A Rovigo dal 25 febbraio al 25 giugno 2023
Renoir e l'Italia: nel 2023 una mostra a Rovigo
Pierre-Auguste Renoir, Portrait d’Adèle Besson, 1918, Olio su tela, 37 x 41 cm, Besançon, Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie
Samantha De Martin
04/07/2022
Rovigo - Sul finire dell’Ottocento, scosso da una profonda inquietudine creativa, Renoir lasciava la Francia alla volta del belpaese.
“Il 1882 fu una grande data nella mia evoluzione. Il problema dell'Italia è che è troppo bella. Le strade italiane sono gremite di dei pagani e personaggi biblici. Ogni donna che allatta un bambino è una Madonna di Raffaello!”.
Parlava così il pittore impressionista del suo “viaggio della maturità” in Italia, che importanti innovazioni e “cesure” avrebbe apportato alla sua già grandiosa arte.
A ripercorrere la scintilla scoccata tra l’artista e i tesori della penisola e a raccontare le opere realizzate tra il viaggio italiano e la vecchiaia sarà la mostra Renoir e l’Italia, a Rovigo dal 25 febbraio al 25 giugno 2023.
Pierre-Auguste Renoir, Studio per Le Moulin de la Galette, 1875-1876, Olio su tela, 85 x 65 cm, Charlottenlund, Ordrupgaard
Curato da Paolo Bolpagni e promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, il percorso seguirà il pellegrinaggio italiano dell’artista indagandone le rivoluzionarie conseguenze. Il tour ebbe inizio a Venezia, dove il pittore rimase letteralmente folgorato da Carpaccio e Tiepolo, per proseguire per brevi tappe a Padova e a Firenze. A Roma, travolto dalla forza della luce mediterranea, il pittore francese ammirò i maestri rinascimentali, in primis Raffaello, del quale apprezzò gli affreschi della Villa Farnesina, che lo impressionarono per la loro mirabile “semplicità e grandezza”. Stravolto dalla bellezza delle pitture pompeiane e rapito dal fascino dell’isola di Capri, Renoir raggiunse Palermo, dove incontrò Richard Wagner che ritrasse in un’opera divenuta celebre. Anche se il compositore, che gli concesse appena quarantacinque minuti di posa, a quanto pare, non rimase per nulla soddisfatto del dipinto.
“Fondendo la lezione di Raffaello e quella di Jean-Auguste Dominique Ingres - sottolinea Paolo Bolpagni - il pittore recupera un disegno nitido e un’attenzione alle volumetrie e alla monumentalità delle figure, nel segno di una sintesi che enucleò una personale forma di classicismo, mentre le tendenze dominanti viravano verso il Postimpressionismo da una parte e il Simbolismo dall’altra”.
Raffaello Sanzio, Trionfo di Galatea (dettaglio), 1512 circa. Villa Farnesina, Roma
La mostra accenderà un focus sulla produzione dell’artista, dal viaggio in Italia alle opere della vecchiaia, mettendo in risalto l’originalità di un’arte che non fu affatto attardata, ma che rappresentò uno dei primi esempi di quella “moderna classicità” che molti pittori degli anni Venti e Trenta, in particolare in Italia, avrebbero perseguito. A evidenziare questo aspetto saranno una serie di confronti – alcuni dei quali insospettabili – che saranno istituiti nelle sale di Palazzo Roverella.
“Dipingendo in un possente stile neo-rinascimentale, dove i toni caldi e scintillanti mutuati dal tardo Tiziano e da Rubens, così come dai settecenteschi Fragonard e Watteau, si coniugavano con i riferimenti a un’iconografia mitica e classicheggiante - sottolinea il curatore - Renoir anticipava il “ritorno all’ordine”. Si tratta di un aspetto della sua produzione che non è stato sufficientemente messo a fuoco in tale prospettiva, giacché quella che superficialmente è apparsa a molti un’involuzione era, in realtà, una premonizione di molta della pittura che si sarebbe sviluppata tra le due guerre”.
Pierre-Auguste Renoir, Tête d’enfant, 1907, Olio su tela, 16 x 22.1 cm, Voiron, Musée Mainssieux
La mostra a Palazzo Roverella strizzerà anche l’occhio a quella musica che, ancora più della pittura, segnò profondamente l’infanzia dell’artista di Limoges. Entrato nel coro della chiesa di Saint-Sulpice, Renoir cantò sotto la direzione del grande compositore Charles Gounod, che credeva fermamente nelle possibilità vocali del ragazzo. La scoperta della pittura en plein air giunse solo più tardi, conducendolo all’approdo impressionista.
