Il film sarà nelle sale l'8 e il 9 maggio
Cézanne. Ritratti di una vita - La nostra recensione
Lo studio di Cézanne. Dal set di Cézanne. Ritratti di una vita. Courtesy of David Bickerstaff e Nexo Digital
Samantha De Martin
03/05/2018
Mondo - Attraverso una finestra spalancata su una natura rigogliosa, lo sguardo penetra nella dimensione più intima di Paul Cézanne, lentamente. E la macchina da presa diventa il pennello che sfiora le sue amatissime mele, le arance, piroettando poi nella camera del padre dell’arte moderna per affondare tra i teschi, gli abiti e gli attrezzi da lavoro, gli sguardi che bucano le tele con la loro straordinaria carica espressiva.
Perché in quest’ultima produzione firmata Phil Grabsky e dedicata alla Grande Arte al cinema - distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Sky Arte HD e Mymovies.it - nelle sale l’8 e il 9 maggio, sono soprattutto i ritratti a fare da cornice all’incontro tra lo spettatore e Paul Cézanne.
Cézanne. Ritratti di una vita, il docufilm dedicato al maestro che influenzò Fauves, cubisti e gli artisti delle avanguardie, ha per fil rouge la mostra Cézanne’s portraits incentrata su quelle stesse opere - in tutto cinquanta ritratti del pittore di Aix-en-Provence - che hanno viaggiato dalla National Portrait Gallery di Londra al MoMA di New York fino alla National Gallery of Art a Washington DC e al Musée d’Orsay di Parigi per svelare al pubblico l’anima di colui che ricondusse le realtà fenomeniche alle forme essenziali della sfera, del cono, del cilindro.
In questi ritratti, ai quali si affiancano una trentina di autoritratti, sono immortalati i volti di coloro che fecero parte della vita dell’artista, condividendo con lui momenti diversi. Molti furono scelti come soggetto più di una volta, lasciando sulla tela un risultato sempre diverso.
Al di là dell’allestimento espositivo ripercorso dalla macchina da presa, attraversato ora da quadri entrati nella leggenda - come la Montagna Sainte Victoire, i Giocatori di carte, o come il ritratto del Padre dell’artista che legge L’Evénement o le tele dedicate al figlio Paul, alla sorella Marie, alla sua sposa, Hortense Fiquet, allo zio Dominique - al da là del contributo, certo prezioso, di curatori ed esperti che hanno prestato il volto e la voce per arricchire i contenuti del film, guidando lo spettatore all’interno della mostra e della vita di Cézanne, ciò che forse maggiormente resta impresso nel cuore del pubblico, è la poesia sprigionata dalla voce, da quelle lettere alle quali il pittore consegna la propria anima, come in una confessione appassionata che alterna momenti di sollievo a istanti di infinito scoramento.
“Talvolta ho slanci di entusiasmo, più spesso momenti di amara delusione. Così è la vita. Pensa ai vecchi amici e non abbandonare l’arte in toto, poiché è l’espressione più intima di quello che siamo” scriveva.
Sono le lettere, inviate principalmente all’amico fraterno Emile Zola - ma anche a Pissarro, a Heinrich Morstatt, a Philippe Solari - a cucire il racconto che prende vita sul grande schermo. D’altronde è anche grazie a Zola - al quale il pittore, a partire dal loro incontro al Collège Bourbon, fu legato da un’amicizia appassionata, in seguito spezzata, fatta di poesia, nuotate spensierate e inebrianti visioni romantiche - che il poeta Cézanne, amante della letteratura, di Seneca e Virgilio e fervente cultore delle lingue classiche, abbandona la toga per indossare l’abito macchiato di colore. E fu sempre Zola a supportare economicamente l’artista per dieci lunghi anni.
“Ti ricordi del pino sulla riva dell’Arc, la cui fitta chioma sporgeva sul precipizio ai suoi piedi, di quel pino che proteggeva il nostro corpo dall’ardore del sole? Possano gli dei preservarlo dall’oltraggio funesto dall’accetta del legnaiolo!” scriveva nel 1858 il pittore all’amico poeta.
Il burrascoso rapporto con il padre, le difficoltà economiche estreme, il deludente esito pittorico delle sue opere, la solitudine straziante, il supporto di père Tanguy - il vecchio commerciante di colori parigino che aiutò anche Cézanne, acquistando le sue opere e fornendogli i colori con cui dipingere - lo scoramento alternato alla rinnovata fiducia sono solo alcuni aspetti della vita e della personalità di questo complesso genio descritto tavolta come un uomo schivo, aggressivo, solitario.
