Da oggi su ITsART FORMIDABILE BOCCIONI
Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galerie Bernheim-Jeune (vendendo un solo quadro)
Paris, Montmartre, Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it
Samantha De Martin e Eleonora Zamparutti
19/10/2022
Il 7 febbraio del 1912 nelle sale della Galerie Bernheim-Jeune di Parigi, 35 opere di Boccioni, Carrà, Severini e Russolo presentavano alla effervescente Ville Lumière l’astro nascente del Futurismo.
L'Europa intera accorse ad assistere a questa mostra nella galleria di Joss e Gaston Bernheim-Jeune, che solo undici anni prima, nel 1901, aveva accolto la prima mostra di Van Gogh, nel 1906 quella di Bonnart e Viallard, e nel 1907 i dipinti di Cézanne e Cross. C'erano i compatrioti degli artisti venuti a sostenere rumorosamente i dipinti e c'erano i colleghi francesi incerti se ridere o piangere, donne di mondo del tutto inconsapevoli dei contenuti dei capolavori esposti.
E c’era soprattutto la critica francese tutta che gridò allo scandalo, accusando i futuristi di volere rinnegare il passato con la loro pittura "odiosa, incompleta, incompresa". Solo i critici anglosassoni trovarono il coraggioso evento alla Bernheim-Jeune la mostra di pittura più bella del mondo.
Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it
“Parigi non era pronta è la frase che ricorre spesso in molti articoli di quegli anni. La critica francese non ha capito la pittura futurista o non l’ha accettata. Le parole che, nella maggior parte degli articoli sono state utilizzate in occasione di quella mostra potevano andare da questa pittura è odiosa, incompleta, incompresa, un mix tra Cubismo e Futurismo, a dove va la pittura? Vorrebbero distruggere il passato ma farebbero bene a lasciarsi ispirare. Per loro la pittura futurista non andava da nessuna parte, non era altro che un grande circo. Non è però il caso di tutta la critica, dal momento che i critici anglosassoni la considerarono la mostra di pittura più bella del mondo”.
Quella di Floriane D’Auberville, pronipote del gallerista francese Josse Bernheim-Jeune, è una delle autorevoli testimonianze che impreziosiscono il documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI, disponibile in esclusiva su ITsART a partire da oggi, 19 ottobre, giorno in cui, 140 anni fa, nasceva l’artista che abbracciava la rivoluzione di Marinetti traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa.
Floriane D’Auberville in Formidabile Boccioni | © ARTE.it
Scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, FORMIDABILE BOCCIONI è una produzione ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e RAI Cultura, che ripercorre la vita e le opere dell’artista futurista attraverso interviste esclusive ai massimi esperti, ai collezionisti e ai direttori dei più importanti musei che custodiscono i suoi capolavori.
E tra le date importanti per l'artista nato a Reggio Calabria, divenuto pittore seguendo un percorso non convenzionale, figura anche quel 7 febbraio del 1912 quando, esponendo per la prima volta a Parigi, in occasione della mostra alla Galerie Bernheim-Jeune, opere come La città che sale e La risata, Umberto Boccioni destò scandalo in tutta Europa scontrandosi con Picasso e i Cubisti.
Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York
Certo, quella di presentare in una mostra, per la prima volta, artisti come i futuristi, sconosciuti in quegli anni ai più, fu una scelta molto coraggiosa da parte dei lungimiranti Josse e Gaston Bernheim-Jeune.
“In un certo senso - racconta Floriane D’Auberville - quella di esporre in galleria artisti come i Futuristi che non erano assolutamente conosciuti a Parigi è stata in un certo senso una follia. Nessuno conosceva i dipinti dei Futuristi, anche se le loro teorie erano già arrivate alle orecchie dei parigini. Marinetti era conosciuto non per la sua pittura, ma per il Manifesto che aveva pubblicato su Le Figaro nel 1909. Sicuramente l'aver scelto una galleria già molto nota per Marinetti fu un punto di forza. Poteva dimostrare che i futuristi meritavano una grande sede per la loro prima mostra. Questa prima esposizione è la prova della spinta che Josse e Gaston hanno voluto dare ai futuristi. Sceglievano sempre artisti nei quali riponevano la loro fiducia, artisti che amavano e la cui pittura li colpiva. Per esempio di Cézanne - pittore che non veniva compreso, che veniva deriso dalla gente - i miei bisnonni organizzarono mostre e pubblicarono il primo libro al mondo a lui dedicato. Allora tutti risero. Accadde un po’ la stessa cosa per i futuristi. Nessuno ha creduto in noi per questa mostra, ma Josse e Gaston hanno intravisto questa scintilla”.
La Parigi alla fine del XX secolo, del XIX e di metà Ottocento era ancora la capitale dell'arte. Era una città romantica dalla grande storia culturale, pervasa da una certa effervescenza. Era la meta ambiziosa di tutti gli artisti del mondo. Ma era anche una città che poteva essere spietata, dove i critici potevano elogiarti o distruggere il tuo lavoro. Se le avanguardie come Picasso incontrarono il loro successo con il Cubismo, altri pennelli come quelli di Marcel Duchamp potevano vedere il loro lavoro completamente distrutto e rifiutato ai Salon.
