Intervista al regista del film "Klimt & Schiele. Eros e Psiche", al cinema il 22, 23 e 24 Ottobre
Michele Mally: "Il mio Klimt & Schiele, una storia intensa e straziante che racconta l'uomo del Novecento"
Gustav Klimt © Archiv des Belvedere, Wien, Nachlass Ankwicz-Kleehoven
Samantha De Martin
16/10/2018
Roma - I rintocchi di una campana, la corsa notturna di una carrozza, le note del Don Giovanni di Mozart, la foto di Egon Schiele, appena 28enne sul letto di morte. Una storia intensa e straziante racconta la fine di un mondo che, dietro le facciate puritane di una Vienna ricoperta d’oro, cede ai colpi scandalosi di una società che cambia, fatta di erotismo e solitudine, inquietudine e disordine. In questo scrigno esplosivo dove, nei salotti e nei caffè, scienza e musica dialogano con l’arte e la psicanalisi di Freud svela all’uomo moderno la propria irrazionalità, gli artisti rompono con la tradizione uccidendo l’arte dei loro padri per fare della loro vita un’opera d’arte totale.
La recita della buona società, fatta di baci rubati alle spalle di mogli e mariti, raggiri e scommesse assiste a un nuovo ruolo della donna che si spoglia dei corsetti per emergere in tutta la sua ammaliante, lasciva femminilità. È qui che prende forma la Secessione viennese, il movimento di avanguardia che per primo aveva interpretato il malessere e l’inquietudine del suo tempo cominciando a raccontare la storia dell’uomo del Novecento. Ed è qui che cento anni fa morivano i suoi due più illustri rappresentanti, Gustav Klimt ed Egon Schiele. Michele Mally ha voluto che questa storia arrivasse al grande schermo ed è per questo che ha proposto a Didi Gnocchi, amministratore unico della 3D Produzioni, di raccontarla. Così, diretto da Mally, è nato Klimt & Schiele. Eros e Psiche, l’ultima produzione firmata 3D Produzioni e Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo, nelle sale il 22, 23 e 24 Ottobre.
Come nasce l’idea di un documentario “totale”, in cui le trame dell’arte si intrecciano a quelle dell’architettura, della musica, della danza nella Vienna del tempo?
«L’occasione è stata il centenario della morte dei due artisti, nonché del designer Koloman Moser e dell’architetto Otto Wagner, avvenute in pochi mesi nel 1918. La loro Vienna, quella città straordinaria che per trent’anni era stata il motore creativo del mondo occidentale, quella Vienna accarezzata dai valzer di Johann Strauss e ridisegnata dalla borghesia capitalista, andava a spegnersi come in un istante, con la fine della prima guerra mondiale. Nei giorni in cui muore Egon Schiele si dissolve anche l’impero austroungarico. È la fine di un’epoca, è l’inizio vero del nuovo secolo. Per questo con Arianna Marelli, che ha scritto con me questa storia, abbiamo deciso di cominciare il film proprio ricordando quella notte, il 31 Ottobre, in cui l’artista si spegne».
A spiegare ciò che accomuna i due artisti visionari saranno nel film i due maggiori studiosi di Klimt e Schiele : Alfred Weidinger, oggi direttore del Museo di Lipsia, e Jane Kallir, autrice di numerosi saggi sugli artisti della Secessione viennese.
In che modo il documentario fa vivere sul grande schermo quella dirompente forza rivoluzionaria?
«Le opere di Klimt sono diventate un’icona contemporanea. Le si trovano raffigurate su ombrelli, ventagli, quaderni, calze, piattini. Abbiamo cercato di restituire la loro originaria forza rivoluzionaria - una sfida molto difficile - raccontando la Vienna di quel periodo - cattolica, benpensante, conservatrice - e analizzando nel dettaglio alcune opere dell’artista, dalla “Giuditta” al “Fregio di Beethoven”, dove nessun dettaglio ha valore puramente estetico. Avvicinandoci con le nostre macchine da presa abbiamo cercato di spiegare, ad esempio, il significato nascosto di quell’“ornamento” così carico di significati simbolici».
E Schiele? Cosa di questo artista il documentario mira maggiormente a mettere in luce?
«Riprendere i suoi corpi contorti ed esagerati o i suoi autoritratti sempre sofferti, è stato per noi come immergersi nell’origine dell’oggi e delle problematiche dei nostri giorni. Per la prima volta un pittore metteva a nudo il sé, in un esercizio di autoanalisi senza precedenti, andando a rivelare il lato più oscuro dell’anima, ma allo stesso tempo credendo fortemente nella forza taumaturgica dell’arte. L’espressionismo di Schiele sembra lontano decenni dallo Jugenstil del primo Klimt, mentre ne è figlio diretto. L’empatia provocata nello spettatore da un nudo del maestro è premessa della forza insieme angosciante e perfetta dell’allievo. Quella forza ci ha lasciato come senza fiato per tutta la lavorazione del film».
