Al cinema dal 3 novembre

Nove splendidi dipinti da riconoscere nel film "L'ombra di Caravaggio"

Una scena del film "L'ombra di Caravaggio" I Courtesy 01 Distribution
 

Francesca Grego

21/10/2022

Inquieto e ribelle, scandaloso e devoto, impulsivo e geniale: dal 3 novembre Caravaggio si racconta al cinema in un film nuovo di zecca. Diretto da Michele Placido, coprodotto dalla francese Goldenart con Rai Cinema e distribuito in Italia da 01 Distribution, L’ombra di Caravaggio sbarca sul grande schermo con un cast di nomi ben noti al pubblico: da Riccardo Scamarcio, nei panni dell’artista, a Louis Garrel, che interpreta l’Ombra, l’agente segreto del Vaticano che avrà su di lui potere di vita o di morte, fino a Isabelle Huppert, Micaela Ramazzotti, Vinicio Marchioni, Lolita Chammah, Moni Ovadia, Alessandro Haber e a Placido stesso nel ruolo del Cardinal Del Monte. In questo avventuroso racconto tra storia e immaginazione, una parte di rilievo spetta agli immortali dipinti di Caravaggio, e non potrebbe essere altrimenti. Alcuni li riconosceremo nella bottega del pittore o nei palazzi di facoltosi committenti, altri  - la maggior parte - si materializzeranno sullo schermo come tableau vivant, a sottolineare la rivoluzionaria osmosi tra arte e realtà con la quale Michelangelo Merisi mise in subbuglio la Roma dell'epoca.
 
Scovarli lungo i 120 minuti del film non sarà difficile, specie tenendo a mente la piccola guida che segue. Ecco la lista dei dipinti completa di immagini.
 

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 - Porto Ercole, 18 luglio 1610), Ragazzo morso da un ramarro, 1597 circa, Olio su tela, 65.8 x 52.3 cm, Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhi

Ragazzo morso da un ramarro
È uno dei primi capolavori di Caravaggio, che lo realizzò poco tempo dopo il suo arrivo a Roma. Gli storici discutono ancora su chi fosse il committente dell’opera, della quale esistono due versioni: una di proprietà della National Gallery di Londra, l’altra conservata presso la Fondazione Roberto Longhi di Firenze. Protagonista della tela è un giovane con una rosa tra i capelli, sorpreso dal morso del rettile che spunta all’improvviso da una bellissima natura morta con fiori, frutti e un vaso pieno d’acqua. Un tremito scuote le membra e il volto del ragazzo, che si contrae in un’espressione di dolore. Alcuni hanno riconosciuto nel dipinto una complessa trama di simboli legati all’amore e al desiderio. Certamente esso è debitore agli studi di Leonardo sui moti dell’anima, mentre cita direttamente un prezioso disegno a carboncino realizzato da Sofonisba Anguissola circa 40 anni prima, dal titolo Fanciullo morso da un gambero.
 

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Scudo con testa di Medusa, 1598 ca., Galleria degli Uffizi, Firenze

Scudo con la testa di Medusa
Un’espressione di orrore si dipinge sul volto di Medusa reciso da Perseo: la bocca spalancata in un urlo, gli occhi allucinati, il sangue che fuoriesce in un fiotto dal collo mozzato, i serpenti che si agitano sul capo del mostro descrivono il momento culminante del mito greco. Al di là delle apparenze, pare che un tempo l’immagine della Gorgone portasse bene, in quanto simbolo di prudenza e di saggezza. Caravaggio era ancora giovane quando la dipinse, ma riuscì a creare un’opera straordinaria. Con magistrale uso delle luci annullò la convessità del supporto, uno scudo di legno, dando l’impressione che la testa fluttuasse sul fondo verde scuro. Anche di quest’opera esistono due versioni, entrambe realizzate dal Merisi: la prima è conservata in una collezione privata italiana, la seconda si trova agli Uffizi. A consegnarla personalmente a Ferdinando de’ Medici nel 1898 fu il Cardinal del Monte, che con un soggetto molto amato dai signori di Firenze volle mostrare al granduca le abilità artistiche del suo protetto. 


