L'archivio dell'artista in mostra
A mani piene nella vita di Ramak Fazel
Ramak Fazel, Milan Unit, Mixed Media, 1994-2009 © Ramak Fazel, Courtesy Viasaterna
Eleonora Zamparutti
25/09/2017
Milano - E’ un’operazione di lungo respiro la personale dedicata a Ramak Fazel, artista e fotografo di origini iraniane, e allestita presso la Galleria Viasaterna di Milano.
Ed è anche una grande scommessa da parte della galleria che per i prossimi dodici mesi ospiterà l’archivio personale di Fazel, consultabile dai visitatori, e una serie di incontri di discussione intorno al tema della memoria e della sopravvivenza.
L’esposizione affronta un tema di vasta portata in un’epoca di grandi cambiamenti in cui ciò che ci ritrae e che ci sopravviverà, la nostra memoria digitale, sono riducibili a pochi bit assolutamente intangibili e dove lo spazio dell’archivio in cloud è una manciata di gigabyte in qualche server remoto.
La grande rivoluzione del digitale che ha preso a schiaffi i vecchi scaffali e i contenitori impolverati di una volta, le cantine stipate di scatole di stampe, diapositive e oggetti vari, ci pone di fronte alla necessità di dotarci di una strategia di sopravvivenza.
Con l’operazione Milan Unit Ramak Fazel ha trasferito nelle stanze di via Leopardi una selezione di oggetti e documenti raccolti in piccole scatole ordinatamente etichettate, e che coprono un arco di quindici anni dal 1994 al 2009. Un corpus sintetico, unico che sarà venduto in blocco e per il quale non è stata data ancora la quotazione.
Sono gli anni milanesi dell’artista, nato in Iran e cresciuto negli Stati Uniti, durante i quali ha lavorato come fotografo con importanti riviste di moda, design e architettura e con aziende del calibro di Flos, Vitra e Desalto.
E’ in quel periodo a cavallo del Duemila, nella fase di passaggio dall’analogico al digitale, che matura nell’artista la volontà di utilizzare il mezzo fotografico per trovare una via da percorrere per conservare la cultura materiale.
“Conservo solo una minima parte delle cose, cerco di circoscrivere il più possibile la selezione” afferma Fazel. Ridotti in piccolo, ci sono numerosi oggetti e documenti che appartengono alla vita professionale ma anche privata dell’artista. Materia viva e pulsante che testimonia in modo tangibile un passato che sembra ormai lontanissimo.
Ma nulla è lasciato al caso. “Il criterio di selezione è basato sulla conservazione di ciò che può avere un senso per il futuro, per il mio futuro” afferma Fazel. “Ad esempio la collezione di automobiline è fatta di pochi pezzi, quelli che per me sono importanti. C'è anche un’opera che si riferisce alla mia collezione di francobolli che ora non esiste più, che è andata dispersa”.
Ma da dove nasce questa capacità di mettere in ordine l’essenziale? “Credo da mia madre, assolutamente incapace di liberarsi della moltitudine di cose accumulate nel corso di una vita”.
Ed è anche una grande scommessa da parte della galleria che per i prossimi dodici mesi ospiterà l’archivio personale di Fazel, consultabile dai visitatori, e una serie di incontri di discussione intorno al tema della memoria e della sopravvivenza.
L’esposizione affronta un tema di vasta portata in un’epoca di grandi cambiamenti in cui ciò che ci ritrae e che ci sopravviverà, la nostra memoria digitale, sono riducibili a pochi bit assolutamente intangibili e dove lo spazio dell’archivio in cloud è una manciata di gigabyte in qualche server remoto.
La grande rivoluzione del digitale che ha preso a schiaffi i vecchi scaffali e i contenitori impolverati di una volta, le cantine stipate di scatole di stampe, diapositive e oggetti vari, ci pone di fronte alla necessità di dotarci di una strategia di sopravvivenza.
Con l’operazione Milan Unit Ramak Fazel ha trasferito nelle stanze di via Leopardi una selezione di oggetti e documenti raccolti in piccole scatole ordinatamente etichettate, e che coprono un arco di quindici anni dal 1994 al 2009. Un corpus sintetico, unico che sarà venduto in blocco e per il quale non è stata data ancora la quotazione.
Sono gli anni milanesi dell’artista, nato in Iran e cresciuto negli Stati Uniti, durante i quali ha lavorato come fotografo con importanti riviste di moda, design e architettura e con aziende del calibro di Flos, Vitra e Desalto.
E’ in quel periodo a cavallo del Duemila, nella fase di passaggio dall’analogico al digitale, che matura nell’artista la volontà di utilizzare il mezzo fotografico per trovare una via da percorrere per conservare la cultura materiale.
“Conservo solo una minima parte delle cose, cerco di circoscrivere il più possibile la selezione” afferma Fazel. Ridotti in piccolo, ci sono numerosi oggetti e documenti che appartengono alla vita professionale ma anche privata dell’artista. Materia viva e pulsante che testimonia in modo tangibile un passato che sembra ormai lontanissimo.
Ma nulla è lasciato al caso. “Il criterio di selezione è basato sulla conservazione di ciò che può avere un senso per il futuro, per il mio futuro” afferma Fazel. “Ad esempio la collezione di automobiline è fatta di pochi pezzi, quelli che per me sono importanti. C'è anche un’opera che si riferisce alla mia collezione di francobolli che ora non esiste più, che è andata dispersa”.
Ma da dove nasce questa capacità di mettere in ordine l’essenziale? “Credo da mia madre, assolutamente incapace di liberarsi della moltitudine di cose accumulate nel corso di una vita”.
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