L’erotismo è il fil rouge che attraversa l’intera storia ambientata nella Vienna benpensante dove il sesso si teme e si controlla.
«Sono gli anni di Freud e Schnitzler. I moti dell’inconscio vengono prepotentemente alla luce. Le pulsioni erotiche, così come le pulsioni di morte, divengono ascissa e ordinata dei comportamenti, delle scelte di vita, dei desideri repressi e delle proibizioni sociali. Il gran teatro della vita viennese diventa il teatro dei sogni, delle menzogne, dei desideri. La sessualità diventa sottotesto nella musica (basti pensare alla "Salomè" di Richard Strauss o alle “Notti trasfigurate” di Schoenberg), è protagonista nella letteratura e, ovviamente, nella neonata psicanalisi. Nel film questo passaggio è descritto dal premio Nobel per la medicina, Eric Kandel, che nel suo libro, “The Age of Insight” ci ha illuminato sul significato della carica erotica delle opere di Klimt e Schiele. L’attrice inglese Lily Cole legge brani dalla “Signorina Else” di Schnitzler o di quel “Diario di una giovinetta viennese”, amato da Freud, specchio dei turbamenti e delle scoperte sessuali di una giovane ragazza dell’epoca».
Ci sono connessioni tra la società di allora e quella di oggi?
«La prepotente presenza dell’ Eros e del mondo irrazionale, la nascita di una nuova consapevolezza del ruolo della donna e persino le incertezze di genere, sono risultate connessioni sorprendenti».
Il film è polifonico e cuce in modo armonico arte, psicanalisi, medicina, musica, danza, riflettendo il fermento culturale della Vienna in quegli anni. È stato difficile dirigere questo coro a più voci?
«Mettere insieme Mahler e Klimt, Freud e il giovane Schoenberg, Gerstl e Schnitzler non è stato poi così complesso: erano tante facce della stessa medaglia, tutti protagonisti di uno snodo della storia e della cultura che ha del miracoloso. In un caffè potevi incontrare Freud come Fritz Lang, il bambino Wittgenstein come Karl Kraus. Molti di quelli che potrei definire i miei maestri frequentavano gli stessi salotti, così come molti di loro riposano nel cimitero della città. Ci siamo portati un mazzo di garofanini, mentre giravamo tra le tombe di Johannes Brahms e Johann Strauss, di Beethoven e di Alfred Loos, ma presto i fiori sono finiti, molto prima di aver reso omaggio a tutti quegli uomini che hanno deviato il corso della nostra storia. La vera difficoltà è stata piuttosto non poter inserire, se non per accenni, per limiti di durata, le storie di Stefan Zweig, Hugo Wolf, Oscar Kokoshka, Josef Roth, Alma Mahler, Hermann Bahr, Hugo von Hoffmansthal. Di certo autori non minori. Spero che nessuno di loro se ne abbia a male».
Che cos’è che lega i diversi piani della narrazione?
«Credo che il collante stia nella musica, tutta viennese: da Mozart a Schubert, dai valzer a Mahler, fino ai giorni nostri, con la straordinaria fisarmonica di Christian Bakanic. Il film accompagna lo spettatore tra prestigiosi musei di Vienna».
Quali opere vedremo sul grande schermo?
«In occasione del centenario della morte dei quattro artisti, tutti i grandi musei viennesi hanno dedicato loro dei nuovi allestimenti. Al Leopold sono esposti tutti i grandi capolavori di Egon Schiele e di Koloman Moser. Al Kunsthistorisches Museum siamo stati affascinati dai dipinti di Klimt sul soffitto della grandiosa scalinata del Museo e dalla “Nuda Veritas”. Al Belvedere ci siamo soffermati a lungo su la “Morte e la fanciulla” di Schiele, ansiosa testimonianza della separazione dell’artista dalla sua musa e amante Wally Neuzil. Al Wien Museum la Pallade Atena di Klimt e il ritratto di Emilie Flöge ci hanno permesso di raccontare la nascita della Secessione da una parte e un grande amore platonico dall’altra. Schröder, direttore dell’Albertina, ci ha poi mostrato in esclusiva una dozzina di opere di grafica di Schiele assolutamente straordinarie, testimonianza dei giorni passati in carcere dall’artista».
