Orazio e Artemisia Gentileschi
Orazio e Artemisia Gentileschi
25/02/2004
La prima mostra monografica completa sui due Gentileschi ha aperto i battenti nelle sale di Palazzo Venezia a Roma.
Il grande appartamento Barbo fino a gennaio ospiterà i capolavori di Orazio e di sua figlia Artemisia provenienti dai principali musei europei e non, da molte collezioni private, da alcune chiese in cui sono rimasti sin dall’origine.
Una mostra la cui importanza è testimoniata da quelli che saranno i suoi successivi spostamenti: prima al Metropolitan Museum di New York e quindi all’Art Museum di Saint Louis, le due istituzioni statunitensi che hanno collaborato all’organizzazione dell’esposizione insieme alla Soprintendenza di Roma.
La mostra si propone come occasione unica per la rivalutazione della produzione pittorica di Orazio Gentileschi, studiato finora in modo parziale e limitatamente alla sua attività londinese, ma anche per un attento studio relativo alla cronologia delle opere. Al tempo stesso è un ottimo punto di partenza per studi che possano mirare a sciogliere i misteri sui rapporti tra Orazio e la figlia, e soprattutto sulla vicenda di Artemisia, da sempre avvolta in un alone che ne ha fatto un’eroina romantica ante-litteram della realtà femminile tra ‘500 e ’600, ma che evidentemente necessita di un approccio meglio contestualizzato.
Le carriere dei due artisti, nelle sale del palazzo marciano, vengono seguite passo per passo, nei loro soggiorni romani, ma anche nelle peregrinazioni che in alcuni casi li portarono a lavorare persino oltre i confini italiani.
La prima parte della mostra è dedicata alla figura di Orazio, al suo debutto manierista vicino alle posizioni della pittura riformata e semplificata di Santi di Tito e Commodi, alla svolta iniziata col nuovo secolo grazie all’irruzione della pittura caravaggesca, ai suoi lavori a Parigi e a Londra. Splendidi esempi dell’influenza del Merisi sulla pittura di Gentileschi sono il “San Francesco” di New York, databile al 1601, che si rifà in maniera esplicita al celebre dipinto omonimo del pittore di Caravaggio conservato ad Hartford, ma anche il crudo “Giuditta e Oloferne” di Oslo (1608-09) e il “Davide e Golia” di Dublino (1607-09).
Orazio è autore di una produzione variegata, che va dalla storia ai quadri religiosi passando per quadri di genere. Tra questi ultimi ci sono i dipinti musicali raffiguranti suonatori di liuto (ancora una volta influenza caravaggesca) o la Santa Cecilia all’organo, come appare nel capolavoro di proprietà della National Gallery of Art di Washington (1618-21).
Orazio realizza anche quadri di piccole dimensioni, con una particolare propensione per i paesaggi, probabilmente sulle orme di quell’Adam Elsheimer che a Roma in quegli anni lascia il segno. Testimonianza di questa tendenza sono i due quadretti provenienti da Berlino rappresentanti uno, “Davide che contempla la testa di Golia”, l’altro un luminoso “San Cristoforo che traghetta Gesù bambino”.
Dei pezzi dipinti fuori Roma segnaliamo la pala di Ancona con la “Circoncisione”, opera che segue perfettamente i dettami controriformistici, la tela per il SS. Salvatore a Farnese (Viterbo), la “Maddalena” per l’omonima chiesa di Fabriano.
La rassegna su Orazio si chiude cronologicamente con il periodo parigino rappresentato dalla “Felicità pubblica”, opera ufficiale per la decorazione del Palais du Luxembourg richiesta dalla regina Maria de’ Medici, e infine con i pezzi legati alla sua permanenza londinese.
A Palazzo Venezia sono esposti “Lot e le figlie” (1628), tema in genere dipinto per la condanna dell’ubriachezza, ma soprattutto la “Diana cacciatrice” (1630), donata dal re d’Inghilterra al duca di La Roche Guyon, frutto di quel ritorno, da parte di Orazio, agli stilemi della maniera, sulle orme dei pittori andati a Fontaineblau a metà Cinquecento, quali Rosso Fiorentino, Primaticcio, Niccolò dell’Abate, che caratterizza gli ultimi anni della sua vita.
La vicenda artistica di Artemisia Gentileschi è presentata sin dall’inizio, con opere risalenti al suo periodo di apprendistato presso il padre.
Sintomatiche di questa produzione la “Cleopatra” della collezione Morandotti e la “Danae” di Saint Louis, entrambe dipinte tra 1610 ed il 1612, chiaramente frutto del lavoro di bottega: la stessa modella, posta nello medesimo atteggiamento, viene utilizzata per entrambe le composizioni. Nel primo caso con un aspide attorno al braccio, nel secondo con a fianco la guardiana che apre la veste per raccogliere le monete d’oro in cui Zeus di trasforma per possedere la giovane donna.
Nella prima sala dedicata ad Artemisia c’è anche il suo dipinto più famoso: quel “Giuditta e Oloferne” (1612-13, Capodimonte), dipinto dopo lo stupro subito da Agostino Tassi, tela di intensa drammaticità e di un realismo caravaggesco portato alle estreme conseguenze. Del dipinto viene esposta anche l’interessante versione degli Uffizi, richiesta da Cosimo II de’ Medici, realizzata qualche anno dopo, firmata sulla lama della spada e più vicina al gusto cortese fiorentino.
L’eleganza del periodo toscano appare evidente anche nel “Giaele e Siasra” di Budapest, e si accentua con lo sfarzo delle vesti e dei monili nell’“Ester e Assuero” del Metropolitan, iniziato a Venezia e finito a Napoli, chiaramente influenzato dai pittori veneti, su tutti Paolo Veronese.
L’esposizione si chiude con le tele della “Nascita del San Giovanni Battista” commissionata da re Filippo IV, oggi al Prado, esempio di scena quotidiana, e della “Susanna e i vecchioni” dipinto a Napoli dopo il periodo londinese.
ORAZIO E ARTEMISIA GENTILESCHI
Roma, Palazzo Venezia, Via del Plebiscito, 118
Fino al 20 gennaio 2002
Orario: tutti i giorni 9-19 (lunedì chiuso)
Ingresso: 16000 Lire (ridotto 12000 Lire)
Tel. 06/32810
Prenotazioni on line: www.ticketeria.it
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