A Roma fino al 20 ottobre
Tra piume, tunnel e stanze del vento: al Maxxi le opere di 19 artiste da "attraversare"
AMBIENTI 1956 - 2010. Environments by Women Artists II, Aleksandra Kasuba | Foto: © Giorgio Benni | Courtesy Maxxi
Samantha De Martin
10/04/2024
Roma - Il corpo si fa largo in un angusto tunnel in tessuto nero per ritrovarsi in una grande goccia sospesa in plastica trasparente e riassaporare la vita all’interno dell’utero.
Lygia Clark, nella sua opera A casa é o corpo, invita a rivivere l’esperienza del concepimento e della nascita. Non molto lontano da questo ventre in PVC, tra palloni, tessuti elastici e alluminio, in cui si rimarrebbe a lungo, rinfrancati da un senso di protezione indotto dallo spazio, la Feather Room di Judy Chicago esorta i visitatori ad abbandonarsi a un galleggiamento onirico in una stanza riempita con 150 chili di piume di pollo, materiali cruelty-free, a tu per tu con un temporaneo senso di smarrimento.
Sono solo due degli spazi di AMBIENTI 1956 - 2010. Environments by Women Artists II, la mostra a cura di Andrea Lissoni, Marina Pugliese, Francesco Stocchi in corso fino al 20 ottobre negli spazi del Museo progettato da Zaha Hadid. Il percorso ideato dal MAXXI e dalla Haus der Kunst di Monaco rappresenta il capitolo successivo di Inside Other Spaces. Environments by Women Artists 1956–1976 ideato dalla Haus der Kunst nel 2023 e che ha evidenziato il contributo fondamentale delle donne alla storia di una delle forme di espressione artistica forse ad oggi meno indagate.
AMBIENTI 1956 - 2010. Environments by Women Artists II, Marta Minujin, ¡Revuélquese y viva!, 1964 - 2003 | Foto: © Cinzia Capparelli | Courtesy Maxxi
Gli ambienti sono opere immersive che si attivano grazie all’interazione del pubblico e che vengono completati dalla presenza umana. La mostra porta avanti la ricerca dell’istituzione tedesca e ne allunga la cronologia originaria arrivando fino al 2010.
A Judy Chicago, Lygia Clark, Laura Grisi, Aleksandra Kasuba, Léa Lublin, Marta Minujín, Tania Mouraud, Nanda Vigo, Tsuruko Yamazaki si aggiungono in questo secondo capitolo Micol Assaël, Monica Bonvicini, Zaha Hadid, Kimsooja, Christina Kubisch, Nalini Malani, Pipilotti Rist, Martha Rosler e Esther Stocker.
Al primo piano del Museo nazionale delle arti del XXI secolo l’ambiente diventa vivo, cambia, si trasforma attraverso la presenza/assenza del visitatore esortato all’incontro e all’interazione. Il percorso invita ad abbandonarsi e abbandonare. Scarpe, borse, paure. Esorta a indossare un paio di calzini per entrare nell’opera d’arte (e talvolta in se stessi). Inizialmente un po’ diffidenti, poi con più slancio, per ascoltarsi divertendosi, costretti talvolta a porsi delle domande. Come in Sleeplessness dove Micol Assaël ci guida nella penombra di un ambiente vuoto, avvolti da una leggera nebbia e da uno strano odore di bruciato, tra il flusso di agenti fumogeni intermittenti che disorientano. Due compressori lavorano costantemente per congelare il soffitto e all’improvviso ci si ritrova nel biancore asettico di una cella frigorifera.
AMBIENTI 1956 - 2010. Environments by Women Artists II | Foto: © Giorgio Benni | Courtesy Maxxi
Per recuperare la sensazione di beatitudine e trascendenza raggiungiamo To Breathe di Kimsooja o ci sdraiamo tra i materassi colorati di Marta Minujín, mentre in sottofondo corrono i successi dei Beatles. L’Ambiente spaziale: “Utopie” nella XIII Triennale di Milano realizzato da Lucio Fontana e Nanda Vigo è uno spazio rilassante in cui il visitatore può sdraiarsi, avvolto da un soffice spazio onirico.
“Dovete entrare nell’ignoto non per caso, ma pienamente consapevoli di compiere un passo decisivo. Solo allora saprete perché siete dove siete. Non preoccupatevi, non sarete soli” rassicura Aleksandra Kasuba nel suo Spectral Passage, consentendoci di entrare fisicamente in un arcobaleno, ripercorredo quel viaggio metaforico che dalla nascita porta alla morte e ancora alla rinascita.
Qui, nel cuore del museo, alcune opere accolgono, altre mettono alla prova il pubblico. Le si può toccare avendone cura. Ciascuna parla in maniera diversa. Dopo essere entrato in alcune il visitatore si sente cambiato, in parte trasformato.
AMBIENTI 1956 - 2010. Environments by Women Artists II, Nanda Vigo -Lucio Fontana, Ambiente Spaziale "Utopie", 1964 – 2017 | Foto: © Giorgio Benni | Courtesy Maxxi
“La mostra - sottolinea Francesco Stocchi, direttore artistico del MAXXI e curatore dell'esposizione - rappresenta per le artiste così come per il pubblico un’occasione unica per lavorare con una materia viva, in evoluzione, rispetto alla definizione stessa di un’opera finita. Una scultura, un dipinto, un disegno o un film per loro natura sono “chiusi”. Al contrario l’ambiente, per definizione e per le interazioni che ha, è vivo e questa vitalità si celebra con l’accoglienza e l’incontro con lo spettatore”.