Michelangelo Merisi da Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri , 1605-1606, Roma, Galleria Borghese 

Madonna dei Palafrenieri
Oggi appare semplicemente come un capolavoro ma, come per molte opere di Caravaggio, ai tempi della sua realizzazione questo dipinto fu al centro di accese polemiche. Inizialmente destinato alla Basilica di San Pietro, e precisamente alla cappella dei palafrenieri, patrizi romani che godevano del privilegio di condurre per le redini l’asino e il cavallo bianco del papa, la tela fu rifiutata con grande clamore. Come mai? Dalla disputa teologica su chi, tra la Vergine e il Bambino, dovesse schiacciare il diabolico serpente, al seno scoperto di Maria, fino alle contestazioni sulle sembianze di Sant’Anna (la protettrice dei palafrenieri), i pretesti non mancarono. E ai romani non doveva essere sfuggito un ultimo particolare: la Madonna somigliava incredibilmente a Maddalena Antognetti detta Lena, modella e amica di Caravaggio dalla reputazione controversa. Guarda caso, Lena aveva un figlio su per giù dell’età del Bambino raffigurato nel quadro, che i commentatori giudicarono troppo cresciuto per mostrare le nudità. A qualcuno, tuttavia, il dipinto piacque: chi si avvantaggiò del rifiuto fu il grande collezionista Scipione Borghese, che secondo i più maligni alimentò le polemiche per impadronirsene.


Michelangelo Merisi da Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo, Roma

Conversione di San Paolo e Crocifissione di San Pietro
Il 24 settembre del 1600 Caravaggio è incaricato da monsignor Tiberio Cerasi di realizzare due grandi dipinti su tavola per la cappella dove sarà sepolto, nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo. L’artista si mette all’opera e in poco tempo termina il lavoro. Ma la cappella non è ancora pronta e il prelato passerà presto a miglior vita. La faccenda si ingarbuglierà ulteriormente: oggi, infatti, nella Cappella Cerasi ci sono sì due Caravaggio raffiguranti la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro, come ordinato dal monsignore, ma non sono quelli visti da Cerasi. Cosa accadde nel frattempo? Forse fu l’artista stesso a cambiare programma. I quadri che ammiriamo in Santa Maria del Popolo sono due esempi straordinari delle innovazioni pittoriche del Merisi: il trattamento espressivo della luce, il realismo con cui sono ritratti i personaggi, il dinamismo compositivo della Crocifissione e, al contrario, la drammatica staticità della Conversione ci parlano di un linguaggio pittorico ormai maturo, pronto a lasciare il segno nella storia. 


Michelangelo Merisi da Caravaggio, Amor vincit Omnia, Gemäldegalerie, Staatliche Museum, Berlino

Amor vincit omnia
“L’Amore trionfa su tutto”, recita il titolo di questo quadro conservato allo Staatliche Museum di Berlino, citando un passo di Virgilio. Il committente Vincenzo Giustiniani, facoltoso collezionista di origini genovesi e storico mecenate di Caravaggio, lo mostrava solo a ospiti selezionati. Per il resto del tempo, l’immagine irriverente di Cupido restava coperta da un drappo verde: ritenendolo il quadro migliore della raccolta, Giustiniani sosteneva che con la sua bellezza avrebbe offuscato gli altri. A posare per Caravaggio nella tela di Berlino fu Francesco Boneri detto Cecco, il suo allievo favorito (e amante, secondo alcuni), vestito solo di un paio di ali d’aquila prestate al pittore dall’amico Orazio Gentileschi. Ai piedi del ragazzo riconosciamo i simboli delle arti e delle scienze sconfitte dall’Amore, in primis la musica e l’astronomia, due passioni del marchese. Anticonvenzionale e malizioso, il dipinto testimonia l’apertura intellettuale di Giustiniani, uno dei personaggi più colti nella Roma del tempo.


