L'idea di Francesco Rutelli: un'expo permanente al Quirinale
Un Presidente per il museo d'Italia
Opus Phidiae, Colle del Quirinale, Roma. © ARTE.it, 2014
Piero Muscarà ed Eleonora Zamparutti
29/01/2015
Roma - Con una sincronizzazione perfetta rispetto al passaggio di consegne della più alta carica dello Stato, Francesco Rutelli propone l’idea di fare del Quirinale una sorta di hub dedicato alla cultura italiana. Cosa che a molti è suonata come una candidatura, con un programma in mano. Ma l’ex-ministro dei Beni Culturali e sindaco di Roma non ha mai smesso in questi anni di occuparsi dell'argomento: con la sua associazione “Priorità Cultura” partecipa a convegni e meeting internazionali sul tema dello sviluppo sostenibile delle città emergenti nel rispetto del patrimonio artistico, tra le altre cose ha lanciato il Cultural Heritage Rescue Prize e si è attivato per l’inaugurazione di un percorso verde lungo la via Francigena.
Qual è esattamente l’idea di un museo al Quirinale?
“Ci sono due aspetti da considerare: uno è la funzione del Quirinale al passaggio del Presidente della Repubblica. L’altro è legato all’opportunità di istituire un grande museo dedicato alla cultura italiana in grado di essere porta d’ingresso per i visitatori e luogo dove avviene il racconto della vicenda della cultura italiana in una chiave innovativa anche per gli italiani e i romani.
Pur essendo opportuno un ridimensionamento degli oneri e della stessa struttura del Quirinale, è impensabile la soppressione della collocazione della prima magistratura repubblicana in quel palazzo. Non solo per la continuità con la vicenda storica per cui quello è stato il luogo dei massimi governanti, che si trattasse dei papi o dei re Savoia a Roma e in Italia, ma perché non sarebbe corretto uno svuotamento della funzione né il suo sganciamento simbolico dal luogo della sua rappresentatività, e non solo rappresentanza. Quindi si può ridurre, il Quirinale è immenso, non è solo la Manica Lunga, non solo l’ingresso sulla piazza. Un ridimensionamento è razionale. Ma la mia idea non è quella di un rifacimento interno, di una riutilizzazione del Quirinale per una funzione museale. Il mio è un vero e proprio progetto urbano. ”
Lei immagina una riqualificazione dell’intera area del Colle del Quirinale?
“Il sommo colle ha la fortuna di trovarsi a poche centinaia di metri dalla stazione Termini e dalle stazioni delle due linee della metropolitana, quindi è un facile punto di approdo. Alle estremità del complesso del Quirinale ci sono due importanti istituzioni: le Scuderie che ho contribuito ad adibire a sede espositiva quando ero Sindaco, e Palazzo Barberini che mi onoro di aver recuperato interamente dal Ministero della Difesa quando ero Ministro dei Beni Culturali. Il progetto si estenderà a via Nazionale, strada concepita come vetrina della modernità nella Roma unitaria e post papalina, e in particolare al Pala Expo.
Il Museo della Cultura italiana potrebbe avere il suo punto d’ingresso nel Palazzo delle Esposizioni per intesa dello Stato, del Comune di Roma e del Quirinale. Da lì scavando facilmente nella collina del Quirinale o anche passando attraverso edifici del demanio, la visita può proseguire fino alla Manica Lunga per consentire l’affaccio sui giardini, alla sua conclusione. E’ possibile immaginare di creare anche servizi e strutture commerciali sotterranee.”
L’Italia ha già un patrimonio di oltre 4000 musei. Secondo lei abbiamo bisogno di un altro, grande museo nazionale?
“A mio avviso la risposta è sì, purchè non nasca dal bisogno di fare tardivamente un doppione del Louvre e del British Museum, ovvero le espressioni della centralizzazione napoleonica e dell'Impero britannico. Piuttosto, cogliamo la ricchezza della grande diversità italiana e realizziamo questo contenitore come un museo di nuova concezione, interattivo, iper tecnologico, il più moderno che ci sia in Italia, dove si possano esporre 3000 anni di cultura italiana dagli italici alla contemporaneità, trattando tutti i grandi settori, inclusi il design, il paesaggio, le nuove industrie culturali e creative, la storia italiana e della lingua italiana e dove si possano organizzare grandi mostre con finalità didattica, prendendo in prestito temporaneo le opere dai musei italiani. Un museo permanente con una collezione temporanea, continuamente aggiornato, per rendere il ritorno in questo luogo sempre interessante.”