Quali sono gli altri luoghi della storia?
«C’è Vienna con i suoi molteplici volti, dai sontuosi balli nel palazzo di Hofburg ai laboratori dove si tramanda il sapere artigianale della Wiener Werkstatte, dalle rive del Danubio alla collina di Kahlenberg. E poi c’è il lago di Attersee dove Klimt ha dipinto i suoi paesaggi. E infine Neulenbach, il paese in cui Schiele è stato arrestato, dove ancora si può visitare la cella in cui è stato prigioniero, resa immortale dai suoi disegni».
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La recita della buona società, fatta di baci rubati alle spalle di mogli e mariti, raggiri e scommesse assiste a un nuovo ruolo della donna che si spoglia dei corsetti per emergere in tutta la sua ammaliante, lasciva femminilità. È qui che prende forma la Secessione viennese, il movimento di avanguardia che per primo aveva interpretato il malessere e l’inquietudine del suo tempo cominciando a raccontare la storia dell’uomo del Novecento. Ed è qui che cento anni fa morivano i suoi due più illustri rappresentanti, Gustav Klimt ed Egon Schiele. Michele Mally ha voluto che questa storia arrivasse al grande schermo ed è per questo che ha proposto a Didi Gnocchi, amministratore unico della 3D Produzioni, di raccontarla. Così, diretto da Mally, è nato Klimt & Schiele. Eros e Psiche, l’ultima produzione firmata 3D Produzioni e Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo, nelle sale il 22, 23 e 24 Ottobre.
Come nasce l’idea di un documentario “totale”, in cui le trame dell’arte si intrecciano a quelle dell’architettura, della musica, della danza nella Vienna del tempo?
«L’occasione è stata il centenario della morte dei due artisti, nonché del designer Koloman Moser e dell’architetto Otto Wagner, avvenute in pochi mesi nel 1918. La loro Vienna, quella città straordinaria che per trent’anni era stata il motore creativo del mondo occidentale, quella Vienna accarezzata dai valzer di Johann Strauss e ridisegnata dalla borghesia capitalista, andava a spegnersi come in un istante, con la fine della prima guerra mondiale. Nei giorni in cui muore Egon Schiele si dissolve anche l’impero austroungarico. È la fine di un’epoca, è l’inizio vero del nuovo secolo. Per questo con Arianna Marelli, che ha scritto con me questa storia, abbiamo deciso di cominciare il film proprio ricordando quella notte, il 31 Ottobre, in cui l’artista si spegne».
A spiegare ciò che accomuna i due artisti visionari saranno nel film i due maggiori studiosi di Klimt e Schiele : Alfred Weidinger, oggi direttore del Museo di Lipsia, e Jane Kallir, autrice di numerosi saggi sugli artisti della Secessione viennese.
In che modo il documentario fa vivere sul grande schermo quella dirompente forza rivoluzionaria?
«Le opere di Klimt sono diventate un’icona contemporanea. Le si trovano raffigurate su ombrelli, ventagli, quaderni, calze, piattini. Abbiamo cercato di restituire la loro originaria forza rivoluzionaria - una sfida molto difficile - raccontando la Vienna di quel periodo - cattolica, benpensante, conservatrice - e analizzando nel dettaglio alcune opere dell’artista, dalla “Giuditta” al “Fregio di Beethoven”, dove nessun dettaglio ha valore puramente estetico. Avvicinandoci con le nostre macchine da presa abbiamo cercato di spiegare, ad esempio, il significato nascosto di quell’“ornamento” così carico di significati simbolici».
E Schiele? Cosa di questo artista il documentario mira maggiormente a mettere in luce?
«Riprendere i suoi corpi contorti ed esagerati o i suoi autoritratti sempre sofferti, è stato per noi come immergersi nell’origine dell’oggi e delle problematiche dei nostri giorni. Per la prima volta un pittore metteva a nudo il sé, in un esercizio di autoanalisi senza precedenti, andando a rivelare il lato più oscuro dell’anima, ma allo stesso tempo credendo fortemente nella forza taumaturgica dell’arte. L’espressionismo di Schiele sembra lontano decenni dallo Jugenstil del primo Klimt, mentre ne è figlio diretto. L’empatia provocata nello spettatore da un nudo del maestro è premessa della forza insieme angosciante e perfetta dell’allievo. Quella forza ci ha lasciato come senza fiato per tutta la lavorazione del film».
L’erotismo è il fil rouge che attraversa l’intera storia ambientata nella Vienna benpensante dove il sesso si teme e si controlla.
