Fino al 26 novembre al Museo Mandralisca
A Cefalù i ritratti di Antonello da Messina
Antonello da Messina, Ritratto d'uomo, 1470 circa, Olio su tavola di noce, 26.3 x 30.5 cm, Museo della Fondazione Culturale Mandralisca, Cefalù, Palermo | Foto: Foto Giulio Archinà
Francesca Grego
10/06/2019
Palermo - Dopo la grande mostra su Antonello da Messina a Palazzo Reale di Milano, torna a casa al Museo Mandralisca di Cefalù una delle opere iconiche del maestro rinascimentale. Questa volta l’enigmatico Ritratto d’uomo porta con sé un altro grande dipinto, il Ritratto Malaspina dei Musei Civici di Pavia, con cui dialogherà in un progetto espositivo dedicato.
Chi raggiungerà la cittadina siciliana durante l’estate o in autunno, potrà ammirare un confronto tra opere diversissime e tuttavia entrambe testimoni di un’arte – quella di trasferire sulla tela, insieme ai tratti del volto, stati d’animo e personalità – di cui Antonello fu audace pioniere.
Nel percorso di “Scoprici. Antonello da Messina. Due ritratti per Cefalù” creato da Giovanni Carlo Federico Villa, esperto del pittore e curatore della mostra a Milano, i due ritratti sembrano studiarsi a vicenda, in un intreccio di sguardi e rimandi che ci trasporta in un momento chiave della storia della ritrattistica europea.
Raro, prezioso, delicatissimo, il Ritratto Malaspina è stato ritenuto da molti l’effigie dell’autore. La pensava così il marchese Luigi Malaspina, che lo acquistò da una famiglia patrizia veronese. Quel che sappiamo con certezza è che si tratta di uno dei primi esempi del modello di “ritratto da viaggio” elaborato da Antonello: una tavola di dimensioni ridotte facilmente trasportabile, riconducibile alla sfera privata della borghesia rinascimentale in ascesa. La posa di tre quarti, il parapetto e il fondo scuro sono mutuate dalla pittura fiamminga, che l’artista conobbe nell’ambiente culturale cosmopolita della Sicilia di Alfonso d’Aragona. Su questi elementi Antonello innestò la sua specialità, un’acuta caratterizzazione psicologica allora senza precedenti.
Ospitato dal 1837 nello Stabilimento di Belle Arti Malaspina di Pavia, lo spazio espositivo progettato dal marchese che alla sua morte divenne un museo pubblico, in anni più recenti il dipinto è assurto agli onori della cronaca per un’avventura finita bene: fu trafugato in una notte del 1970 per essere ritrovato solo sette anni dopo alla Stazione Tiburtina di Roma e, tornato a Pavia, fu esposto nella Pinacoteca Malaspina del Castello Visconteo.
A Cefalù il gentiluomo di adozione pavese incontra un altro individuo dall’identità controversa. Con il suo sguardo beffardo, il soggetto del Ritratto Mandralisca ha stimolato l’immaginazione popolare e letteraria, andando oltre i tradizionali domini della pittura e alimentando più di una leggenda.
Al punto che, dopo il successo del romanzo di Vincenzo Consolo Il sorriso dell’ignoto marinaio (1977), il grande storico dell’arte Roberto Longhi sbottò: “Non discuto il valore letterario, però questa storia del ritratto di Antonello che rappresenta un marinaio deve finire!”. Dello sconosciuto personaggio vestito di scuro, dall’espressione maliziosa e lo sguardo penetrante, Consolo scrisse: “è uno che sa molto e molto ha visto, sa del presente e intuisce il futuro”.
Anche Leonardo Sciascia si lasciò intrigare dall’enigma, spiegando che l’uomo somigliava in egual modo “al mafioso della campagna e a quello dei quartieri alti, al deputato che siede sui banchi della destra e a quello che siede sui banchi della sinistra, al contadino e al principe del foro; somiglia a chi scrive questa nota (è stato detto) e certamente assomiglia ad Antonello. E provatevi a stabilire la condizione sociale e l’umanità del personaggio. Impossibile. È un nobile o un plebeo? Un notaro o un contadino? Un pittore, un poeta, un sicario? Somiglia, ecco tutto”.
Secondo studi recenti, l’opera rappresenterebbe il vescovo Francesco Vitale da Noia, ambasciatore, precettore e segretario di re aragonese Ferdinando il Cattolico. Ma forse la sua identità storica del modello non è così importante: quel che conta qui è il vertice raggiunto da Antonello nella rappresentazione della psiche umana e della sua espressività, al punto che, dopo più di cinque secoli, lo sguardo dell’ignoto ci inchioda con domande silenziose.
