Al MArTA - Museo Archeologico Nazionale di Taranto - fino al 10 novembre
Con la mostra "MitoMania" Taranto riparte dall'arte, nel segno dell'identità
Una sezione dell’allestimento della mostra MitoMania al MArTA. Courtesy Museo Archeologico Nazionale di Taranto
Samantha De Martin
15/04/2019
Taranto - Il grande sfregio è racchiuso nel colpo di piccone che irrompe tra Andromeda, seduta sul trono, e la madre Cassiopea che, in ginocchio, implora il perdono della figlia. È stato sferrato durante uno scavo clandestino, ma fortunatamente il resto dell’anfora è rimasto intatto.
In questa pelike sulla quale il pittore di Dario ha raffigurato, intorno al 340 a.C, la delicatissima scena della riconciliazione tra Andromeda e Perseo con i genitori Cefeo e Cassiopea e che costituisce un unicum nel mondo antico - ad oggi il solo esemplare con questo tipo di rappresentazione - è forse racchiuso il significato più sottile della mostra MitoMania. Storie ritrovate di uomini ed eroi, in corso al Museo Archeologico Nazionale di Taranto.
Ripartire dal mito
Più che un percorso espositivo, quello a cura del direttore del MArTA, Eva Degl’Innocenti e degli archeologi Anna Consonni, Luca di Franco e Lorenzo Mancini, al Museo Archeologico Nazionale di Taranto fino al 10 novembre, è il metaforico tracciato di un itinerario di rinascita, un risorgere lento da colpi nefasti di picconi e ciminiere, avviato dalla città di Taranto a partire dal suo grande gioiello che accoglie una storia millenaria, che va dal Paleolitico all’Alto medioevo.
Il percorso MitoMania, molto ben allestito, espone, per la prima volta tutti insieme, preziosi vasi di produzione apula, attribuiti ad alcuni dei più illustri maestri della ceramografia italiota. I tredici originali, dei quali undici presenti in mostra e due visibili nel percorso permanente del museo, sono stati strappati al loro originario contesto da scavi clandestini, esportati illecitamente e venduti ad alcune importanti istituzioni statunitensi, come il J.Paul Getty Museum di Malibu, il Cleveland Museum of Arts, il Museum of Fine Arts di Boston e il Metropolitan Museum di New York. L’impegno del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale ha consentito il recupero di questi preziosi reperti, rientrati in Italia partire dal 2007 e oggetto di varie esposizioni, tra Roma e Budapest.
Adesso tornano a casa, nella regione che li ha prodotti e custoditi per secoli, condividendo, per la prima volta, un percorso espositivo che si sviluppa in tre sezioni impregnate di miti, riti e storie che descrivono il milieu produttivo ed i valori di antichi artigiani e acquirenti illustri.
Fino al momento, ad eccezione di quattro vasi, esposti all’interno del percorso museale permanente, tutti i reperti, quasi tutti interamente legati ai rituali funerari e collocati in sepolture, erano conservati nei depositi del museo che vanta una delle più importanti raccolte al mondo di ceramica apula.
La prima sezione di MitoMania è dedicata al “Contesto perduto mito, rito e morte nell’immaginario dei pittori apuli”, mentre la seconda sala rinnova il tema del mito e del teatro, illustrando una vera e propria riformulazione del repertorio iconografico di numerosi soggetti allo scopo di ricreare lo scenario ideato dai tragediografi attici, adattandolo alla superficie dei vasi.
È solo attingendo a questo contesto perduto che le immagini dipinte possono tornare a raccontare storie. Storie ritrovate di uomini ed eroi che adottano il linguaggio del mito non per pura “mania” - come suggerisce provocatoriamente il titolo della mostra - ma come strumento di condivisione di valori e costruzione di identità tra Greci e mondo indigeno.
