A Roma dal 15 aprile al 22 maggio
Dal primo autoritratto alle ultime rose: alla Galleria Russo 50 anni di Giacomo Balla
Giacomo Balla, Autoritratto, 1894 ca., Olio su carta fotografica, 340 x 305 mm, Dipinto sul retro di un ritratto fotografico di Balla bambino
Samantha De Martin
14/04/2021
Roma - Solo un artista come Giacomo Balla, ancora oggi, a 150 anni dalla morte, poteva riuscire a trascinarci, con guizzo sorprendente, in quel suo modernissimo furor creativo che, come in un gioco di specchi, permette di addentrarsi tra fasi finali e iniziali di un percorso unitario, di un rovello instancabile.
Accade così che un Balla ventitreenne, che sbuca dal suo primo autoritratto del 1894 - un piccolo olio su carta fotografica - dia le spalle a una fotografia dell’artista bambino, nascosta proprio sul retro, che immortala il futuro pittore all’età di quattro anni, i lunghi capelli biondi e l’espressione trasognata, in uno scatto del padre di Pilade Bertieri.
Giacomo Balla, retro, Autoritratto 1894 ca., Olio su carta fotografica, 340 x 305 mm
A questi due giovani Balla, divisi da quasi 20 anni, si affianca Ball’io, un pastello su carta incollata su cartone, dove il pittore ormai quasi settantenne, i grigi capelli arruffati, dà vita a “uno studio raffinato di colore arioso”. “La mamma in quell’autoritratto lo chiama ‘il Prof. Picard’, il quale circa in quel tempo esplorava i fondi marini con la sua batisfera” scriveva Elica nel 1986 a proposito dell’opera.
Questi due autoritratti (e il terzo sul retro) accolgono i visitatori della Galleria Russo di Roma dove, fino al prossimo 22 maggio, è in corso una mostra, a cura di Fabio Benzi, che ci fa strada nell’intricato magma creativo dell’artista.
50 anni di carriera in 80 opere
I 50 anni di carriera del pittore torinese scorrono attraverso la galleria di studi preparatori - alcuni inediti - e importanti opere definitive. A questi materiali, per lo più direttamente provenienti da Casa Balla, rimasti finora presso gli eredi del ramo Marcucci, la mostra affida il compito di dipanare gli intricati percorsi creativi del grande caposcuola, affiancando incunaboli giovanili, illuminanti bozzetti di capolavori noti e opere tarde, come le Ultime rose del 1952.
Tra l’Autoritratto del 1894 e le rose realizzate quasi 60 anni dopo, prende vita un percorso che, da una sintassi fotografico-divisionista (magistralmente resa ne La signora Crisafi al balcone del 1902) scivola verso il superamento del futurismo per giungere a quell’anticipazione pop dell’immagine cinematografica rappresentata dagli ultimi dipinti, e che trova in Colorluce (1933) e in Pianticella delicata (1937) la sua più alta rappresentazione in mostra.
Mentre i luoghi della cultura restano ancora chiusi, il viaggio tra gli 80 lavori che scandiscono il percorso alla Galleria Russo è davvero una boccata di bellezza.
Giacomo Balla, Ball’Io, 1940, pastello su carta incollata su cartone, Iscritto, firmato e datato. Sul retro: Se mi guardo nello specchio / m'assomiglio / se mi guardo nell'interno / non m'assomiglio / Balla / an. 1940 / Sbagliatissime / queste affermazioni / A. 1943 / A mia figlia / Elica Balla
Tra i bozzetti più interessanti - nel gruppo di studi preparatori per le tele del Ciclo dei Viventi, realizzate tra il 1902 e il 1905 - si riconoscono i lavori riferiti a due diverse versioni della Pazza Matilde: quella in collezione GNAM e una, La pazza di via Parioli, di cui non si conosce l’attuale ubicazione. Nei disegni preparatori dell’opera dispersa l’ispirazione alle opere grafiche di Munch è forte.
Seguendo passo passo l’evoluzione di un artista costantemente impegnato a progettare e rappresentare la modernità, incontriamo gli schizzi delle prime Velocità astratte (1913), definite da Balla “Basi fondamentali delle mie forme di pensiero”.