In programma fino al prossimo 26 novembre con l’organizzazione di MondoMostre, l’esposizione è frutto di una collaborazione tra la Fondazione Culturale Mandralisca e i Musei Civici di Pavia, che dal dicembre 2018 porta avanti un progetto a tutto tondo sulla figura di Antonello da Messina.
Chi raggiungerà la cittadina siciliana durante l’estate o in autunno, potrà ammirare un confronto tra opere diversissime e tuttavia entrambe testimoni di un’arte – quella di trasferire sulla tela, insieme ai tratti del volto, stati d’animo e personalità – di cui Antonello fu audace pioniere.
Nel percorso di “Scoprici. Antonello da Messina. Due ritratti per Cefalù” creato da Giovanni Carlo Federico Villa, esperto del pittore e curatore della mostra a Milano, i due ritratti sembrano studiarsi a vicenda, in un intreccio di sguardi e rimandi che ci trasporta in un momento chiave della storia della ritrattistica europea.
Raro, prezioso, delicatissimo, il Ritratto Malaspina è stato ritenuto da molti l’effigie dell’autore. La pensava così il marchese Luigi Malaspina, che lo acquistò da una famiglia patrizia veronese. Quel che sappiamo con certezza è che si tratta di uno dei primi esempi del modello di “ritratto da viaggio” elaborato da Antonello: una tavola di dimensioni ridotte facilmente trasportabile, riconducibile alla sfera privata della borghesia rinascimentale in ascesa. La posa di tre quarti, il parapetto e il fondo scuro sono mutuate dalla pittura fiamminga, che l’artista conobbe nell’ambiente culturale cosmopolita della Sicilia di Alfonso d’Aragona. Su questi elementi Antonello innestò la sua specialità, un’acuta caratterizzazione psicologica allora senza precedenti.
Ospitato dal 1837 nello Stabilimento di Belle Arti Malaspina di Pavia, lo spazio espositivo progettato dal marchese che alla sua morte divenne un museo pubblico, in anni più recenti il dipinto è assurto agli onori della cronaca per un’avventura finita bene: fu trafugato in una notte del 1970 per essere ritrovato solo sette anni dopo alla Stazione Tiburtina di Roma e, tornato a Pavia, fu esposto nella Pinacoteca Malaspina del Castello Visconteo.
A Cefalù il gentiluomo di adozione pavese incontra un altro individuo dall’identità controversa. Con il suo sguardo beffardo, il soggetto del Ritratto Mandralisca ha stimolato l’immaginazione popolare e letteraria, andando oltre i tradizionali domini della pittura e alimentando più di una leggenda.
Al punto che, dopo il successo del romanzo di Vincenzo Consolo Il sorriso dell’ignoto marinaio (1977), il grande storico dell’arte Roberto Longhi sbottò: “Non discuto il valore letterario, però questa storia del ritratto di Antonello che rappresenta un marinaio deve finire!”. Dello sconosciuto personaggio vestito di scuro, dall’espressione maliziosa e lo sguardo penetrante, Consolo scrisse: “è uno che sa molto e molto ha visto, sa del presente e intuisce il futuro”.
Anche Leonardo Sciascia si lasciò intrigare dall’enigma, spiegando che l’uomo somigliava in egual modo “al mafioso della campagna e a quello dei quartieri alti, al deputato che siede sui banchi della destra e a quello che siede sui banchi della sinistra, al contadino e al principe del foro; somiglia a chi scrive questa nota (è stato detto) e certamente assomiglia ad Antonello. E provatevi a stabilire la condizione sociale e l’umanità del personaggio. Impossibile. È un nobile o un plebeo? Un notaro o un contadino? Un pittore, un poeta, un sicario? Somiglia, ecco tutto”.
Secondo studi recenti, l’opera rappresenterebbe il vescovo Francesco Vitale da Noia, ambasciatore, precettore e segretario di re aragonese Ferdinando il Cattolico. Ma forse la sua identità storica del modello non è così importante: quel che conta qui è il vertice raggiunto da Antonello nella rappresentazione della psiche umana e della sua espressività, al punto che, dopo più di cinque secoli, lo sguardo dell’ignoto ci inchioda con domande silenziose.
In programma fino al prossimo 26 novembre con l’organizzazione di MondoMostre, l’esposizione è frutto di una collaborazione tra la Fondazione Culturale Mandralisca e i Musei Civici di Pavia, che dal dicembre 2018 porta avanti un progetto a tutto tondo sulla figura di Antonello da Messina.
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