuna speranza, della cugina Geltrude Cassi Lazzeri, ospite a casa Leopardi con il marito e la figlia. A questa ne succedono altre: la figlia del cocchiere di casa, Teresa Fattorini, forse la Silvia del celebre canto, e Maria Belardinelli, probabilmente la Nerina delle ”Ricordanze”, pur se, come spiegherà in seguito il fratello di Giacomo, Carlo, gli amori di Silvia e Nerina andrebbero considerati immaginati come motivi di tristezza piuttosto che realmente sentiti.
Dal 1817 Giacomo inizia a scrivere quella che a buon diritto può essere definita la prima fonte biografica per ogni studio sulla vita del rimatore: lo “Zibadlone dei pensieri”, continuato fino al 1832 e che contiene appunti, progetti per opere future, confessioni private.
Questi sono gli anni in cui al poeta risulta stretta la realtà di Recanati, cosicché, dopo un tentato suicidio, decide di abbandonare la casa. Nel 1822 arriva a Roma dallo zio Carlo Antici. Nella città eterna però non trova il fermento intellettuale che si aspetta, rimanendone deluso; sicché le uniche note positive del soggiorno romano risultano essere l’amicizia col cardinale Angelo Mai e le conversazioni tenute con alcuni dotti stranieri.
Dopo sei mesi vissuti in questa nuova dimensione, Giacomo ritorna a Recanati, dove resta fino al 1825, anno in cui si trasferisce a Milano per curare l’edizione delle opere di Cicerone per l’editore Antonio Fortunato Stella.
Il clima lombardo, non idoneo alla sua salute instabile, lo porta a Bologna, Firenze, dove conosce Manzoni, Piccolini, Tommaseo, e Pisa.
Dalla metà degli anni ‘30 è a Napoli, dove segue l’esule Antonio Ranieri, nella cui casa fiorentina ha vissuto tra il 1830 ed il 1833.
Proprio in casa Ranieri si spegne a causa di un attacco d’asma e idropisia il 14 giugno 1837, a soli 39 anni. Sepolto nella chiesa di S. Vitale, le sue ossa vengono spostate a Piedigrotta, presso la tomba di Virgilio.
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