Il desiderio di rappresentare la fremente energia della vita accende invece lo studio preparatorio del Risveglio di Primavera (1918) cui fanno seguito alcuni esempi di Balfiore e un Vortice di giardino degli anni Venti.
Ad illuminare le pareti della Galleria le Linee forza di mare - una lunga tempera su carta intelata del 1919 che è il pendant della Futurlibecciata in collezione GNAM - e alcuni disegni riconducibili alla decorazione del Bal Tic Tac, il primo cabaret d’avanguardia realizzato in Europa (1921), come il coloratissimo “Studio per soffitto”.
Giacomo Balla, Studio per soffitto, 1920-1921 ca., tempera su cartoncino, 960 x 650 mm
“Nel ‘500 mi chiamavo Leonardo”
“Nel ‘500 mi chiamavo Leonardo”, diceva Balla di sé, per spiegare la sua volontà di scandagliare a 360 gradi ogni piega dell’espressione artistica, dalla pittura all’architettura, dalla moda alla grafica, dal cinema alla danza.
Le testimonianze di questa attività, volta a realizzare la sua idea di arte totale, si scorgono ad esempio nella Lineadi velocità+forme rumore con la sua rappresentazione saettante di linee, mentre nella carta intelata di Linee di Paesaggio Balla struttura il motivo della linea di velocità, affinché la figlia Luce lo possa realizzare a ricamo, con tanto di indicazioni dei colori da utilizzare.
Balla e la storia
Il rimando alla storia, che permea l’intero percorso artistico del pittore, è evidente in Antiaustriaco del 1915, dove un Balla interventista manifesta il proprio risentimento antiaustriaco sulla carta intelata. L’impiego della matita rossa connota i due sovrani della Triplice alleanza. A destra è l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe, con i suoi grandi baffi, a sinistra il Keiser Guglielmo II di Germania e Prussia, schiacciati dal peso degli eventi e adagiati sul simbolo asburgico dell’Aquila Bicipite.
Lo sventolio delle bandiere sul finire della Grande Guerra diventa invece il soggetto di una nuova ricerca pittorica che trova un inedito esempio nelle lingue di fuoco rosso, alternate al bianco e al verde del tricolore presente nella tempera su carta Sbandieramento (1918-20), una costruzione saettante di linee nere.
Giacomo Balla, Canto patriottico in piazza di Siena, 1915 ca., smalto su tela, cm. 36 x 45
Il disegno per tovaglia da tè
Tra gli inediti presenti in mostra si inserisce anche il Disegno per tovaglia da tè.
“Quello che appare come un “innocente” disegno per il ricamo di una tovaglia - spiega nel catalogo Fabio Benzi - è in realtà uno studio estremamente complesso di una sintesi futurista che stringe in sé diverse ispirazioni eccentriche: nella decorazione floreale sulla sinistra Balla pensa certamente a partiti decorativi giapponesi dell’epoca Edo, mentre nella grafia sinuosa della parte destra echeggia le dinamiche lineari compresse di una calligrafia, di un tugra turco”.
Dall’esperienza divisionista all’estetica pop
In questo percorso, a tratti intimo, dedicato al pittore non mancano le figlie, Elica e Luce. La prima compare in un piccolo ritratto del 1921-22, con la cornice realizzata dalla sorella, e poi in un altro del 1936; la seconda è protagonista di Luce nello specchio, o ancora del bellissimo Color luce del 1933, ormai assunta, con il suo costume da bagno blu e lo sfondo futurista, nel pantheon di dive ed attrici tanto caro all’universo del pittore.
Giacomo Balla, Colorluce, 1933, Olio su tavola, 83 x 97,5 cm (Ritratto di Luce Balla in costume da bagno. Sullo sfondo la famosa porta futurista di Casa Balla, ora in Collezione Biagiotti)
Ritroviamo infine Luce nello studio, seduta a pensare, con la testa appoggiata alla mano, in un ritratto del 1947.
Pianticella delicata, olio su tavola del 1937, dove Elica, come scrive lei stessa, posa su un piede solo, seguendo la stessa linea della pianta delicata che teneva in mano, segna, invece, l’ultimo, avvincente capitolo della creatività balliana: il recupero della figurazione come via di fuga dagli accademismi nei quali l’esperienza del futurismo astratto appare irreversibilmente scivolata all’inizio degli anni Trenta.
