Dal 15 maggio al 19 ottobre

La fotografia di Dorothea Lange in mostra a Milano

Dorothea Lange, Madre migrante. Raccoglitori poveri di piselli in California. Madre di sette figli. Età: trentadue, Nipomo, California, 1936, The New York Public Library | Library of Congress Prints and Photographs Division Washington
 

Francesca Grego

13/05/2025

Milano - La grande fotografia torna protagonista ai Chiostri di Sant'Eustorgio: dopo le mostre dedicate a Robert Capa, Robert Doisneau, Elliott Erwitt, Mario De Biasi, Maurizio Galimberti - giusto per limitarci ai più noti - il Museo Diocesano Carlo Maria Martini celebra i 130 anni dalla nascita di una delle più significative reporter del Novecento. Parliamo della statunitense Dorothea Lange (Hoboken, New Jersey, 1895 - San Francisco, 1965), autrice di 140 scatti da scoprire in un progetto a cura di Walter Guadagnini e Monica Poggi. Coraggiosa fotogiornalista e ritrattista di notevole sensibilità, dal 15 maggio al 19 ottobre 2025 Lange mostrerà quanto sia ancora attuale il suo lavoro, che ha toccato temi come le migrazioni, la crisi climatica, le discriminazioni. 

“Osservatrice sociale per scelta e artista per istinto”, come ha scritto di lei John Szarkowski, la fotografa americana è passata alla storia per un’immagine simbolo del XX secolo, Migrant Mother, scattata nel 1936. L’esposizione milanese ne restituisce un ritratto a 360 gradi, tra foto iconiche e gemme poco conosciute che riportano alla ribalta pagine dimenticate della storia del Novecento. Come quella dei campi di detenzione sorti negli Stati Uniti nel 1941, subito dopo l’attacco a Pearl Harbour, per confinare la popolazione di origine giapponese. Lange lavorò insieme ad altri autori - tra cui il grande paesaggista Ansel Adams - su incarico del governo americano, nonostante avesse espresso pubblicamente il proprio dissenso nei confronti di questa misura. I suoi scatti documentano l’assurdità di una legge razziale e discriminatoria e di come questa abbia stravolto la vita di migliaia di persone ben inserite nella società, costringendole ad abbandonare le proprie case e le proprie attività. Eccellente ritrattista, Lange riesce a restituire il vissuto emotivo dei soggetti delle sue foto, sottolineando come le scelte politiche e le condizioni ambientali si ripercuotano sulla vita dei singoli.

Picco assoluto nel lavoro della fotografa è il periodo tra gli anni Trenta e Quaranta, quando documenta alcuni eventi decisivi nella storia degli Stati Uniti. Imperdibile a questo proposito è il reportage realizzato durante la grande siccità che colpì il paese tra il 1931 e il 1931, quando la prolungata mancanza di pioggia e le continue tempeste di sabbia misero in ginocchio l’agricoltura, costringendo migliaia di persone a migrare. 

In questi anni Lange fa parte del gruppo di fotografi chiamati dalla Farm Security Administration (l’agenzia governativa incaricata di promuovere le politiche del New Deal) a documentare l’esodo dei lavoratori agricoli in cerca di un’occupazione nelle grandi piantagioni della Central Valley. Nel 1935 la reporter parte insieme a Paul S. Taylor, economista agricolo che sposerà alcuni anni dopo, per un lungo viaggio sulle strade percorse da intere famiglie in condizioni di vita miserabili. Dai campi di piselli della California alle piantagioni di cotone del Sud, dove la segregazione razziale porta a forme di sfruttamento ancor più degradanti, Lange realizzerà migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti, riportati poi nelle dettagliate didascalie a corredo delle immagini.

“L'importanza di Dorothea Lange - osservano i curatori Walter Guadagnini e Monica Poggi - è centrale nella storia della fotografia, anche per la sua capacità di raccontare la tragedia umana attraverso un raffinato senso estetico, che oggi ci permette di considerare il suo lavoro sia sotto il profilo documentario che artistico. Le sue immagini continuano a colpirci per la sensibilità con cui riesce a ritrarre esperienze individuali, elevandole a una lettura universale della condizione umana e della sua fragilità”.