Michelangelo Merisi da Caravaggio, Morte della Vergine. Parigi, Louvre 

Morte della Vergine
L’ultima opera dipinta a Roma da Caravaggio fu anche la più scandalosa. Commissionata dall’avvocato Laerzio Cherubini per la sua cappella in Santa Maria in Trastevere, la grande pala d’altare ambienta la scena della morte di Maria in una stanza misera e spoglia, dove un drappo scarlatto simile a un sipario si alza svelando il corpo della Madre di Dio malamente composto su un giaciglio di fortuna. Vestita di rosso e non di nero come prescritto dalla tradizione, Maria ha il ventre gonfio, il volto livido, i piedi nudi e i capelli in disordine. Sembra che per dipingerla il Merisi avesse usato come modello il cadavere di una prostituta annegata nel Tevere. Per i Carmelitani Scalzi, responsabili di Santa Maria in Trastevere, era veramente troppo. La tela fu rifiutata, ma trovò immediatamente un nuovo acquirente: il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, ben consigliato da Rubens che aveva subito riconosciuto il capolavoro. In seguito il quadro entrò nelle collezioni di Carlo I d’Inghilterra e poi del re di Francia Luigi XIV. Oggi si trova al Louvre. 


Michelangelo Merisi da Caravaggio, Decollazione di San Giovanni Battista, 1608, Olio su tela, 520 x 361 cm, Valletta, Concattedrale di San Giovanni 

Decollazione di San Giovanni Battista
In fuga dalla condanna a morte per decapitazione che pendeva sulla sua testa per l’omicidio di Ranuccio Tommasoni, Caravaggio approda a Malta: il suo obiettivo è diventare cavaliere dell’Ordine di Gerusalemme, cosa che gli garantirebbe l’immunità. Ed è proprio per l’Ordine che dipinge la sua tela più imponente (circa tre metri e mezzo per cinque), tuttora conservata nella Concattedrale di San Giovanni a La Valletta. Diversamente dal solito, in questo quadro il rapporto tra figure e spazio è invertito a favore di quest’ultimo, così come inconsueta è la rappresentazione dell’episodio evangelico. Caravaggio sceglie infatti di concentrarsi sul momento immediatamente precedente la decapitazione del santo, al cui destino si sente vicino per ovvi motivi. La scena si svolge in una prigione, dove l’aguzzino che ha appena ucciso il Battista si accinge a decapitarlo con la misericordia, il pugnale che serviva a finire gli avversari feriti. Tra luci e ombre di straordinaria potenza evocativa, nel sangue di San Giovanni si distingue la scritta “f. Michel Ang.”, ovvero la firma di Caravaggio preceduta dal titolo “fra”, l’appellativo dato ai Cavalieri di Malta.


Michelangelo Merisi da Caravaggio, Davide con la testa di Golia, 1609-1610, Olo su tela, 100 x 125 cm, Roma, Galleria Borghese

Davide con testa Golia
Quando dipinse questo quadro, Caravaggio si trovava a Napoli, in fuga da Roma dove pendeva sulla sua testa un’accusa di omicidio. Dopo aver scelto autonomamente il soggetto, il pittore affidò il dipinto al cardinale Scipione Borghese, quale dono da recapitare a Papa Pio V per ottenere il perdono e tornare finalmente a casa. Il pittore è stanco e invecchiato: lo vediamo nel volto di Golia, nel quale avrebbe raffigurato il proprio autoritratto. Secondo alcuni studiosi gli autoritratti presenti nel quadro sarebbero addirittura due: nel David l’artista avrebbe rappresentato se stesso da giovane, non ancora toccato dal peccato. Il dono, in ogni caso, fu efficace solo per metà: la grazia fu accordata ma Caravaggio, quasi al termine del viaggio verso Roma, morì sulla spiaggia di Porto Ercole in circostanze mai chiarite.

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