Da queste esili architetture funerarie emergono divinità dell’oltretomba ed eroi dell’epos, come Achille, armato di lancia e protetto da uno scudo decorato con una stella, raffigurato su un cratere a campana dal Pittore di Hoppin (380-370 a.C) nell’atto di compiere l’agguato a Troilo. Ade e Persefone, riprodotte invece dal Pittore del Sakkos Bianco sedute su una kline, ammiccano in mostra al loutrophoros con Pelope - mitico fondatore dei giochi olimpici - e Ippodamia colta nel gesto di scostarsi dal volto un lembo dell’himation. In un’altra vetrina, il dinos con raffigurato il mito di Busiride, sorretto da un supporto girevole, consente, invece, di apprezzare le scene del vaso, come fosse una sorta di cortometraggio ante litteram: il re egizio che era solito sacrificare gli stranieri di transito nel suo regno, viene ucciso da Eracle, eroe “civilizzatore”.
Dinos con il mito di Busiride, Pittore di Dario, 340-320 a.C., già Metropolitan Museum of Art
Girando lo sguardo, sulla pelike con Perseo e Andromeda, si intravede una sorta di fumetto con i nomi delle divinità, al centro di uno storytelling escogitato dal pittore di Dario, attivo forse a Taranto in una o più botteghe.
Nella terza e ultima sezione del percorso, un video e alcuni approfondimenti tematici illustrano l’attività svolta dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale - che quest’anno celebra i suoi primi 50 anni di attività - con alcune interessanti situazioni di intervento e recupero.
“Sebbene il ritorno a casa del reperto non potrà mai restituirci le informazioni che soltanto uno scavo scientificamente condotto può fornirci - spiega il direttore del MarTA, Eva Degl’Innocenti - il mito delle raffigurazioni e dei riti delle nostre ceramiche apule permette il recupero della storia, della coscienza umana e della memoria della comunità. Il mito crea arte, cultura e identità”.
Cratere a volute con Achille e Fenice, Pittore del Sakkos Bianco, 320 a.C. circa, già J.Paul Getty Museum, Malibu
I profani non se ne accorgeranno, ma in mostra c’è anche un grande falso, una epichysis (piccola brocca) apula nello stile di “Gnathia”che un’indagine archeometrica fortemente voluta nel 2018 dalla direzione del Museo ha rivelato essere una copia di età moderna.
“Abbiamo fondato il progetto della mostra MitoMania - continua il direttore - su tre pilastri basilari nella concezione del nostro museo: il senso di legalità e di valori condivisi nel presentare reperti restituiti al patrimonio culturale dello stato; il recupero della storia e della coscienza umana ancestralmente rappresentato dal mito; la memoria di un territorio che si rispecchia nel proprio museo quale elemento di continuo sviluppo tra passato, presente e futuro”.
MArTA: un gioiello dalla spiccata identità
Questo spiccato senso di identità e il legame con il territorio che emergono dalla mostra MitoMania, costituiscono, in realtà, il fil rouge che connette i reperti dell’intero percorso museale del MArTA. Le sale, organizzate diacronicamente dal secondo al primo piano, sorprendono e un po’ frastornano con i reperti delle fasi più antiche della storia dell’insediamento in Puglia (Paleolitico e Neolitico) e con quelli relativi alla fondazione della colonia magnogreca, l’unica spartana e l’ultima a cedere al dominio di Roma.
Sorprendono le Veneri di Parabita rinvenute nelle grotte del Salento, datate 20mila a.C., che, immobili, con i loro seni prosperosi e il ventre gravido, sprigionano un’energia primordiale legata al culto della dea madre. Poco lontana, la statuetta di Zeus, rinvenuta nella città messapica di Ugento, è una delle più importanti testimonianze della bronzistica magnogreca di età arcaica.
Dall’epoca classica ed ellenistica alla conquista romana, passando per alcuni reperti del periodo tardo antico e altomedievale, il viaggio tra i tesori del MArTA racconta una storia fatta di accoglienza e dialogo. In questo scrigno in cui il mondo greco convive a un certo punto con quello ebraico, in questo crogiolo di culture divenuto, intorno all’840 e per 50 anni, sede di un emirato, la civiltà si insinua veloce.
