Un mistero che si svela dopo 70 anni: al Quirinale arriva la Tavola Doria
MiBAC |
Tavola Doria, manifesto mostra Quirinale, 2012
28/11/2012
Roma - Da oggi fino al 13 gennaio al Quirinale, nella Sala della Rampa, arriva in esposizione la Tavola Doria olio su tavola (86x115 cm) del XVI secolo, preziosa copia della celeberrima Battaglia di Anghiari, la monumentale pittura murale ad encausto che Leonardo da Vinci iniziò a realizzare intorno al 1503 nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze e che è diventata una specie di Araba Fenice della Storia dell’Arte.
Ma perché questa copia, che rappresenta la “Lotta per lo Stendardo”, un momento della “Battaglia di Anghiari", è così importante? Per capirlo è necessario iniziare ricordando quali furono le sorti dell’originale: a causa della delicatezza della tecnica prescelta, l'encausto, che Leonardo aveva imparato leggendo la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio - tecnica che da un lato consentiva all’artista la gestazione lenta che egli desiderava ma dall’altro non permetteva la presa dei colori sulla parete - il dipinto rimase incompiuto.
Paolo Giovio (1483 ca. -1552), vescovo, medico e biografo scrisse: «Nella sala del Consiglio della Signoria fiorentina rimane una battaglia e vittoria sui Pisani, magnifica ma sventuratamente incompiuta a causa di un difetto dell'intonaco che rigettava con singolare ostinazione i colori sciolti in olio di noce. Ma il rammarico per il danno inatteso sembra avere straordinariamente accresciuto il fascino dell'opera interrotta». Un commento molto preciso e aderente alla realtà.
Intorno al 1563 la decorazione del salone fu affidata a Giorgio Vasari e del dipinto di Leonardo non se ne seppe più nulla. Eppure si è tanto indagato, anche perché la Battaglia di Anghiari doveva rappresentare l’opera che insieme alla Battaglia di Cascina, avrebbe messo a confronto per la prima volta nello stesso ambiente, all’interno di Palazzo Vecchio, due geni assoluti dell’arte italiana come Leonardo e Michelangelo. Ma nemmeno le recentissime ricerche hanno dato esito.
Di qui, appunto, l’importanza delle copie e in particolare della più significativa, questa Tavola Doria di autore ignoto (qualcuno azzarda lo stesso Leonardo), proveniente dalla collezione della famiglia Doria d’Angria di Napoli dalla quale, appena un anno dopo essere stata, nel 1939, vincolata dalla Soprintendenza per i Beni Culturali, sparì per finire nei meandri del mercato clandestino. A questo punto un fitto alone di mistero avvolge anche quest’opera finché nel 1992 avviene il ritrovamento e, vista la prescrizione del reato o forse perché non è a conoscenza del furto, una istituzione privata di Tokio, il Fuji Art Museum, la acquista per una cifra che oscilla tra i 30 e i 60 milioni di euro. Da lì l'opera finisce, ancora una volta piuttosto misteriosamente, in un caveau svizzero. Ed è lì che nel 2009 ne scova le tracce il reparto di investigazione del "Nucleo di tutela del patrimonio artistico" dei Carabinieri.
Così ora a distanza di vent’anni e dopo lunghe e complesse trattative, la Tavola Doria rientra in Italia, “concessa” per donazione al Ministero dei Beni Culturali dal museo di Tokio. Nonostante l’opera sia solo tornata nel proprio luogo d'origine, dalla quale era stata illecitamente sottratta da sconosciuti (anche se poi acquistata in maniera legale e "in buona fede" come sottolineato dal presidente Napolitano) ci saranno però delle limitazioni: per i prossimi ventisei anni la Tavola Doria potrà essere esposta in Italia solo due anni ogni quattro, mentre per il resto del tempo sarà in Giappone. L’accordo firmato dal MiBAC col museo di Tokio, presentato ieri al Quirinale dal sottosegretario Roberto Cecchi, dal consigliere per la cultura di Napolitano, Louis Godart, e dal direttore del museo privato giapponese Akira Gokita, prevederebbe inoltre prestiti temporanei a Tokio di altre opere d'arte italiane.