È questa la fase di Renoir più nota al grande pubblico. In realtà, come la mostra evidenzierà, si trattò di una parentesi piuttosto breve, caratterizzata anche da una certa disparità di vedute con Monet, Pissarro e Degas. A superare ogni crisi giunse il viaggio in Italia. Dopo quell’esperienza, niente sarebbe stato come prima.
Leggi anche:
• Come una fotografia. Ballando con Renoir al Moulin de la Galette
“Il 1882 fu una grande data nella mia evoluzione. Il problema dell'Italia è che è troppo bella. Le strade italiane sono gremite di dei pagani e personaggi biblici. Ogni donna che allatta un bambino è una Madonna di Raffaello!”.
Parlava così il pittore impressionista del suo “viaggio della maturità” in Italia, che importanti innovazioni e “cesure” avrebbe apportato alla sua già grandiosa arte.
A ripercorrere la scintilla scoccata tra l’artista e i tesori della penisola e a raccontare le opere realizzate tra il viaggio italiano e la vecchiaia sarà la mostra Renoir e l’Italia, a Rovigo dal 25 febbraio al 25 giugno 2023.
Pierre-Auguste Renoir, Studio per Le Moulin de la Galette, 1875-1876, Olio su tela, 85 x 65 cm, Charlottenlund, Ordrupgaard
Curato da Paolo Bolpagni e promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, il percorso seguirà il pellegrinaggio italiano dell’artista indagandone le rivoluzionarie conseguenze. Il tour ebbe inizio a Venezia, dove il pittore rimase letteralmente folgorato da Carpaccio e Tiepolo, per proseguire per brevi tappe a Padova e a Firenze. A Roma, travolto dalla forza della luce mediterranea, il pittore francese ammirò i maestri rinascimentali, in primis Raffaello, del quale apprezzò gli affreschi della Villa Farnesina, che lo impressionarono per la loro mirabile “semplicità e grandezza”. Stravolto dalla bellezza delle pitture pompeiane e rapito dal fascino dell’isola di Capri, Renoir raggiunse Palermo, dove incontrò Richard Wagner che ritrasse in un’opera divenuta celebre. Anche se il compositore, che gli concesse appena quarantacinque minuti di posa, a quanto pare, non rimase per nulla soddisfatto del dipinto.
“Fondendo la lezione di Raffaello e quella di Jean-Auguste Dominique Ingres - sottolinea Paolo Bolpagni - il pittore recupera un disegno nitido e un’attenzione alle volumetrie e alla monumentalità delle figure, nel segno di una sintesi che enucleò una personale forma di classicismo, mentre le tendenze dominanti viravano verso il Postimpressionismo da una parte e il Simbolismo dall’altra”.
Raffaello Sanzio, Trionfo di Galatea (dettaglio), 1512 circa. Villa Farnesina, Roma
La mostra accenderà un focus sulla produzione dell’artista, dal viaggio in Italia alle opere della vecchiaia, mettendo in risalto l’originalità di un’arte che non fu affatto attardata, ma che rappresentò uno dei primi esempi di quella “moderna classicità” che molti pittori degli anni Venti e Trenta, in particolare in Italia, avrebbero perseguito. A evidenziare questo aspetto saranno una serie di confronti – alcuni dei quali insospettabili – che saranno istituiti nelle sale di Palazzo Roverella.
“Dipingendo in un possente stile neo-rinascimentale, dove i toni caldi e scintillanti mutuati dal tardo Tiziano e da Rubens, così come dai settecenteschi Fragonard e Watteau, si coniugavano con i riferimenti a un’iconografia mitica e classicheggiante - sottolinea il curatore - Renoir anticipava il “ritorno all’ordine”. Si tratta di un aspetto della sua produzione che non è stato sufficientemente messo a fuoco in tale prospettiva, giacché quella che superficialmente è apparsa a molti un’involuzione era, in realtà, una premonizione di molta della pittura che si sarebbe sviluppata tra le due guerre”.
Pierre-Auguste Renoir, Tête d’enfant, 1907, Olio su tela, 16 x 22.1 cm, Voiron, Musée Mainssieux
La mostra a Palazzo Roverella strizzerà anche l’occhio a quella musica che, ancora più della pittura, segnò profondamente l’infanzia dell’artista di Limoges. Entrato nel coro della chiesa di Saint-Sulpice, Renoir cantò sotto la direzione del grande compositore Charles Gounod, che credeva fermamente nelle possibilità vocali del ragazzo. La scoperta della pittura en plein air giunse solo più tardi, conducendolo all’approdo impressionista.
È questa la fase di Renoir più nota al grande pubblico. In realtà, come la mostra evidenzierà, si trattò di una parentesi piuttosto breve, caratterizzata anche da una certa disparità di vedute con Monet, Pissarro e Degas. A superare ogni crisi giunse il viaggio in Italia. Dopo quell’esperienza, niente sarebbe stato come prima.
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