Il percorso non ha un ordine, ma presenta diversi accessi. Se nella Piazza Alighiero Boetti l’opera Don’t Miss a Sec’ di Monica Bonvicini è un invito a interrogarsi sul limite tra pubblico e privato, Sip My Ocean, l'ambiente video di Pipilotti Rist fa emergere corpi, forme e oggetti ripresi principalmente sott’acqua che si sdoppiano e si allontano, per poi ricomporsi e scomparire nella fessura tra i due muri mentre il pubblico li contempla, prima di andare via.
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• Ambienti 1956-2010
Lygia Clark, nella sua opera A casa é o corpo, invita a rivivere l’esperienza del concepimento e della nascita. Non molto lontano da questo ventre in PVC, tra palloni, tessuti elastici e alluminio, in cui si rimarrebbe a lungo, rinfrancati da un senso di protezione indotto dallo spazio, la Feather Room di Judy Chicago esorta i visitatori ad abbandonarsi a un galleggiamento onirico in una stanza riempita con 150 chili di piume di pollo, materiali cruelty-free, a tu per tu con un temporaneo senso di smarrimento.
Sono solo due degli spazi di AMBIENTI 1956 - 2010. Environments by Women Artists II, la mostra a cura di Andrea Lissoni, Marina Pugliese, Francesco Stocchi in corso fino al 20 ottobre negli spazi del Museo progettato da Zaha Hadid. Il percorso ideato dal MAXXI e dalla Haus der Kunst di Monaco rappresenta il capitolo successivo di Inside Other Spaces. Environments by Women Artists 1956–1976 ideato dalla Haus der Kunst nel 2023 e che ha evidenziato il contributo fondamentale delle donne alla storia di una delle forme di espressione artistica forse ad oggi meno indagate.
AMBIENTI 1956 - 2010. Environments by Women Artists II, Marta Minujin, ¡Revuélquese y viva!, 1964 - 2003 | Foto: © Cinzia Capparelli | Courtesy Maxxi
Gli ambienti sono opere immersive che si attivano grazie all’interazione del pubblico e che vengono completati dalla presenza umana. La mostra porta avanti la ricerca dell’istituzione tedesca e ne allunga la cronologia originaria arrivando fino al 2010.
A Judy Chicago, Lygia Clark, Laura Grisi, Aleksandra Kasuba, Léa Lublin, Marta Minujín, Tania Mouraud, Nanda Vigo, Tsuruko Yamazaki si aggiungono in questo secondo capitolo Micol Assaël, Monica Bonvicini, Zaha Hadid, Kimsooja, Christina Kubisch, Nalini Malani, Pipilotti Rist, Martha Rosler e Esther Stocker.
Al primo piano del Museo nazionale delle arti del XXI secolo l’ambiente diventa vivo, cambia, si trasforma attraverso la presenza/assenza del visitatore esortato all’incontro e all’interazione. Il percorso invita ad abbandonarsi e abbandonare. Scarpe, borse, paure. Esorta a indossare un paio di calzini per entrare nell’opera d’arte (e talvolta in se stessi). Inizialmente un po’ diffidenti, poi con più slancio, per ascoltarsi divertendosi, costretti talvolta a porsi delle domande. Come in Sleeplessness dove Micol Assaël ci guida nella penombra di un ambiente vuoto, avvolti da una leggera nebbia e da uno strano odore di bruciato, tra il flusso di agenti fumogeni intermittenti che disorientano. Due compressori lavorano costantemente per congelare il soffitto e all’improvviso ci si ritrova nel biancore asettico di una cella frigorifera.
AMBIENTI 1956 - 2010. Environments by Women Artists II | Foto: © Giorgio Benni | Courtesy Maxxi
Per recuperare la sensazione di beatitudine e trascendenza raggiungiamo To Breathe di Kimsooja o ci sdraiamo tra i materassi colorati di Marta Minujín, mentre in sottofondo corrono i successi dei Beatles. L’Ambiente spaziale: “Utopie” nella XIII Triennale di Milano realizzato da Lucio Fontana e Nanda Vigo è uno spazio rilassante in cui il visitatore può sdraiarsi, avvolto da un soffice spazio onirico.
“Dovete entrare nell’ignoto non per caso, ma pienamente consapevoli di compiere un passo decisivo. Solo allora saprete perché siete dove siete. Non preoccupatevi, non sarete soli” rassicura Aleksandra Kasuba nel suo Spectral Passage, consentendoci di entrare fisicamente in un arcobaleno, ripercorredo quel viaggio metaforico che dalla nascita porta alla morte e ancora alla rinascita.
Qui, nel cuore del museo, alcune opere accolgono, altre mettono alla prova il pubblico. Le si può toccare avendone cura. Ciascuna parla in maniera diversa. Dopo essere entrato in alcune il visitatore si sente cambiato, in parte trasformato.
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“La mostra - sottolinea Francesco Stocchi, direttore artistico del MAXXI e curatore dell'esposizione - rappresenta per le artiste così come per il pubblico un’occasione unica per lavorare con una materia viva, in evoluzione, rispetto alla definizione stessa di un’opera finita. Una scultura, un dipinto, un disegno o un film per loro natura sono “chiusi”. Al contrario l’ambiente, per definizione e per le interazioni che ha, è vivo e questa vitalità si celebra con l’accoglienza e l’incontro con lo spettatore”.
Il percorso non ha un ordine, ma presenta diversi accessi. Se nella Piazza Alighiero Boetti l’opera Don’t Miss a Sec’ di Monica Bonvicini è un invito a interrogarsi sul limite tra pubblico e privato, Sip My Ocean, l'ambiente video di Pipilotti Rist fa emergere corpi, forme e oggetti ripresi principalmente sott’acqua che si sdoppiano e si allontano, per poi ricomporsi e scomparire nella fessura tra i due muri mentre il pubblico li contempla, prima di andare via.
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