Una componente culturale nelle missioni di pace
Nascono ufficialmente i Caschi Blu della Cultura
Sito di Palmira
Ludovica Sanfelice
16/02/2016
Roma - Una task force composta da trenta carabinieri specializzati e da trenta civili tra studiosi, storici dell’arte e restauratori dell’Istituto Centrale del Restauro (ISCR) e dell’Opificio delle Pietre Dure è già stata addestrata ad agire in condizioni di pericolo e sarà attiva fin da ora.
Sono il primo nucleo di “Unite for Heritage”, vale a dire i Caschi Blu della Cultura nati in seno alle Nazioni Unite e sotto lo scudo dell’UNESCO per proteggere il patrimonio mondiale in aree colpite da catastrofi naturali o caratterizzate da gravi crisi civili, per scongiurare saccheggi e scavi clandestini, per mettere la loro esperienza al servizio di beni esposti a rischi come cedimenti strutturali o verificare i danni subiti in zone agitate da conflitti, ma solo dopo il ritiro delle truppe quando si agisce per la stabilizzazione. Niente linea del fuoco, insomma, e interventi solo su convocazione dell’Onu con funzioni operative, formative o di consulenza a seconda delle necessità.
Al di là della riflessione sul tema della tutela, violentemente imposta da episodi terribili come la distruzione iconoclasta dei due Buddha di Bamiyan attuata dai talebani nel marzo 2001, e più recentemente ribadita dagli assalti ripetuti ai siti archeologici in Medio Oriente, ma anche da disastri naturali come il terremoto in Nepal, a farsi carico sul versante pratico dell’inclusione della componente culturale nelle missioni di pace, è stata l’Italia, che nel campo della tutela del patrimonio rivendica indiscutibile eccellenza.
Per formalizzare la proposta si sono adoperati in prima persona il premier Matteo Renzi e il Ministro dei Beni e delle attività culturali e del Turismo Dario Franceschini, nelle rispettive sedi dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York e del Consiglio esecutivo Unesco a Parigi, dove al termine di un iter più articolato, lo scorso 17 ottobre, per acclamazione, è infine arrivato il via libera alla risoluzione che sta traducendo la fantasia in realtà.
Nello scuotere la comunità internazionale sul piano delle buone intenzioni e nel trascinarla all’azione, l’Italia ha dunque giocato un ruolo di guida che oggi assume le sembianze del nuovo corpo specializzato Unite for Heritage, armato delle competenze utili a fronteggiare problemi complessi e persino attrezzato di un motto: “A Nation stays alive when its Culture stays alive”.
A margine del suo battesimo, officiato nell’Aula X delle Terme di Diocleziano a Roma dal direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, insieme ai ministri italiani Dario Franceschini, Paolo Gentiloni, Roberta Pinotti, Stefania Giannini e il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette, è stato siglato anche un accordo internazionale per l’istituzione a Torino del nuovo Centro di formazione che, nelle strutture Onu già presenti lungo la riva del Po, addestrerà i i funzionari che si occuperanno della difesa del patrimonio artistico e culturale del pianeta.
Per approfondimenti:
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Cyark, sfida per la conservazione digitale del patrimonio mondiale
Sono il primo nucleo di “Unite for Heritage”, vale a dire i Caschi Blu della Cultura nati in seno alle Nazioni Unite e sotto lo scudo dell’UNESCO per proteggere il patrimonio mondiale in aree colpite da catastrofi naturali o caratterizzate da gravi crisi civili, per scongiurare saccheggi e scavi clandestini, per mettere la loro esperienza al servizio di beni esposti a rischi come cedimenti strutturali o verificare i danni subiti in zone agitate da conflitti, ma solo dopo il ritiro delle truppe quando si agisce per la stabilizzazione. Niente linea del fuoco, insomma, e interventi solo su convocazione dell’Onu con funzioni operative, formative o di consulenza a seconda delle necessità.
Al di là della riflessione sul tema della tutela, violentemente imposta da episodi terribili come la distruzione iconoclasta dei due Buddha di Bamiyan attuata dai talebani nel marzo 2001, e più recentemente ribadita dagli assalti ripetuti ai siti archeologici in Medio Oriente, ma anche da disastri naturali come il terremoto in Nepal, a farsi carico sul versante pratico dell’inclusione della componente culturale nelle missioni di pace, è stata l’Italia, che nel campo della tutela del patrimonio rivendica indiscutibile eccellenza.
Per formalizzare la proposta si sono adoperati in prima persona il premier Matteo Renzi e il Ministro dei Beni e delle attività culturali e del Turismo Dario Franceschini, nelle rispettive sedi dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York e del Consiglio esecutivo Unesco a Parigi, dove al termine di un iter più articolato, lo scorso 17 ottobre, per acclamazione, è infine arrivato il via libera alla risoluzione che sta traducendo la fantasia in realtà.
Nello scuotere la comunità internazionale sul piano delle buone intenzioni e nel trascinarla all’azione, l’Italia ha dunque giocato un ruolo di guida che oggi assume le sembianze del nuovo corpo specializzato Unite for Heritage, armato delle competenze utili a fronteggiare problemi complessi e persino attrezzato di un motto: “A Nation stays alive when its Culture stays alive”.
A margine del suo battesimo, officiato nell’Aula X delle Terme di Diocleziano a Roma dal direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, insieme ai ministri italiani Dario Franceschini, Paolo Gentiloni, Roberta Pinotti, Stefania Giannini e il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette, è stato siglato anche un accordo internazionale per l’istituzione a Torino del nuovo Centro di formazione che, nelle strutture Onu già presenti lungo la riva del Po, addestrerà i i funzionari che si occuperanno della difesa del patrimonio artistico e culturale del pianeta.
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