Una coppia di halteres, bilancieri in piombo che servivano a stabilizzare l’atleta durante il salto in lungo, uno straordinario disco da lancio in ferro, il più grande mai ritrovato, anfore panatenaiche, utilizzate come premio per i vincitori degli agoni di Atene, introducono al pezzo forse più commovente del MArTA. Si tratta dello scheletro di un uomo di circa 30 anni, alto circa un metro e 70, che eccelse forse nella corsa, a piedi e con i carri, e nel salto in lungo, praticato a Taranto verso il V secolo a.C. In corrispondenza degli angoli del sarcofago erano state deposte quattro anfore panatenaiche, testimonianza della sua vittoria negli agoni panellenici in onore di Atena, ma di una ne furono trovati solo pochi frammenti. Il tessuto osseo ha rivelato un’elevata concentrazione di arsenico, riferibile a intossicazione cronica: i medici antichi utilizzavano questa sostanza per la cura delle ulcere, ma anche come tonico per il corpo. È quindi possibile che il ginnasta se ne sia servito per mantenersi in forma e dare sempre il massimo nelle competizioni.
Dalla kylix del Pittore dei pesci (580-570 a.C.) al cratere a volute del pittore della nascita di Dioniso, lo sguardo tiene testa all’offerta generosa delle sale. Per cedere, nella sala XI, ai celebri Ori di Taranto, parte della produzione orafa della città, destinata soprattutto ai corredi funerari femminili, con la raffinatezza delle decorazioni a filigrana su lamina d’oro, orecchini a navicella, e ancora collane con ganci, anelli, corone e diademi.
Anche in questa sala il senso di identità è forte. È grazie a Ciro Drago che è possibile ammirare ancora oggi questi Ori. Durante la seconda guerra mondiale, il soprintendente aveva fatto trasferire questo immenso patrimonio a Parma e precisamente nei caveau blindati del Centro contabile della Comit, in via Langhirano, ritenuti a prova di bombardamenti aerei.
Lasciato l’ex convento dei Frati Alcantarini che accoglie il MArTA, superata, nel piano mezzanino, una piccola sezione dedicata alla collezione di dipinti di scuola napoletana che Monsignor Giuseppe Ricciardi, vescovo di Nardò, volle donare alla sua città natale, alcune immagini restano ancora impigliate allo sguardo. Come lo schiccianoci in bronzo e oro, a forma di mani congiunte (fine IV inizio III secolo a.C) o la lapide di Caesennia e Clliope, morte a due anni, la bambola rinvenuta nel sarcofago di una bambina, la straordinaria collezione di monete in argento, praticamente intatta, il monumentale cratere a mascheroni con partenza di Anfiarao, realizzato dal pittore di Dario intorno al 330 a.C e in partenza per Roma dove sarà esposto nell’ambito di una mostra al Quirinale dedicata ai 50 anni di attività del Comando Carabinieri per la Tutela del patrimonio Culturale.
Nucifrangibulum (schiaccianoci), fine IV-inizio III sec. a.C. Foto: © Samantha De Martin
I progetti del MArTA, tra mostre e videogames
In attesa di inaugurare, a febbraio prossimo, un’altra mostra volta a valorizzare la spiccata identità della città, dedicata al rapporto di Taranto con il mare, la direttrice Eva Degl’Innocenti, con l’entusiamo di chi considera il proprio mestiere un’appassionata missione, snocciola alcuni numeri e progetti del grande cantiere MArTA.
“Con i suoi oltre 73mila visitatori, il MArTa - spiega Degl’Innocenti - grazie a un finanziamento europeo di 2milioni 507mila euro, sta lavorando a un progetto di digitalizzazione di migliaia di reperti archeologici e alla creazione di una piattaforma in open data e in open source per allargare la fruizione da parte del pubblico”.
