Alla Fondation Beyeler il cortometraggio del regista per la mostra in corso fino al 17 maggio

Hopper secondo Wim Wenders. Quando il cinema ispira l'arte

Edward Hopper, Gas, 1940, Olio su tela, 102.2 x 66.7 cm, The Museum of Modern Art, New York, Mrs. Simon Guggenheim Fund | © Heirs of Josephine Hopper / 2019, ProLitteris, Zurich | © 2019 Digital image, The Museum of Modern Art, New York / Scala, Florence
 

Samantha De Martin

29/01/2020

Mondo - Una macchina sfreccia accanto al distributore di benzina ritratto da Hopper in Gas 1940. La ragazza vestita di rosso in Cape Cod Morning, 1950, intenta a guardare fuori da un bovindo, il viso illuminato dal sole, esce dalla tela per diventare un road movie e, dal letto di una casa qualunque, volge lo sguardo alla finestra assorta nei suoi pensieri, contemplando qualcosa che lo spettatore non può scorgere.
Il regista Wim Wenders si confronta con il pittore Edward Hopper fornendo un suo personale e originale contributo alla mostra che la Fondation Beyeler dedica all’artista americano fino al prossimo 17 maggio. È la prima volta che opere di Hopper vengono esposte nella Svizzera tedesca.
Tra gli oltre 60 capolavori eseguiti tra il 1909 e il 1965, tra dipinti, disegni e acquerelli arrivati nel suggestivo museo di Riehen da istituzioni e collezioni private, accanto agli iconici capolavori di uno dei più grandi artisti americani, la rassegna trova un suo culmine nella proiezione del cortometraggio in 3D Two or Three Things I Know about Edward Hopper del celebre regista e fotografo tedesco, prodotto da Road Movies GmbH.



Le riprese improntate all’“American spirit” di Edward Hopper sono offerte alla vista nello spettacolare formato tridimensionale. “Nello stupendo museo di Riehen - commenta l’autore de Il cielo sopra Berlino e Non bussare alla mia porta - ho già visitato diverse mostre, ma questa mi sta particolarmente a cuore. Il grande pittore statunitense Edward Hopper lo avevo “scoperto” per me stesso, per così dire, come fonte d’ispirazione. Parlo degli anni 1970, quando l’artista era pressoché sconosciuto in Europa. Hopper ha un’affinità con il mezzo filmico davvero unica, sia nelle scelte tematiche (per esempio il paesaggio americano o l’isolamento esistenziale dell’uomo moderno) sia nell’uso della luce e nelle inquadrature”.

Nel cercare l'“Hopper Spirit” Wenders ha viaggiato attraverso l’America raccogliendo impressioni poi condensatesi nel film concepito per questo evento espositivo. La pellicola sottolinea in maniera poetica e commovente non solo quanto il cinema debba a Edward Hopper ma soprattutto in quale misura lo stesso Hopper ne fosse affascinato.
“Non solo, l’artista andava molto spesso al cinema - continua Wenders - alle volte ogni giorno per intere settimane, soprattutto quando non sapeva più cosa raffigurare, secondo quanto riferisce un amico. La mia installazione in 3D Two or Three Things I Know about Edward Hopper tratta proprio di questa circolarità. Un pittore suggestionato da film dipinge quadri che a loro volta finiranno per influenzare i cineasti. Volevo che lo spettatore potesse immergersi nell’universo di Hopper, artefice di opere iconiche e insieme narratore di destini e storie”.
D’altra parte le sale cinematografiche, al pari di treni e battelli, furono da subito - da quando dal 1905 al 1925 Hopper si dedicò all’attività di illustratore e grafico pubblicitario - temi presenti e sperimentati in disegni, incisioni, oli e acquerelli.


Edward Hopper, Cape Cod Morning, 1950, Olio su tela, 102.3 x 86.7 cm, Smithsonian American Art Museum, Donazione delle Sara Roby Foundation | © Heirs of Josephine Hopper / 2019, ProLitteris, Zurich | Foto: Smithsonian American Art Museum, Gene Young

L’idea della mostra nelle sale della Fondazione realizzate da Renzo Piano, nasce con la cessione in prestito permanente alla Collezione Beyeler di Cape Ann Granite, un paesaggio di Edward Hopper del 1928. L’opera, che per decenni aveva fatto parte della Collezione Rockefeller, risale a un periodo in cui critici, curatori e pubblico iniziarono a seguire Hopper con crescente interesse, fino a invitarlo nel 1929 a partecipare alla seconda rassegna del Museum of Modern Art di New York intitolata Paintings by Nineteen Living Americans.
L’esposizione in corso a Riehen è organizzata in collaborazione con il Whitney Museum of American Art, New York, che accoglie nel suo fondo la più grande collezione di Hopper esistente al mondo.

I paesaggi di Hopper palesano sempre, ebbene in maniera sottile e diversificata, l’azione dell’uomo sulla natura, inaugurando un approccio decisamente moderno a un genere artistico consolidato dalla tradizione. Sarà forse questa loro caratteristica a renderli particolarmente “cinematografici”, con i loro spazi senza limiti, idealmente sconfinati, che sembrano sempre mostrare una frazione minima di un tutto immenso. Così come i mezzogiorni abbacinanti o i soffusi tramonti - che lasciano percepire anche in un paesaggio statico la grandezza della natura in costante movimento e suscitano l’impressione che eventi invisibili stiano accadendo al di fuori del dipinto - diventano possibili fotografie.
Intrisi di malinconia e solitudine, i paesaggi di Hopper denunciano talvolta anche l’intrusione, talvolta brutale, dell’uomo nella natura. L’idea dell’artista, di un’America malinconica, segnata anche dai lati oscuri oscuri del progresso, coincide con quell’enorme spazio senza confini, divenuto popolare proprio attraverso il cinema, da Intrigo internazionale (1959) di Alfred Hitchcock a Paris, Texas (1984) dello stesso Wim Wenders fino a Balla coi lupi (1990) di Kevin Costner.


Edward Hopper, Road and Houses, South Truro, 1930-1933, Olio su tela, 109.7 x 68.4 cm, Whitney Museum of American Art, New York, Legs de Josephine N. Hopper | © Heirs of Josephine Hopper / 2019, ProLitteris, Zurich | Foto : © 2019. Digital image Whitney Museum of American Art / Licensed by Scala

Ed ecco che il cortometraggio di Wenders è ricco di echi dei quadri presenti in mostra, come Second Story Sunlight, 1960, Gas, 1960, dei paesaggi deserti o incendiati dal sole come Road and Houses, South Truro, 1930-1933 che si animano della presenza di macchine, di un uomo, di una donna, dello stesso regista.
In 14 minuti Wenders entra letteralmente nell’arte, come completando, con l’immaginazione che le tele di Hopper attivano, lo storytelling dell’artista. E da questo incontro tra cinema e pittura si sprigiona un’intesa carica di suggestioni che raggiunge lo spettatore con eccezionale carica e attualità.

 FOTO – Edward Hopper

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