“Mi trovo in compagnia della mia famiglia, le persone più ripugnanti al mondo. Sto ancora cercando la mia strada pittorica; è la natura a darmi maggiori difficoltà, non riesco a esprimere l’intensità che percepisco con i sensi. Tutti sono perfetti idioti, eccetto me” scriveva.
Alle opere, ai luoghi, alle voci di curatori ed esperti - dal direttore del Musée de l’Orangerie e Museé d’Orsay al presidente della Paul Cézanne Society, dal curatore della mostra Cézanne Portrait al direttore della National Portrait Gallery - si aggiunge la testimonianza del pronipote del pittore, Philippe Cézanne, che ha preso parte al progetto offrendo un’incredibile forza al contenuto cinematografico.
Durante l’intera durata del film, i luoghi fisici - che includono Londra, Parigi, Washington D.C. e Aix-en-Provence, quel sud della Francia in cui Cézanne nacque e si spense - si intrecciano ai sentieri dell’anima e ai templi dell’arte, come il Louvre, che per l’artista assurge a una sorta di libro aperto da sfogliare e dal quale attingere costantemente.
Ed ecco Jas de Bouffan, la dimora acquistata dal padre di Cézanne per la famiglia, nel 1859, e alla quale l’artista rimase sempre legato, confortato da quella quiete che Parigi non poteva assicurargli. Il pubblico ne scruta le stanze, quasi respirando l’odore di questo studio, e insieme rifugio, rimasto tale fino al 1898 quando, un anno dopo la morte della madre, il pittore si vide costretto a vendere la proprietà.
Oltre a sottolineare il forte legame con i predecessori - e tra questi Courbet, al quale Cézanne è accomunato dalla costante ricerca del “vero” e dalla dignità della rappresentazione - il film si sofferma sul ruolo di quest’artista poliedrico, del genio capace di rendere lo spazio attraverso il colore e di mostrare, all’interno di una stessa tela, quella personalissima evoluzione in grado di superare con appassionato slancio, con una profonda ricerca ontologica e con la resa della prospettiva attraverso il colore, l’eredità lasciata dagli Impressionisti.
Intenso e profondo, Cézanne. Ritratti di una vita si fa ascoltare con lentezza, sgusciando l'anima, oltre che l'arte e le intuizioni, di un artista moderno, immenso.
Leggi anche:
• Van Gogh. Tra il grano e il cielo - La nostra recensione
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Perché in quest’ultima produzione firmata Phil Grabsky e dedicata alla Grande Arte al cinema - distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Sky Arte HD e Mymovies.it - nelle sale l’8 e il 9 maggio, sono soprattutto i ritratti a fare da cornice all’incontro tra lo spettatore e Paul Cézanne.
Cézanne. Ritratti di una vita, il docufilm dedicato al maestro che influenzò Fauves, cubisti e gli artisti delle avanguardie, ha per fil rouge la mostra Cézanne’s portraits incentrata su quelle stesse opere - in tutto cinquanta ritratti del pittore di Aix-en-Provence - che hanno viaggiato dalla National Portrait Gallery di Londra al MoMA di New York fino alla National Gallery of Art a Washington DC e al Musée d’Orsay di Parigi per svelare al pubblico l’anima di colui che ricondusse le realtà fenomeniche alle forme essenziali della sfera, del cono, del cilindro.
In questi ritratti, ai quali si affiancano una trentina di autoritratti, sono immortalati i volti di coloro che fecero parte della vita dell’artista, condividendo con lui momenti diversi. Molti furono scelti come soggetto più di una volta, lasciando sulla tela un risultato sempre diverso.
Al di là dell’allestimento espositivo ripercorso dalla macchina da presa, attraversato ora da quadri entrati nella leggenda - come la Montagna Sainte Victoire, i Giocatori di carte, o come il ritratto del Padre dell’artista che legge L’Evénement o le tele dedicate al figlio Paul, alla sorella Marie, alla sua sposa, Hortense Fiquet, allo zio Dominique - al da là del contributo, certo prezioso, di curatori ed esperti che hanno prestato il volto e la voce per arricchire i contenuti del film, guidando lo spettatore all’interno della mostra e della vita di Cézanne, ciò che forse maggiormente resta impresso nel cuore del pubblico, è la poesia sprigionata dalla voce, da quelle lettere alle quali il pittore consegna la propria anima, come in una confessione appassionata che alterna momenti di sollievo a istanti di infinito scoramento.