L’attività di valorizzazione dell'Archeologico, anche attraverso il turismo videoludico, passa attraverso “Past for Future”, il videogioco ufficiale del Museo Archeologico Nazionale, realizzato in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e disponibile gratuitamente su App Store e Google Play.
Attraverso il viaggio, fisico e metaforico di William, il giocatore si muove alla ricerca di una misteriosa donna scomparsa, viaggiando da Londra a Taranto, dove scoprirà il porto, passeggerà tra le vie del centro storico, visiterà il Museo Archeologico e si tufferà nelle strade della città.
Per Pier Paolo Pasolini la Taranto del 1959 era una città perfetta: “Viverci è come vivere all’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta. Qui Taranto nuova, là, gremita, Taranto vecchia, intorno i due mari e i lungomari. Per i lungomari, nell’acqua ch’è tutto uno squillo, con in fondo delle navi da guerra, inglesi, italiane, americane, sono aggrappati agli splendidi scogli, gli stabilimenti.” Adesso l'antica Taras riparte dall’arte anche grazie a un direttore lungimirante, cercando nella storia e nella bellezza il volano per la propria rinascita.
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• Afrodite al bagno nei mari di Puglia
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Ripartire dal mito
Più che un percorso espositivo, quello a cura del direttore del MArTA, Eva Degl’Innocenti e degli archeologi Anna Consonni, Luca di Franco e Lorenzo Mancini, al Museo Archeologico Nazionale di Taranto fino al 10 novembre, è il metaforico tracciato di un itinerario di rinascita, un risorgere lento da colpi nefasti di picconi e ciminiere, avviato dalla città di Taranto a partire dal suo grande gioiello che accoglie una storia millenaria, che va dal Paleolitico all’Alto medioevo.
Il percorso MitoMania, molto ben allestito, espone, per la prima volta tutti insieme, preziosi vasi di produzione apula, attribuiti ad alcuni dei più illustri maestri della ceramografia italiota. I tredici originali, dei quali undici presenti in mostra e due visibili nel percorso permanente del museo, sono stati strappati al loro originario contesto da scavi clandestini, esportati illecitamente e venduti ad alcune importanti istituzioni statunitensi, come il J.Paul Getty Museum di Malibu, il Cleveland Museum of Arts, il Museum of Fine Arts di Boston e il Metropolitan Museum di New York. L’impegno del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale ha consentito il recupero di questi preziosi reperti, rientrati in Italia partire dal 2007 e oggetto di varie esposizioni, tra Roma e Budapest.
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È solo attingendo a questo contesto perduto che le immagini dipinte possono tornare a raccontare storie. Storie ritrovate di uomini ed eroi che adottano il linguaggio del mito non per pura “mania” - come suggerisce provocatoriamente il titolo della mostra - ma come strumento di condivisione di valori e costruzione di identità tra Greci e mondo indigeno.
Da queste esili architetture funerarie emergono divinità dell’oltretomba ed eroi dell’epos, come Achille, armato di lancia e protetto da uno scudo decorato con una stella, raffigurato su un cratere a campana dal Pittore di Hoppin (380-370 a.C) nell’atto di compiere l’agguato a Troilo. Ade e Persefone, riprodotte invece dal Pittore del Sakkos Bianco sedute su una kline, ammiccano in mostra al loutrophoros con Pelope - mitico fondatore dei giochi olimpici - e Ippodamia colta nel gesto di scostarsi dal volto un lembo dell’himation. In un’altra vetrina, il dinos con raffigurato il mito di Busiride, sorretto da un supporto girevole, consente, invece, di apprezzare le scene del vaso, come fosse una sorta di cortometraggio ante litteram: il re egizio che era solito sacrificare gli stranieri di transito nel suo regno, viene ucciso da Eracle, eroe “civilizzatore”.