Nel fenomeno del nascente divismo mediatico ideato dalla portentosa industria cinematografica hollywoodiana, Balla, quasi precursore di un’estetica pop, individua la direzione presa dalla modernità.
Giacomo Balla, Pianticella delicata, 1937, Olio su tavola, 56 x 70.5 cm. Ritratto di Elica Balla
Leggi anche:
• Giacomo Balla: dal primo autoritratto alle ultime rose
• Elena Gigli racconta Giacomo Balla, in attesa dell'anniversario
Accade così che un Balla ventitreenne, che sbuca dal suo primo autoritratto del 1894 - un piccolo olio su carta fotografica - dia le spalle a una fotografia dell’artista bambino, nascosta proprio sul retro, che immortala il futuro pittore all’età di quattro anni, i lunghi capelli biondi e l’espressione trasognata, in uno scatto del padre di Pilade Bertieri.
Giacomo Balla, retro, Autoritratto 1894 ca., Olio su carta fotografica, 340 x 305 mm
A questi due giovani Balla, divisi da quasi 20 anni, si affianca Ball’io, un pastello su carta incollata su cartone, dove il pittore ormai quasi settantenne, i grigi capelli arruffati, dà vita a “uno studio raffinato di colore arioso”. “La mamma in quell’autoritratto lo chiama ‘il Prof. Picard’, il quale circa in quel tempo esplorava i fondi marini con la sua batisfera” scriveva Elica nel 1986 a proposito dell’opera.
Questi due autoritratti (e il terzo sul retro) accolgono i visitatori della Galleria Russo di Roma dove, fino al prossimo 22 maggio, è in corso una mostra, a cura di Fabio Benzi, che ci fa strada nell’intricato magma creativo dell’artista.
50 anni di carriera in 80 opere
I 50 anni di carriera del pittore torinese scorrono attraverso la galleria di studi preparatori - alcuni inediti - e importanti opere definitive. A questi materiali, per lo più direttamente provenienti da Casa Balla, rimasti finora presso gli eredi del ramo Marcucci, la mostra affida il compito di dipanare gli intricati percorsi creativi del grande caposcuola, affiancando incunaboli giovanili, illuminanti bozzetti di capolavori noti e opere tarde, come le Ultime rose del 1952.
Tra l’Autoritratto del 1894 e le rose realizzate quasi 60 anni dopo, prende vita un percorso che, da una sintassi fotografico-divisionista (magistralmente resa ne La signora Crisafi al balcone del 1902) scivola verso il superamento del futurismo per giungere a quell’anticipazione pop dell’immagine cinematografica rappresentata dagli ultimi dipinti, e che trova in Colorluce (1933) e in Pianticella delicata (1937) la sua più alta rappresentazione in mostra.
Mentre i luoghi della cultura restano ancora chiusi, il viaggio tra gli 80 lavori che scandiscono il percorso alla Galleria Russo è davvero una boccata di bellezza.
Giacomo Balla, Ball’Io, 1940, pastello su carta incollata su cartone, Iscritto, firmato e datato. Sul retro: Se mi guardo nello specchio / m'assomiglio / se mi guardo nell'interno / non m'assomiglio / Balla / an. 1940 / Sbagliatissime / queste affermazioni / A. 1943 / A mia figlia / Elica Balla
Tra i bozzetti più interessanti - nel gruppo di studi preparatori per le tele del Ciclo dei Viventi, realizzate tra il 1902 e il 1905 - si riconoscono i lavori riferiti a due diverse versioni della Pazza Matilde: quella in collezione GNAM e una, La pazza di via Parioli, di cui non si conosce l’attuale ubicazione. Nei disegni preparatori dell’opera dispersa l’ispirazione alle opere grafiche di Munch è forte.
Seguendo passo passo l’evoluzione di un artista costantemente impegnato a progettare e rappresentare la modernità, incontriamo gli schizzi delle prime Velocità astratte (1913), definite da Balla “Basi fondamentali delle mie forme di pensiero”.
Il desiderio di rappresentare la fremente energia della vita accende invece lo studio preparatorio del Risveglio di Primavera (1918) cui fanno seguito alcuni esempi di Balfiore e un Vortice di giardino degli anni Venti.