Ma questo museo-carosello non finisce per appiattire la ricca offerta culturale del nostro Paese?
“Purtroppo sta crescendo e crescerà sempre più una modalità di visita dozzinale del nostro paese. E nel contesto del nuovo turismo globalizzato dove i visitatori hanno una visione molto parziale della nostra cultura, l’Italia deve entrare nell’ordine di idee di presentare un’offerta diversa, cioè un museo completamente nuovo in un luogo che unifichi. Altra cosa è la memoria del Grand Tour, altra ancora il canone di visita del turismo "mordi e fuggi". Un museo del genere sarebbe un luogo che esalta la complessità italiana, senza ridurla.
Non sarà certo una singola istituzione, un nuovo polo-magnete a risolvere il problema del consumismo che trascura, o ignora, la ricchezza delle stratificazioni di tre millenni d'Italia: vedo però in questa idea una potenzialità particolare perché permetterà di offrire una visione d’insieme dell’Italia.”
Chi ha il potere di rendere quest’idea realizzabile?
“Lo start non può che arrivare dal nuovo Presidente della Repubblica, che dovrebbe accettare di dare al suo settennato una direzione affinchè il Quirinale diventi stabilmente aperto al pubblico ospitando un museo. Poiché si tratta di un progetto urbano, il soggetto promotore dovrà essere il Sindaco e l’amministrazione civica, il garante scientifico e di indirizzo dovrebbe essere invece il Ministero dei Beni Culturali. C’è bisogno di un progetto di concezione funzionale, perché si devono attrezzare spazi che già ci sono. A questo deve sovraintendere il Ministero dei Beni Culturali aprendo anche una competizione di idee su come un progetto del genere si possa realizzare.”
La tendenza italiana è di creare i contenitori ma poi mancano i contenuti. Occorrono le risorse per la gestione.
“Un museo del genere avrebbe importanti, ma non soverchianti costi di realizzazione; ma potrà contare su spazi esistenti che non necessitano di grandi trasformazioni. Importanti soggetti privati lo co-finanzierebbero volentieri. Inoltre la tecnologia, se usata con intelligenza, dimostra che tante cose si possono fare con spese limitate.
A mio avviso grandi firme internazionali e italiane che operano nell’ambito della tecnologia della cultura o che fanno innovazione tecnologica applicabile alla fruizione culturale potrebbero dare il loro contributo anche gratuitamente a patto di mettere il loro marchio sul progetto. In termini gestionali un progetto di questo tipo avrebbe la capacità di autofinanziarsi perché diventerebbe facilmente il museo più visitato d’Italia. Secondo me ci sono i termini perché abbia successo: troppi dei nostri musei sono vecchi, non solo antichi.”
Ma a suo avviso esiste un’economia della cultura che non sia economia del turismo?
“Sempre di meno. Tra le motivazioni del turismo in Italia quello culturale guida le classifiche e salirà ulteriormente.”
Secondo lei l’art bonus è sufficiente per portare nuova linfa vitale nel settore dei beni culturali?
“Ci vogliono i soldi per farlo funzionare: Franceschini ha fatto una cosa eccellente ad aprire questa breccia nel Ministero delle Finanze, ma poi bisogna che l’impresa investa. Se le risorse a copertura dell’art bonus sono così limitate, le potenzialità dello strumento si colgono solo in parte.”
Non crede che la legge Ronchey sulle concessioni museali sia superata?
“Lì c’è uno spazio enorme di miglioramento. Quelli che vengono definiti servizi aggiuntivi, oggi sono ormai servizi indispensabili per le strutture museali. I mondi conservatori sono tanti, non sono soltanto nel pubblico, anche nel privato. Ci vorrebbe una proposta innovativa da parte di chi gestisce i servizi. Ma il problema finisce sempre sul rinnovo delle concessioni, i bandi che non si fanno mai.”