Il 13 gennaio 2013, terminata la mostra al Quirinale, la Tavola Doria sarà consegnata all'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che potrà studiarla e valutarne lo stato di conservazione. Finalmente davvero a casa!
Nicoletta Speltra
Ma perché questa copia, che rappresenta la “Lotta per lo Stendardo”, un momento della “Battaglia di Anghiari", è così importante? Per capirlo è necessario iniziare ricordando quali furono le sorti dell’originale: a causa della delicatezza della tecnica prescelta, l'encausto, che Leonardo aveva imparato leggendo la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio - tecnica che da un lato consentiva all’artista la gestazione lenta che egli desiderava ma dall’altro non permetteva la presa dei colori sulla parete - il dipinto rimase incompiuto.
Paolo Giovio (1483 ca. -1552), vescovo, medico e biografo scrisse: «Nella sala del Consiglio della Signoria fiorentina rimane una battaglia e vittoria sui Pisani, magnifica ma sventuratamente incompiuta a causa di un difetto dell'intonaco che rigettava con singolare ostinazione i colori sciolti in olio di noce. Ma il rammarico per il danno inatteso sembra avere straordinariamente accresciuto il fascino dell'opera interrotta». Un commento molto preciso e aderente alla realtà.
Intorno al 1563 la decorazione del salone fu affidata a Giorgio Vasari e del dipinto di Leonardo non se ne seppe più nulla. Eppure si è tanto indagato, anche perché la Battaglia di Anghiari doveva rappresentare l’opera che insieme alla Battaglia di Cascina, avrebbe messo a confronto per la prima volta nello stesso ambiente, all’interno di Palazzo Vecchio, due geni assoluti dell’arte italiana come Leonardo e Michelangelo. Ma nemmeno le recentissime ricerche hanno dato esito.
Di qui, appunto, l’importanza delle copie e in particolare della più significativa, questa Tavola Doria di autore ignoto (qualcuno azzarda lo stesso Leonardo), proveniente dalla collezione della famiglia Doria d’Angria di Napoli dalla quale, appena un anno dopo essere stata, nel 1939, vincolata dalla Soprintendenza per i Beni Culturali, sparì per finire nei meandri del mercato clandestino. A questo punto un fitto alone di mistero avvolge anche quest’opera finché nel 1992 avviene il ritrovamento e, vista la prescrizione del reato o forse perché non è a conoscenza del furto, una istituzione privata di Tokio, il Fuji Art Museum, la acquista per una cifra che oscilla tra i 30 e i 60 milioni di euro. Da lì l'opera finisce, ancora una volta piuttosto misteriosamente, in un caveau svizzero. Ed è lì che nel 2009 ne scova le tracce il reparto di investigazione del "Nucleo di tutela del patrimonio artistico" dei Carabinieri.
Così ora a distanza di vent’anni e dopo lunghe e complesse trattative, la Tavola Doria rientra in Italia, “concessa” per donazione al Ministero dei Beni Culturali dal museo di Tokio. Nonostante l’opera sia solo tornata nel proprio luogo d'origine, dalla quale era stata illecitamente sottratta da sconosciuti (anche se poi acquistata in maniera legale e "in buona fede" come sottolineato dal presidente Napolitano) ci saranno però delle limitazioni: per i prossimi ventisei anni la Tavola Doria potrà essere esposta in Italia solo due anni ogni quattro, mentre per il resto del tempo sarà in Giappone. L’accordo firmato dal MiBAC col museo di Tokio, presentato ieri al Quirinale dal sottosegretario Roberto Cecchi, dal consigliere per la cultura di Napolitano, Louis Godart, e dal direttore del museo privato giapponese Akira Gokita, prevederebbe inoltre prestiti temporanei a Tokio di altre opere d'arte italiane.
Il 13 gennaio 2013, terminata la mostra al Quirinale, la Tavola Doria sarà consegnata all'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che potrà studiarla e valutarne lo stato di conservazione. Finalmente davvero a casa!
Nicoletta Speltra
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