«Sono gli anni di Freud e Schnitzler. I moti dell’inconscio vengono prepotentemente alla luce. Le pulsioni erotiche, così come le pulsioni di morte, divengono ascissa e ordinata dei comportamenti, delle scelte di vita, dei desideri repressi e delle proibizioni sociali. Il gran teatro della vita viennese diventa il teatro dei sogni, delle menzogne, dei desideri. La sessualità diventa sottotesto nella musica (basti pensare alla "Salomè" di Richard Strauss o alle “Notti trasfigurate” di Schoenberg), è protagonista nella letteratura e, ovviamente, nella neonata psicanalisi. Nel film questo passaggio è descritto dal premio Nobel per la medicina, Eric Kandel, che nel suo libro, “The Age of Insight” ci ha illuminato sul significato della carica erotica delle opere di Klimt e Schiele. L’attrice inglese Lily Cole legge brani dalla “Signorina Else” di Schnitzler o di quel “Diario di una giovinetta viennese”, amato da Freud, specchio dei turbamenti e delle scoperte sessuali di una giovane ragazza dell’epoca».
Ci sono connessioni tra la società di allora e quella di oggi?
«La prepotente presenza dell’ Eros e del mondo irrazionale, la nascita di una nuova consapevolezza del ruolo della donna e persino le incertezze di genere, sono risultate connessioni sorprendenti».
Il film è polifonico e cuce in modo armonico arte, psicanalisi, medicina, musica, danza, riflettendo il fermento culturale della Vienna in quegli anni. È stato difficile dirigere questo coro a più voci?
«Mettere insieme Mahler e Klimt, Freud e il giovane Schoenberg, Gerstl e Schnitzler non è stato poi così complesso: erano tante facce della stessa medaglia, tutti protagonisti di uno snodo della storia e della cultura che ha del miracoloso. In un caffè potevi incontrare Freud come Fritz Lang, il bambino Wittgenstein come Karl Kraus. Molti di quelli che potrei definire i miei maestri frequentavano gli stessi salotti, così come molti di loro riposano nel cimitero della città. Ci siamo portati un mazzo di garofanini, mentre giravamo tra le tombe di Johannes Brahms e Johann Strauss, di Beethoven e di Alfred Loos, ma presto i fiori sono finiti, molto prima di aver reso omaggio a tutti quegli uomini che hanno deviato il corso della nostra storia. La vera difficoltà è stata piuttosto non poter inserire, se non per accenni, per limiti di durata, le storie di Stefan Zweig, Hugo Wolf, Oscar Kokoshka, Josef Roth, Alma Mahler, Hermann Bahr, Hugo von Hoffmansthal. Di certo autori non minori. Spero che nessuno di loro se ne abbia a male».
Che cos’è che lega i diversi piani della narrazione?
«Credo che il collante stia nella musica, tutta viennese: da Mozart a Schubert, dai valzer a Mahler, fino ai giorni nostri, con la straordinaria fisarmonica di Christian Bakanic. Il film accompagna lo spettatore tra prestigiosi musei di Vienna».
Quali opere vedremo sul grande schermo?
«In occasione del centenario della morte dei quattro artisti, tutti i grandi musei viennesi hanno dedicato loro dei nuovi allestimenti. Al Leopold sono esposti tutti i grandi capolavori di Egon Schiele e di Koloman Moser. Al Kunsthistorisches Museum siamo stati affascinati dai dipinti di Klimt sul soffitto della grandiosa scalinata del Museo e dalla “Nuda Veritas”. Al Belvedere ci siamo soffermati a lungo su la “Morte e la fanciulla” di Schiele, ansiosa testimonianza della separazione dell’artista dalla sua musa e amante Wally Neuzil. Al Wien Museum la Pallade Atena di Klimt e il ritratto di Emilie Flöge ci hanno permesso di raccontare la nascita della Secessione da una parte e un grande amore platonico dall’altra. Schröder, direttore dell’Albertina, ci ha poi mostrato in esclusiva una dozzina di opere di grafica di Schiele assolutamente straordinarie, testimonianza dei giorni passati in carcere dall’artista».
Quali sono gli altri luoghi della storia?
«C’è Vienna con i suoi molteplici volti, dai sontuosi balli nel palazzo di Hofburg ai laboratori dove si tramanda il sapere artigianale della Wiener Werkstatte, dalle rive del Danubio alla collina di Kahlenberg. E poi c’è il lago di Attersee dove Klimt ha dipinto i suoi paesaggi. E infine Neulenbach, il paese in cui Schiele è stato arrestato, dove ancora si può visitare la cella in cui è stato prigioniero, resa immortale dai suoi disegni».
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