Qual è a suo avviso il ruolo dello Stato nella gestione dei beni culturali?
“Lo Stato deve spendere di più. Punto. E deve farlo anche “per i privati”, perché ad esempio il taglio delle detrazioni dalle imposte per le dimore storiche è stato una catastrofe. Il settore pubblico deve fare di più: il privato non può sostituire la manutenzione e riqualificazione del patrimonio italiano. La valorizzazione può essere garantita in qualche modo con il turismo culturale, se bene organizzato. E se aiutati nelle procedure, gli imprenditori italiani vedono in un restauro importante anche un’opportunità di vetrina per la loro azienda.”
Come commenta verybello.it, il sito calendario degli eventi in Italia durante Expo voluto dal Ministro Franceschini?
“Non l’ho visto, non voglio dare un giudizio. Anche perché sono stato crocefisso per un portale che non ho fatto io, quello di Italia.it, che avevo ereditato dal governo precedente e che per senso di responsabilità non avevo voluto cestinare. Vengo sgridato per aver registrato 30 secondi di promo “Pleeez visit Italy”: ho sbagliato a prestarmi, anche se non è mai andato in onda, era un beta test. Da lì è partito il tormentone. Quando succede, non ci puoi fare più niente. La mia cultura mi spinge per senso di responsabilità - forse cattolico, forse militante, come ho imparato dai Radicali - a dire “no, non buttare via quello che c’è, prova a salvarlo” Invece in Italia è sempre meglio il blame game."
Con quale auspicio ci lasciamo ?
“Che il Presidente del Consiglio in Italia sia anche Ministro della Cultura .”
Franceschini dice che il suo è il più importante dicastero economico in Italia…
“Sì, ha ragione.”
E lei sta dando suggerimento a Renzi di prendersi anche questo dicastero ?
“Un Premier ci deve dedicare un po’ di tempo, ma se vuole presentare l’idea che l’Italia è una superpotenza nel mondo proprio per la cultura... Il Primo Ministro potrebbe prendere la delega del turismo e della cultura cui dedicare non il 50% ma il 15% del suo tempo, poi dovrebbe dotarsi di un Vice Ministro fortissimo: cultura e turismo sono il passaporto più importante, la nostra arma vincente nel mondo".
Dopo il G8 quindi l’Italia si fa capofila del C8 ?
“No, noi siamo il C1, veramente il numero 1. Se uniamo le capacità contemporanee - design, moda, cibo, audiovisivo. A Pechino, pochi giorni fa, me lo hanno ribadito i partner della China Public Diplomacy Association: qui l'Italia è veramente una superpotenza mondiale.”
Qual è esattamente l’idea di un museo al Quirinale?
“Ci sono due aspetti da considerare: uno è la funzione del Quirinale al passaggio del Presidente della Repubblica. L’altro è legato all’opportunità di istituire un grande museo dedicato alla cultura italiana in grado di essere porta d’ingresso per i visitatori e luogo dove avviene il racconto della vicenda della cultura italiana in una chiave innovativa anche per gli italiani e i romani.
Pur essendo opportuno un ridimensionamento degli oneri e della stessa struttura del Quirinale, è impensabile la soppressione della collocazione della prima magistratura repubblicana in quel palazzo. Non solo per la continuità con la vicenda storica per cui quello è stato il luogo dei massimi governanti, che si trattasse dei papi o dei re Savoia a Roma e in Italia, ma perché non sarebbe corretto uno svuotamento della funzione né il suo sganciamento simbolico dal luogo della sua rappresentatività, e non solo rappresentanza. Quindi si può ridurre, il Quirinale è immenso, non è solo la Manica Lunga, non solo l’ingresso sulla piazza. Un ridimensionamento è razionale. Ma la mia idea non è quella di un rifacimento interno, di una riutilizzazione del Quirinale per una funzione museale. Il mio è un vero e proprio progetto urbano. ”
Lei immagina una riqualificazione dell’intera area del Colle del Quirinale?