“Talvolta ho slanci di entusiasmo, più spesso momenti di amara delusione. Così è la vita. Pensa ai vecchi amici e non abbandonare l’arte in toto, poiché è l’espressione più intima di quello che siamo” scriveva.
Sono le lettere, inviate principalmente all’amico fraterno Emile Zola - ma anche a Pissarro, a Heinrich Morstatt, a Philippe Solari - a cucire il racconto che prende vita sul grande schermo. D’altronde è anche grazie a Zola - al quale il pittore, a partire dal loro incontro al Collège Bourbon, fu legato da un’amicizia appassionata, in seguito spezzata, fatta di poesia, nuotate spensierate e inebrianti visioni romantiche - che il poeta Cézanne, amante della letteratura, di Seneca e Virgilio e fervente cultore delle lingue classiche, abbandona la toga per indossare l’abito macchiato di colore. E fu sempre Zola a supportare economicamente l’artista per dieci lunghi anni.
“Ti ricordi del pino sulla riva dell’Arc, la cui fitta chioma sporgeva sul precipizio ai suoi piedi, di quel pino che proteggeva il nostro corpo dall’ardore del sole? Possano gli dei preservarlo dall’oltraggio funesto dall’accetta del legnaiolo!” scriveva nel 1858 il pittore all’amico poeta.
Il burrascoso rapporto con il padre, le difficoltà economiche estreme, il deludente esito pittorico delle sue opere, la solitudine straziante, il supporto di père Tanguy - il vecchio commerciante di colori parigino che aiutò anche Cézanne, acquistando le sue opere e fornendogli i colori con cui dipingere - lo scoramento alternato alla rinnovata fiducia sono solo alcuni aspetti della vita e della personalità di questo complesso genio descritto tavolta come un uomo schivo, aggressivo, solitario.
“Mi trovo in compagnia della mia famiglia, le persone più ripugnanti al mondo. Sto ancora cercando la mia strada pittorica; è la natura a darmi maggiori difficoltà, non riesco a esprimere l’intensità che percepisco con i sensi. Tutti sono perfetti idioti, eccetto me” scriveva.
Alle opere, ai luoghi, alle voci di curatori ed esperti - dal direttore del Musée de l’Orangerie e Museé d’Orsay al presidente della Paul Cézanne Society, dal curatore della mostra Cézanne Portrait al direttore della National Portrait Gallery - si aggiunge la testimonianza del pronipote del pittore, Philippe Cézanne, che ha preso parte al progetto offrendo un’incredibile forza al contenuto cinematografico.
Durante l’intera durata del film, i luoghi fisici - che includono Londra, Parigi, Washington D.C. e Aix-en-Provence, quel sud della Francia in cui Cézanne nacque e si spense - si intrecciano ai sentieri dell’anima e ai templi dell’arte, come il Louvre, che per l’artista assurge a una sorta di libro aperto da sfogliare e dal quale attingere costantemente.
Ed ecco Jas de Bouffan, la dimora acquistata dal padre di Cézanne per la famiglia, nel 1859, e alla quale l’artista rimase sempre legato, confortato da quella quiete che Parigi non poteva assicurargli. Il pubblico ne scruta le stanze, quasi respirando l’odore di questo studio, e insieme rifugio, rimasto tale fino al 1898 quando, un anno dopo la morte della madre, il pittore si vide costretto a vendere la proprietà.
Oltre a sottolineare il forte legame con i predecessori - e tra questi Courbet, al quale Cézanne è accomunato dalla costante ricerca del “vero” e dalla dignità della rappresentazione - il film si sofferma sul ruolo di quest’artista poliedrico, del genio capace di rendere lo spazio attraverso il colore e di mostrare, all’interno di una stessa tela, quella personalissima evoluzione in grado di superare con appassionato slancio, con una profonda ricerca ontologica e con la resa della prospettiva attraverso il colore, l’eredità lasciata dagli Impressionisti.
Intenso e profondo, Cézanne. Ritratti di una vita si fa ascoltare con lentezza, sgusciando l'anima, oltre che l'arte e le intuizioni, di un artista moderno, immenso.
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