Marc Ash: la rappresentazione impossibile

L'artista Marc Ash
17/07/2003
È stato un compito estremamente importante dell'arte quello di narrare visivamente i grandi eventi civili e religiosi della storia, e dare perfino volti credibili ai loro protagonisti.
Immettendo nella memoria collettiva la "conoscenza" di accadimenti tramandati solo oralmente, dunque non "visti", spesso drammatici ed a volte perfino "miracolosi".
Ed occupando perciò una "centralità" straordinaria, forse ormai irrimediabilmente perduta, nell'immaginazione degli uomini che peraltro, per molti secoli, spesso non sapevano leggere.
È dunque per tale via che si é formata quella che chiamiamo adesso la nostra "cultura figurativa", quel possesso cioé, nel nostro immaginario, delle scene e delle figure tramandateci dall'arte, viste di volta in volta con gli occhi ed i modi formali del tempo.
Si tratta di un processo storico che non é stato certo determinato dalla televisione, come a volte frettolosamente si afferma, perché questa, negli ultimi cinquant'anni, l'ha semmai solo accelerato e forse irrimediabilmente devitalizzato.
Quel processo ha invece radici molto più lontane, cominciando dapprima attraverso la pittura, quella murale e poi quella su tavola e su tela, diventando infine un fenomeno incredibilmente diffuso con l'arrivo della carta in Europa ed il conseguente inizio della stampa delle immagini attraverso i vari procedimenti dell'incisione, su legno e su metallo.
Vi sono eventi, tuttavia, dinanzi ai quali anche l'arte pare ritrarsi quasi intimidita, impotente a darne una rappresentazione plausibile e credibile.
Come avviene di notare ad esempio per la Shoah, di cui conosciamo tuttavia le drammatiche immagini del cinema e della fotografia.
Eppure la pittura e l'incisione hanno descritto altri orrori, stragi e martiri, eccidi e crocifissioni, e perfino "immaginato" l'Apocalisse.
Basta pensare agli straordinari fogli dei "Disastri della guerra" di Goya, o alle terribili denunce dei massacri della guerra nell'opera di Otto Dix e George Grosz, per fare qualche esempio.
Pare invece che per la tragedia degli ebrei durante il nazismo gli artisti del ventesimo secolo, salvo rare eccezioni, non siano stati in grado di dare una "rappresentazione formale", oltre che emotiva, di quella crudele, folle ed incredibile vicenda umana.
Ci ha provato, dopo aver covato quella tragedia personale per venticinque anni nel suo disperato mutismo, Zoran Music, che nel 1970 ha dato inizio a quel suo straordinario, intrattenibile e drammatico ciclo di dipinti che ha voluto titolare, quasi come un ammonimento storico, "Non siamo gli ultimi", tratto dal grido di un condannato a morte a Birkenau, riportato in "Se questo é un uomo" di Primo Levi.
Ed é apparso subito come un canto solenne e terribile, riaffiorato dopo tanto tempo, che l'artista non ha saputo o potuto più trattenere
Ci prova adesso anche Marc Ash - che per la sua età non ha provato sulla propria pelle quel dramma - con il suo personale linguaggio espressivo che, al contrario di Music, non descrive, non contempla la figura dell'uomo.
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