“Il sommo colle ha la fortuna di trovarsi a poche centinaia di metri dalla stazione Termini e dalle stazioni delle due linee della metropolitana, quindi è un facile punto di approdo. Alle estremità del complesso del Quirinale ci sono due importanti istituzioni: le Scuderie che ho contribuito ad adibire a sede espositiva quando ero Sindaco, e Palazzo Barberini che mi onoro di aver recuperato interamente dal Ministero della Difesa quando ero Ministro dei Beni Culturali. Il progetto si estenderà a via Nazionale, strada concepita come vetrina della modernità nella Roma unitaria e post papalina, e in particolare al Pala Expo.
Il Museo della Cultura italiana potrebbe avere il suo punto d’ingresso nel Palazzo delle Esposizioni per intesa dello Stato, del Comune di Roma e del Quirinale. Da lì scavando facilmente nella collina del Quirinale o anche passando attraverso edifici del demanio, la visita può proseguire fino alla Manica Lunga per consentire l’affaccio sui giardini, alla sua conclusione. E’ possibile immaginare di creare anche servizi e strutture commerciali sotterranee.”
L’Italia ha già un patrimonio di oltre 4000 musei. Secondo lei abbiamo bisogno di un altro, grande museo nazionale?
“A mio avviso la risposta è sì, purchè non nasca dal bisogno di fare tardivamente un doppione del Louvre e del British Museum, ovvero le espressioni della centralizzazione napoleonica e dell'Impero britannico. Piuttosto, cogliamo la ricchezza della grande diversità italiana e realizziamo questo contenitore come un museo di nuova concezione, interattivo, iper tecnologico, il più moderno che ci sia in Italia, dove si possano esporre 3000 anni di cultura italiana dagli italici alla contemporaneità, trattando tutti i grandi settori, inclusi il design, il paesaggio, le nuove industrie culturali e creative, la storia italiana e della lingua italiana e dove si possano organizzare grandi mostre con finalità didattica, prendendo in prestito temporaneo le opere dai musei italiani. Un museo permanente con una collezione temporanea, continuamente aggiornato, per rendere il ritorno in questo luogo sempre interessante.”
Ma questo museo-carosello non finisce per appiattire la ricca offerta culturale del nostro Paese?
“Purtroppo sta crescendo e crescerà sempre più una modalità di visita dozzinale del nostro paese. E nel contesto del nuovo turismo globalizzato dove i visitatori hanno una visione molto parziale della nostra cultura, l’Italia deve entrare nell’ordine di idee di presentare un’offerta diversa, cioè un museo completamente nuovo in un luogo che unifichi. Altra cosa è la memoria del Grand Tour, altra ancora il canone di visita del turismo "mordi e fuggi". Un museo del genere sarebbe un luogo che esalta la complessità italiana, senza ridurla.
Non sarà certo una singola istituzione, un nuovo polo-magnete a risolvere il problema del consumismo che trascura, o ignora, la ricchezza delle stratificazioni di tre millenni d'Italia: vedo però in questa idea una potenzialità particolare perché permetterà di offrire una visione d’insieme dell’Italia.”
Chi ha il potere di rendere quest’idea realizzabile?
“Lo start non può che arrivare dal nuovo Presidente della Repubblica, che dovrebbe accettare di dare al suo settennato una direzione affinchè il Quirinale diventi stabilmente aperto al pubblico ospitando un museo. Poiché si tratta di un progetto urbano, il soggetto promotore dovrà essere il Sindaco e l’amministrazione civica, il garante scientifico e di indirizzo dovrebbe essere invece il Ministero dei Beni Culturali. C’è bisogno di un progetto di concezione funzionale, perché si devono attrezzare spazi che già ci sono. A questo deve sovraintendere il Ministero dei Beni Culturali aprendo anche una competizione di idee su come un progetto del genere si possa realizzare.”
La tendenza italiana è di creare i contenitori ma poi mancano i contenuti. Occorrono le risorse per la gestione.
“Un museo del genere avrebbe importanti, ma non soverchianti costi di realizzazione; ma potrà contare su spazi esistenti che non necessitano di grandi trasformazioni. Importanti soggetti privati lo co-finanzierebbero volentieri. Inoltre la tecnologia, se usata con intelligenza, dimostra che tante cose si possono fare con spese limitate.
