Le donne di Giò Ponti

Maiolica di Giò Ponti
06/03/2002
Dall’inizio degli anni venti del secolo scorso Giò Ponti, appena uscito dal Politecnico, si occupa di architettura, di arredo ed in particolare lavora come direttore artistico alla manifattura ceramica di Doccia, la Richard-Ginori, occupandosi principalmente del rinnovamento della produzione dell’oggetto domestico. Qui Ponti disegna un’ampia serie di temi decorativi, incentrati soprattutto sulla figura umana, da realizzarsi come maioliche e porcellane in esecuzione manuale.
“Le mie donne” è la prima famiglia creata da Giò Ponti e l’unica destinata alla maiolica; il decoro è costituito da una figura di donna, dal corpo allungato e lineare, tipicamente decò e facilmente riproducibile; le “sue” donne perché sono le sue creazioni, otto donne in otto posizioni diverse delle braccia e delle gambe, definite sugli spazi determinati dall’oggetto, otto donne alle quali lui stesso dà un nome preciso, forse chissà legato a qualche esperienza personale: Agata, Apollonia, Balbina, Emerenziana, Domitilla, Donatella, Fabrizia e Leonia; inoltre esiste una sola Isabella, figura solitaria utilizzata per un grande piatto. Le figure sono sempre accompagnate da architetture classiche o rinascimentali, quasi un palinsesto sulla storia dell’architettura dove troneggia il “suo” Palladio. Le “donzelle”, come amava chiamarle l’autore con senso di complicità, espongono i loro corpi nudi con atteggiamenti ammiccanti e quasi maliziosi, strizzano l’occhio allo spettatore che le guarda con curiosità e sembrano farsi gioco della storia che è sotto di loro, come se la loro sensualità fosse al di sopra dei valori culturali e la loro carnalità superiore ai monumenti. Le donne, sempre uguali nella loro posizione, possono scambiarsi tra di loro i tre oggetti scelti (fiore, conchiglia e libro) e le tre ambientazioni prescelte (donne su nuvole, su grandi corolle di fiori, tra le corde) con i colori, ma la particolarità, e quindi l’unicità, sta nelle loro acconciature che sono sempre diverse l’una dall’altra, segno questo dell’autenticità della firma sul vaso o piatto Ginori; serialità e manodopera si intrecciano, dunque, nelle ceramiche di Ponti. Nel grande “vaso delle donne e delle architetture”, oggi al Museo di Doccia in Toscana, sono riuniti tutti i soggetti che poi sarebbero serviti ai pittori come modello d’insieme da riprodurre. A questa serie segue, tra il 1924 e 1926, “La conversazione classica”, la famiglia più importante pensata soprattutto per la porcellana, più elegante e di ispirazione classica con figure quali: l’efebo errante, l’architetto, il filosofo, il nummario, l’ermafrodito, il disegnatore, l’edile e il pellegrino; tra le figure femminili: la lettura, la temperanza, la donna errante, la musica; insieme a questi personaggi minori come i putti e decori più geometrici. Successivamente (1928-1930) Giò Ponti si dedica alla serie detta “Venatoria” in cui su fondali colorati l’autore racconta episodi di caccia, nei quali sono raffigurate splendide amazzoni e animali dalle linee eleganti e decò come i levrieri, sono sempre le donne che vanno a caccia e spesso catturano la loro preda; una collezione questa che comprende anche oggetti di uso quotidiano. Lo stile Decò non è così denominato dagli artisti ma è un’espressione venuta in seguito al successo dell’esposizione di Parigi del 1925, vede il suo maestro italiano proprio in Giò Ponti, che con le sue figure sinuose e allo stesso tempo lineari, classiche e vezzose, seriali e artigianali ne indica i tratti principali.
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