Umberto Boccioni, La Risata, 1911 | © New York, Museum of Modern Art, Dono di Herbert e Nannette Rotschild
“Come ogni artista che esponeva a Parigi - continua D’Auberville - anche per Boccioni giungere nella città francese è stata una sfida. Venire dicendo non ho paura era da folli perché i critici ti aspettavano all'angolo della strada per distruggere il tuo lavoro se non gli piaceva. Credo che già intorno al 1911 Boccioni avesse fatto un viaggio con Carrà per vedere le opere cubiste. E a quell’epoca ha sicuramente avuto modo di incontrare Picasso che dal 1907 era noto grazie al suo dipinto delle Demoiselles d'Avignon che aveva avuto un forte impatto segnando il punto di partenza del Cubismo. Queste opere sono state essenziali segnando inevitabilmente la visione dell'arte di Boccioni”.
Eppure Boccioni, nella mostra del 1912 alla Galleria Bernheim-Jeune non vendette nemmeno un quadro. Anzi, una tela in quell'occasione fu venduta, ma non recava la sua firma.
“Le 35 opere che sono state esposte nel 1912 - continua Floriane D’Auberville - non sono entrate nelle scorte di Bernheim-Jeune, quindi non ho registrazioni contabili di ciò che è stato venduto, riacquistato o di eventuali transazioni. Tuttavia facendo delle ricerche mi sono imbattuta in un buono acquisto di un'opera che sarebbe stata venduta proprio durante la mostra. Si chiamava Souvenirs de voyage ed era di Severini. Non so se ve ne siano state altre”.
Gino Severini, 1911, Souvenirs de voyage, Olio su tela, 75 × 47 cm, Collezione privata
E Giacomo Balla? A quanto pare risulta il grande assente di quel fatidico appuntamento, con un quadro che a Parigi non è mai giunto.
“Il dipinto di Balla è stato scritto, il titolo compare nel catalogo della mostra del 1912, ma l’opera non è stata esposta. A tal proposito ci sono diverse teorie. La nostra è che Balla non riteneva che la sua pittura fosse sufficientemente realizzata per presentarla e accostarla a quella dei suoi compatrioti. Sarebbe stato lui a decidere di ritirarla dal momento che noi abbiamo pubblicato il nome di questo artista più il titolo della sua opera. Non vedo Bernheim-Jeune ritirare un quadro, non era nostra abitudine visto che accettare un pittore, significa accettiamo il suo lavoro. Non ho testi di corrispondenza che possano confutare o provare questa ipotesi, ma è quella che spesso discutiamo tra noi a Bernheim-Jeune”.
Nel 1925 la Bernheim-Jeune ha cambiato edificio, trasferendosi al Faubourg Saint-Honoré Avenue Matignon in locali più grandi e, dieci anni dopo, nel 1935, ha ospitato una seconda mostra futurista con artisti che hanno presentato 159 opere. Marinetti ha concesso alla galleria il privilegio di scrivere un testo per il catalogo. Questa è stata l'ultima mostra futurista ospitata dalla presigiosa galleria parigina che scommise sull'arte d'avanguardia.
Galerie Bernheim Jeune, Paris Madeleine
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Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it
“Parigi non era pronta è la frase che ricorre spesso in molti articoli di quegli anni. La critica francese non ha capito la pittura futurista o non l’ha accettata. Le parole che, nella maggior parte degli articoli sono state utilizzate in occasione di quella mostra potevano andare da questa pittura è odiosa, incompleta, incompresa, un mix tra Cubismo e Futurismo, a dove va la pittura? Vorrebbero distruggere il passato ma farebbero bene a lasciarsi ispirare. Per loro la pittura futurista non andava da nessuna parte, non era altro che un grande circo. Non è però il caso di tutta la critica, dal momento che i critici anglosassoni la considerarono la mostra di pittura più bella del mondo”.
Quella di Floriane D’Auberville, pronipote del gallerista francese Josse Bernheim-Jeune, è una delle autorevoli testimonianze che impreziosiscono il documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI, disponibile in esclusiva su ITsART a partire da oggi, 19 ottobre, giorno in cui, 140 anni fa, nasceva l’artista che abbracciava la rivoluzione di Marinetti traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa.
Floriane D’Auberville in Formidabile Boccioni | © ARTE.it
Scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, FORMIDABILE BOCCIONI è una produzione ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e RAI Cultura, che ripercorre la vita e le opere dell’artista futurista attraverso interviste esclusive ai massimi esperti, ai collezionisti e ai direttori dei più importanti musei che custodiscono i suoi capolavori.
E tra le date importanti per l'artista nato a Reggio Calabria, divenuto pittore seguendo un percorso non convenzionale, figura anche quel 7 febbraio del 1912 quando, esponendo per la prima volta a Parigi, in occasione della mostra alla Galerie Bernheim-Jeune, opere come La città che sale e La risata, Umberto Boccioni destò scandalo in tutta Europa scontrandosi con Picasso e i Cubisti.
Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York
Certo, quella di presentare in una mostra, per la prima volta, artisti come i futuristi, sconosciuti in quegli anni ai più, fu una scelta molto coraggiosa da parte dei lungimiranti Josse e Gaston Bernheim-Jeune.
“In un certo senso - racconta Floriane D’Auberville - quella di esporre in galleria artisti come i Futuristi che non erano assolutamente conosciuti a Parigi è stata in un certo senso una follia. Nessuno conosceva i dipinti dei Futuristi, anche se le loro teorie erano già arrivate alle orecchie dei parigini. Marinetti era conosciuto non per la sua pittura, ma per il Manifesto che aveva pubblicato su Le Figaro nel 1909. Sicuramente l'aver scelto una galleria già molto nota per Marinetti fu un punto di forza. Poteva dimostrare che i futuristi meritavano una grande sede per la loro prima mostra. Questa prima esposizione è la prova della spinta che Josse e Gaston hanno voluto dare ai futuristi. Sceglievano sempre artisti nei quali riponevano la loro fiducia, artisti che amavano e la cui pittura li colpiva. Per esempio di Cézanne - pittore che non veniva compreso, che veniva deriso dalla gente - i miei bisnonni organizzarono mostre e pubblicarono il primo libro al mondo a lui dedicato. Allora tutti risero. Accadde un po’ la stessa cosa per i futuristi. Nessuno ha creduto in noi per questa mostra, ma Josse e Gaston hanno intravisto questa scintilla”.
La Parigi alla fine del XX secolo, del XIX e di metà Ottocento era ancora la capitale dell'arte. Era una città romantica dalla grande storia culturale, pervasa da una certa effervescenza. Era la meta ambiziosa di tutti gli artisti del mondo. Ma era anche una città che poteva essere spietata, dove i critici potevano elogiarti o distruggere il tuo lavoro. Se le avanguardie come Picasso incontrarono il loro successo con il Cubismo, altri pennelli come quelli di Marcel Duchamp potevano vedere il loro lavoro completamente distrutto e rifiutato ai Salon.
Umberto Boccioni, La Risata, 1911 | © New York, Museum of Modern Art, Dono di Herbert e Nannette Rotschild
“Come ogni artista che esponeva a Parigi - continua D’Auberville - anche per Boccioni giungere nella città francese è stata una sfida. Venire dicendo non ho paura era da folli perché i critici ti aspettavano all'angolo della strada per distruggere il tuo lavoro se non gli piaceva. Credo che già intorno al 1911 Boccioni avesse fatto un viaggio con Carrà per vedere le opere cubiste. E a quell’epoca ha sicuramente avuto modo di incontrare Picasso che dal 1907 era noto grazie al suo dipinto delle Demoiselles d'Avignon che aveva avuto un forte impatto segnando il punto di partenza del Cubismo. Queste opere sono state essenziali segnando inevitabilmente la visione dell'arte di Boccioni”.
Eppure Boccioni, nella mostra del 1912 alla Galleria Bernheim-Jeune non vendette nemmeno un quadro. Anzi, una tela in quell'occasione fu venduta, ma non recava la sua firma.
“Le 35 opere che sono state esposte nel 1912 - continua Floriane D’Auberville - non sono entrate nelle scorte di Bernheim-Jeune, quindi non ho registrazioni contabili di ciò che è stato venduto, riacquistato o di eventuali transazioni. Tuttavia facendo delle ricerche mi sono imbattuta in un buono acquisto di un'opera che sarebbe stata venduta proprio durante la mostra. Si chiamava Souvenirs de voyage ed era di Severini. Non so se ve ne siano state altre”.
Gino Severini, 1911, Souvenirs de voyage, Olio su tela, 75 × 47 cm, Collezione privata
E Giacomo Balla? A quanto pare risulta il grande assente di quel fatidico appuntamento, con un quadro che a Parigi non è mai giunto.
“Il dipinto di Balla è stato scritto, il titolo compare nel catalogo della mostra del 1912, ma l’opera non è stata esposta. A tal proposito ci sono diverse teorie. La nostra è che Balla non riteneva che la sua pittura fosse sufficientemente realizzata per presentarla e accostarla a quella dei suoi compatrioti. Sarebbe stato lui a decidere di ritirarla dal momento che noi abbiamo pubblicato il nome di questo artista più il titolo della sua opera. Non vedo Bernheim-Jeune ritirare un quadro, non era nostra abitudine visto che accettare un pittore, significa accettiamo il suo lavoro. Non ho testi di corrispondenza che possano confutare o provare questa ipotesi, ma è quella che spesso discutiamo tra noi a Bernheim-Jeune”.
Nel 1925 la Bernheim-Jeune ha cambiato edificio, trasferendosi al Faubourg Saint-Honoré Avenue Matignon in locali più grandi e, dieci anni dopo, nel 1935, ha ospitato una seconda mostra futurista con artisti che hanno presentato 159 opere. Marinetti ha concesso alla galleria il privilegio di scrivere un testo per il catalogo. Questa è stata l'ultima mostra futurista ospitata dalla presigiosa galleria parigina che scommise sull'arte d'avanguardia.
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