A mio avviso grandi firme internazionali e italiane che operano nell’ambito della tecnologia della cultura o che fanno innovazione tecnologica applicabile alla fruizione culturale potrebbero dare il loro contributo anche gratuitamente a patto di mettere il loro marchio sul progetto. In termini gestionali un progetto di questo tipo avrebbe la capacità di autofinanziarsi perché diventerebbe facilmente il museo più visitato d’Italia. Secondo me ci sono i termini perché abbia successo: troppi dei nostri musei sono vecchi, non solo antichi.”
Ma a suo avviso esiste un’economia della cultura che non sia economia del turismo?
“Sempre di meno. Tra le motivazioni del turismo in Italia quello culturale guida le classifiche e salirà ulteriormente.”
Secondo lei l’art bonus è sufficiente per portare nuova linfa vitale nel settore dei beni culturali?
“Ci vogliono i soldi per farlo funzionare: Franceschini ha fatto una cosa eccellente ad aprire questa breccia nel Ministero delle Finanze, ma poi bisogna che l’impresa investa. Se le risorse a copertura dell’art bonus sono così limitate, le potenzialità dello strumento si colgono solo in parte.”
Non crede che la legge Ronchey sulle concessioni museali sia superata?
“Lì c’è uno spazio enorme di miglioramento. Quelli che vengono definiti servizi aggiuntivi, oggi sono ormai servizi indispensabili per le strutture museali. I mondi conservatori sono tanti, non sono soltanto nel pubblico, anche nel privato. Ci vorrebbe una proposta innovativa da parte di chi gestisce i servizi. Ma il problema finisce sempre sul rinnovo delle concessioni, i bandi che non si fanno mai.”
Qual è a suo avviso il ruolo dello Stato nella gestione dei beni culturali?
“Lo Stato deve spendere di più. Punto. E deve farlo anche “per i privati”, perché ad esempio il taglio delle detrazioni dalle imposte per le dimore storiche è stato una catastrofe. Il settore pubblico deve fare di più: il privato non può sostituire la manutenzione e riqualificazione del patrimonio italiano. La valorizzazione può essere garantita in qualche modo con il turismo culturale, se bene organizzato. E se aiutati nelle procedure, gli imprenditori italiani vedono in un restauro importante anche un’opportunità di vetrina per la loro azienda.”
Come commenta verybello.it, il sito calendario degli eventi in Italia durante Expo voluto dal Ministro Franceschini?
“Non l’ho visto, non voglio dare un giudizio. Anche perché sono stato crocefisso per un portale che non ho fatto io, quello di Italia.it, che avevo ereditato dal governo precedente e che per senso di responsabilità non avevo voluto cestinare. Vengo sgridato per aver registrato 30 secondi di promo “Pleeez visit Italy”: ho sbagliato a prestarmi, anche se non è mai andato in onda, era un beta test. Da lì è partito il tormentone. Quando succede, non ci puoi fare più niente. La mia cultura mi spinge per senso di responsabilità - forse cattolico, forse militante, come ho imparato dai Radicali - a dire “no, non buttare via quello che c’è, prova a salvarlo” Invece in Italia è sempre meglio il blame game."
Con quale auspicio ci lasciamo ?
“Che il Presidente del Consiglio in Italia sia anche Ministro della Cultura .”
Franceschini dice che il suo è il più importante dicastero economico in Italia…
“Sì, ha ragione.”
E lei sta dando suggerimento a Renzi di prendersi anche questo dicastero ?
“Un Premier ci deve dedicare un po’ di tempo, ma se vuole presentare l’idea che l’Italia è una superpotenza nel mondo proprio per la cultura... Il Primo Ministro potrebbe prendere la delega del turismo e della cultura cui dedicare non il 50% ma il 15% del suo tempo, poi dovrebbe dotarsi di un Vice Ministro fortissimo: cultura e turismo sono il passaporto più importante, la nostra arma vincente nel mondo".
Dopo il G8 quindi l’Italia si fa capofila del C8 ?
“No, noi siamo il C1, veramente il numero 1. Se uniamo le capacità contemporanee - design, moda, cibo, audiovisivo. A Pechino, pochi giorni fa, me lo hanno ribadito i partner della China Public Diplomacy Association: qui l'Italia è veramente una superpotenza mondiale.”
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