Nelle sale il 27, 28 e 29 novembre

Al cinema la vita di Egon Schiele tra scandalo e bellezza

Egon Schiele, interpretato da Noah Saavedra, mentre ritrae la sua “musa” Wally (Valerie Pachner). Courtesy of K words
 

Samantha De Martin

27/11/2017

Mondo - Quanto l’opera d’arte dice del suo artista? E fino a che punto può porsi come forma più elevata di passione al punto da sacrificare l’amore, da trasformare il disegno stesso nell’acme dell’amplesso e la matita e il tratto - tagliente, incisivo, come affilato dall’angoscia - nell’attimo più intenso di un’intimità artefatta, quasi messa in posa, che ha le sembianze di un appassionato, intenso, ammaliante sguardo di donna?
Non è facile entrare nella vita tarsgressiva di Egon Schiele. Non lo è soprattutto perché ci si trova a tu per tu con la controversa sensazione che, da un lato, induce a mettere in discussione scelte ed abitudini di questo altissimo rappresentante dell'espressionismo viennese e della cosiddetta Wiener Secession, pupillo di Klimt, dall’altro ammalia, con i suoi 300 dipinti e le 2mila opere - tra disegni e acquerelli - frutto di una carriera breve, interrotta dalla morte dell’artista, ucciso, appena ventottenne, dall’influenza spagnola.
Ci riesce bene il bel Noah Saavedra, classe 1991, che veste i panni del frenetico, appassionato pittore austriaco in Egon Schiele di Dieter Berner, produzione distribuita dalla Draka Distribution in collaborazione con Twelve Entertainment, che arriverà nelle sale il 27, 28 e 29 novembre.

Sul grande schermo l'autore de La morte e la fanciulla - oggi al Leopold Museum di Viennasarà, insieme ai suoi corpi di donna, al centro di una narrazione - ispirata al romanzo di Hilde Berger Tod und Mädchen: Egon Schiele und die frauen - che si dipana fluida, frequentemente interrotta da lampi di memoria. Sono i barlumi sprigionati dall’infanzia di Schiele, precocemente offuscata dal progredire della malattia mentale del padre, una figura che imprimerà sulla pittura dell’artista i contorni di un mondo tetro e malinconico.

Una vita, quella del celebre incisore che abbandona l’arte accademica per reclutare le sue modelle tra caffè e teatri, caratterizzata da un’ossessiva passione per la sessualità, per il nudo, specie di donna, talvolta appena accennato, talvolta non concluso, spezzato, che diventa opera d’arte erotica.

In questa prolifica galleria di corpi sensuali e di ritratti dall’intensa connotazione psicologica, tacciata da molti contemporanei come “opera oscena, vera pornografia”, dove a posare nuda, ancora adolescente, è anche Gerti, sorella stessa dell’artista - interpretata dalla giovane Maresi Riegner - il raffinato erotismo dell’Art Nouveau è assente e Schiele è il personaggio definito “indecente”, “molestatore di bambine”, che cerca, piuttosto, di rivendicare la responsabilità dell’artista, di “difendere la libertà dell’altro”.

In questo universo popolato da carte e da matite, la diciassettenne Wally - che ha lo sguardo limpido di Valerie Pachner - modella anche di Klimt, è l’ “allodola cinguettante” protagonista de La morte e la fanciulla. È lei l’amata musa ispiratrice dell’artista, di questo controverso protagonista del panorama artistico tra fine Ottocento e il primo ventennio del 1900, la cui predilezione per le modelle giovanissime, oltre a creare scandalo nella società dell’epoca, gli costò persino un mese di galera, con l’accusa di rapimento, abuso di una minorenne e “pornografia”.

E poi c’è Edith Harms, ultima e importante modella della vita di Schiele, che pone come condizione per diventare moglie l’essere unica sua musa. Sarà lei a pretendere l’interruzione del rapporto con Wally, mentre una nuova forza caratterizzerà i dipinti di una nuove fase artistica.

Questa breve vita votata al disegno di nudi asciutti, donne altere e coppie avvinte in abbracci apparentemente senza amore - un universo popolato “non da una nuova arte, ma solo da nuovi artisti”, come lo stesso Schiele sosteneva - è accompagnata ora dalle note di un walzer, ora dai ritmi scatenati di una “tarantella krumlovese”, ora dalla bellezza casta della neve, e infine dall’ombra minacciosa della guerra. Ma nemmeno la chiamata alle armi, nel 1915, riuscirà a spezzare le matite di Schiele, che continueranno a raccontare, ben affilate, fino a poco prima di morire, quel suo universo intimo e allo stesso tempo voyerista che ha avuto come sfondo tanto i campi di Neulengbach, non lontano da Vienna, quanto i tetti della boema Krumau.

“Sarei felice di riuscire a vedere le facce come fai tu” gli diceva l’amico Gustav Klimt, che nutriva per Schiele una grande stima e che, con lungimirante ingegno, si impegnò ad aiutare l'amico attraverso l'acquisto di disegni.
D’altra parte quei volti di modelle parlano, raccontano un mondo, filtrano, ciascuno dal proprio punto di vista, l’anima di colui che considerava il denaro “uno scarabocchio attraverso cui è impossibile pagare un’arte che non ha prezzo”.
E il film è un delicato viaggio in questa vita, sferzata dalla frustrazione di un uomo, nella quale la sessualità, racchiusa ora nelle calze grigie, ora in tessuti coloratissimi, è incipit ed epilogo, posa e bellezza.

“Potresti guardare me per favore? Potresti tirare un po’ su la sottogonna? Dipingo quello che voglio”. E per fortuna, questa sua disobbedienza ha consentito ai suoi lavori di giungere fino a noi, nonostante le fiamme dei giudici bempensanti del tempo, gettate come sentenze sulla sua appassionata arte, ma tuttavia cassate dal tempo e dal successo sancito dai posteri.

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