LA VITA E LE BIOGRAFIE
25/05/2001
Michelangelo nasce il 29 settembre del 1571 a Milano o a Caravaggio dal padre Fermo, architetto a servizio del marchese di Caravaggio Francesco Sforza. I buoni rapporti degli Sforza con i Colonna e soprattutto con i Borromeo, garantiranno al giovane artista la necessaria protezione nel corso degli anni.
Nel 1584 Caravaggio inizia l’apprendistato presso la bottega milanese di Simone Peterzano, pittore bergamasco.
Al 1592 risale la venuta di Michelangelo a Roma, dove è nella servitù di Pandolfo Pucci. A Roma inizia a lavorare per Antiveduto Grammatica, Lorenzo Siciliano, e infine con Giuseppe Cesari noto come il Cavalier d’Arpino, per cui dipinge fiori e frutta.
In questi anni “fu assalito da una grave malatia che, trovandolo senza denari, fu necessitato andarsene allo Spedal della Consolazione” (Baglione): è il periodo in cui dipinge i famosi ritratti allo specchio ed il “Bacchino malato” (Galleria Borghese).
La svolta nella carriera di Caravaggio è segnata dall’acquisto de “I bari” da parte del cardinal Francesco Maria del Monte: dopo questo avvenimento il Merisi si trasferisce in Palazzo Madama, residenza del cardinale, dove resta fino al 1600.
L’ammirazione del cardinale viene condivisa anche da un suo importante vicino di casa, il marchese Vincenzo Giustiniani, residente nel palazzo di famiglia sito a pochi passi da Palazzo Madama. Oltre al Giustiniani figurano tra i committenti di Caravaggio importanti famiglie quali i Barberini, i Borghese, i Costa, i Massimi ed i Mattei.
Nel 1598, grazie all’appoggio del cardinal del Monte, Caravaggio ottiene la prima grande committenza pubblica: la decorazione della cappella Contarelli, nella chiesa S. Luigi dei Francesi, edificio che sorge proprio a metà strada tra il palazzo del cardinal del Monte e quello del marchese Giustiniani.
Nel 1600 dipinge la coppia di tele per la Cappella Cerasi in S. Maria del Popolo. Nel contratto per queste due opere il pittore viene definito “egregius in urbe pictor”: è probabile che in questi anni sia entrato a far parte dell’Accademia di S. Luca.
Il carattere violento di Caravaggio sarà la causa della sua fine: il 28 maggio 1606 uccide Ranuccio Tomassoni a seguito di una lite scoppiata nel gioco della pallacorda in zona Campo Marzio. E’ costretto a fuggire da Roma e a rifugiarsi nei territori Colonna. Inizia la sua peregrinazione che toccherà Napoli, Malta (qui diviene membro dei cavalieri di Malta), Sicilia. Morirà il 18 luglio del 1616 stroncato da una febbre letale a Porto Ercole.
Questi gli avvenimenti che hanno caratterizzato la vita più chiacchierata e romanzata tra tutte quelle degli artisti italiani. A contribuire allo stravolgimento di questi fatti le biografie del Seicento scritte da Giovanni Baglione e Giovan Pietro Bellori.
Il primo, anche lui pittore, si sofferma più che altro sugli aspetti negativi del Merisi, fino a citare un episodio in cui Caravaggio avrebbe disconosciuto il fratello. Sorvola sul grande consenso riscosso dal suo collega; non parla assolutamente della grande cultura presente nei suoi dipinti. Questo comportamento è fortemente influenzato dai cattivi rapporti intercorsi tra i due. Non va dimenticato, infatti, che nel 1603 Baglione accusa di diffamazione il Merisi e i suoi amici Orazio Gentileschi, Onorio Longhi e Filippo Trisegni, generando un processo le cui carte sono oggi importanti documenti che ci permettono di conoscere i giudizi del Merisi nei confronti degli altri pittori del tempo.
Giovan Pietro Bellori scrive le sue vite nel 1672, a più di cinquant’anni dalla morte di Caravaggio: le notizie sono influenzate da chi ha scritto precedentemente e soprattutto dall’adesione al classicismo più volte messo in crisi dal Merisi. Ne consegue che gli unici meriti che Bellori riconosce a Caravaggio sono l’uso dei colori e il luminismo (stesse qualità che gli scrittori d’arte tosco-romani del ‘500 attribuivano a Giorgione e Tiziano). Altro elemento importante è il modello che Caravaggio ritrae dal vero: questo devia i pittori minori dalla retta via, dato che tutti si sentono autorizzati al “dispregio delle cose belle” e a togliere “ogni autorità all’antico”, dando vita a “l’imitazione delle cose vili, ricercandosi le sozzure e, le deformità”.
Questa seconda biografia prosegue a peggiorare la fama del Merisi che qui viene ricordato per la sua scelta di inserire in quadri sacri personaggi del volgo senza alcun rispetto per quei temi. Con Bellori nasce il mito dei rifiuti di Caravaggio per esclusivi problemi di decoro e rispetto dei santi. Anche lui insiste molto sul temperamento del pittore lombardo: “non però il Caravaggio con le occupazioni della pittura rimetteva punto le sue inquiete inclinazioni […] compariva per la città con la spada al fianco, e faceva professione d’armi mostrando di attendere ad ogni altra cosa fuori che alla pittura”.
Eppure prima di Baglione e Bellori, nel secondo decennio del Seicento, scrive di Caravaggio anche l’archiatra di Urbano VIII Giulio Mancini: in realtà è lui quello più vicino ai fatti, ma la sua opera non nasce per la pubblicazione, verrà pubblicata solo nel 1956, e quindi la sua posizione non viene presa in considerazione da chi gli succede.
Il Romanticismo non ha fatto altro che prendere a piene mani da queste biografie creando un mito che, nel XX secolo, come accade in moltissimi altri casi, è stato a fatica ridimensionato. Ancora oggi il grande pubblico conosce Caravaggio nella versione poco fedele generata in quegli anni. Ne risulta così un artista “maledetto”, bohemien, senza nessuna considerazione del contesto. Caravaggio infatti è un violento, ma non si ricorda che negli stessi anni vivono vicende simili figure come il Cavalier d’Arpino, Torquato Tasso, Giovan Battista Marino, Ignazio da Loyola e tantissimi altri; le presunte tendenze omosessuali del Merisi non vengono considerate fattore marginale nella sua personalità d’artista (per alcuni rappresentano persino la via interpretativa per molti dei suoi dipinti giovanili), come nei casi più certi di Leonardo o Michelangelo Buonarroti. E’ però l’ateismo e l’ignoranza in fatto di materie religiose l’elemento più lontano dal vero: l’artista è semplicemente legato al pauperismo di Federico Borromeo con tutto ciò che questo comporta; mai Caravaggio affronta un tema religioso senza aver ben presente delle fonti scritte o iconografiche, che denotano in lui una cultura di testi sacri oltre la media.
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