Ad illuminare le pareti della Galleria le Linee forza di mare - una lunga tempera su carta intelata del 1919 che è il pendant della Futurlibecciata in collezione GNAM - e alcuni disegni riconducibili alla decorazione del Bal Tic Tac, il primo cabaret d’avanguardia realizzato in Europa (1921), come il coloratissimo “Studio per soffitto”.
Giacomo Balla, Studio per soffitto, 1920-1921 ca., tempera su cartoncino, 960 x 650 mm
“Nel ‘500 mi chiamavo Leonardo”
“Nel ‘500 mi chiamavo Leonardo”, diceva Balla di sé, per spiegare la sua volontà di scandagliare a 360 gradi ogni piega dell’espressione artistica, dalla pittura all’architettura, dalla moda alla grafica, dal cinema alla danza.
Le testimonianze di questa attività, volta a realizzare la sua idea di arte totale, si scorgono ad esempio nella Lineadi velocità+forme rumore con la sua rappresentazione saettante di linee, mentre nella carta intelata di Linee di Paesaggio Balla struttura il motivo della linea di velocità, affinché la figlia Luce lo possa realizzare a ricamo, con tanto di indicazioni dei colori da utilizzare.
Balla e la storia
Il rimando alla storia, che permea l’intero percorso artistico del pittore, è evidente in Antiaustriaco del 1915, dove un Balla interventista manifesta il proprio risentimento antiaustriaco sulla carta intelata. L’impiego della matita rossa connota i due sovrani della Triplice alleanza. A destra è l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe, con i suoi grandi baffi, a sinistra il Keiser Guglielmo II di Germania e Prussia, schiacciati dal peso degli eventi e adagiati sul simbolo asburgico dell’Aquila Bicipite.
Lo sventolio delle bandiere sul finire della Grande Guerra diventa invece il soggetto di una nuova ricerca pittorica che trova un inedito esempio nelle lingue di fuoco rosso, alternate al bianco e al verde del tricolore presente nella tempera su carta Sbandieramento (1918-20), una costruzione saettante di linee nere.
Giacomo Balla, Canto patriottico in piazza di Siena, 1915 ca., smalto su tela, cm. 36 x 45
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“Quello che appare come un “innocente” disegno per il ricamo di una tovaglia - spiega nel catalogo Fabio Benzi - è in realtà uno studio estremamente complesso di una sintesi futurista che stringe in sé diverse ispirazioni eccentriche: nella decorazione floreale sulla sinistra Balla pensa certamente a partiti decorativi giapponesi dell’epoca Edo, mentre nella grafia sinuosa della parte destra echeggia le dinamiche lineari compresse di una calligrafia, di un tugra turco”.
Dall’esperienza divisionista all’estetica pop
In questo percorso, a tratti intimo, dedicato al pittore non mancano le figlie, Elica e Luce. La prima compare in un piccolo ritratto del 1921-22, con la cornice realizzata dalla sorella, e poi in un altro del 1936; la seconda è protagonista di Luce nello specchio, o ancora del bellissimo Color luce del 1933, ormai assunta, con il suo costume da bagno blu e lo sfondo futurista, nel pantheon di dive ed attrici tanto caro all’universo del pittore.
Giacomo Balla, Colorluce, 1933, Olio su tavola, 83 x 97,5 cm (Ritratto di Luce Balla in costume da bagno. Sullo sfondo la famosa porta futurista di Casa Balla, ora in Collezione Biagiotti)
Ritroviamo infine Luce nello studio, seduta a pensare, con la testa appoggiata alla mano, in un ritratto del 1947.
Pianticella delicata, olio su tavola del 1937, dove Elica, come scrive lei stessa, posa su un piede solo, seguendo la stessa linea della pianta delicata che teneva in mano, segna, invece, l’ultimo, avvincente capitolo della creatività balliana: il recupero della figurazione come via di fuga dagli accademismi nei quali l’esperienza del futurismo astratto appare irreversibilmente scivolata all’inizio degli anni Trenta.
Nel fenomeno del nascente divismo mediatico ideato dalla portentosa industria cinematografica hollywoodiana, Balla, quasi precursore di un’estetica pop, individua la direzione presa dalla modernità.
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