Dinos con il mito di Busiride, Pittore di Dario, 340-320 a.C., già Metropolitan Museum of Art
Girando lo sguardo, sulla pelike con Perseo e Andromeda, si intravede una sorta di fumetto con i nomi delle divinità, al centro di uno storytelling escogitato dal pittore di Dario, attivo forse a Taranto in una o più botteghe.
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“Sebbene il ritorno a casa del reperto non potrà mai restituirci le informazioni che soltanto uno scavo scientificamente condotto può fornirci - spiega il direttore del MarTA, Eva Degl’Innocenti - il mito delle raffigurazioni e dei riti delle nostre ceramiche apule permette il recupero della storia, della coscienza umana e della memoria della comunità. Il mito crea arte, cultura e identità”.
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Questo spiccato senso di identità e il legame con il territorio che emergono dalla mostra MitoMania, costituiscono, in realtà, il fil rouge che connette i reperti dell’intero percorso museale del MArTA. Le sale, organizzate diacronicamente dal secondo al primo piano, sorprendono e un po’ frastornano con i reperti delle fasi più antiche della storia dell’insediamento in Puglia (Paleolitico e Neolitico) e con quelli relativi alla fondazione della colonia magnogreca, l’unica spartana e l’ultima a cedere al dominio di Roma.
Sorprendono le Veneri di Parabita rinvenute nelle grotte del Salento, datate 20mila a.C., che, immobili, con i loro seni prosperosi e il ventre gravido, sprigionano un’energia primordiale legata al culto della dea madre. Poco lontana, la statuetta di Zeus, rinvenuta nella città messapica di Ugento, è una delle più importanti testimonianze della bronzistica magnogreca di età arcaica.
Dall’epoca classica ed ellenistica alla conquista romana, passando per alcuni reperti del periodo tardo antico e altomedievale, il viaggio tra i tesori del MArTA racconta una storia fatta di accoglienza e dialogo. In questo scrigno in cui il mondo greco convive a un certo punto con quello ebraico, in questo crogiolo di culture divenuto, intorno all’840 e per 50 anni, sede di un emirato, la civiltà si insinua veloce.
Una coppia di halteres, bilancieri in piombo che servivano a stabilizzare l’atleta durante il salto in lungo, uno straordinario disco da lancio in ferro, il più grande mai ritrovato, anfore panatenaiche, utilizzate come premio per i vincitori degli agoni di Atene, introducono al pezzo forse più commovente del MArTA. Si tratta dello scheletro di un uomo di circa 30 anni, alto circa un metro e 70, che eccelse forse nella corsa, a piedi e con i carri, e nel salto in lungo, praticato a Taranto verso il V secolo a.C. In corrispondenza degli angoli del sarcofago erano state deposte quattro anfore panatenaiche, testimonianza della sua vittoria negli agoni panellenici in onore di Atena, ma di una ne furono trovati solo pochi frammenti. Il tessuto osseo ha rivelato un’elevata concentrazione di arsenico, riferibile a intossicazione cronica: i medici antichi utilizzavano questa sostanza per la cura delle ulcere, ma anche come tonico per il corpo. È quindi possibile che il ginnasta se ne sia servito per mantenersi in forma e dare sempre il massimo nelle competizioni.
Dalla kylix del Pittore dei pesci (580-570 a.C.) al cratere a volute del pittore della nascita di Dioniso, lo sguardo tiene testa all’offerta generosa delle sale. Per cedere, nella sala XI, ai celebri Ori di Taranto, parte della produzione orafa della città, destinata soprattutto ai corredi funerari femminili, con la raffinatezza delle decorazioni a filigrana su lamina d’oro, orecchini a navicella, e ancora collane con ganci, anelli, corone e diademi.
Anche in questa sala il senso di identità è forte. È grazie a Ciro Drago che è possibile ammirare ancora oggi questi Ori. Durante la seconda guerra mondiale, il soprintendente aveva fatto trasferire questo immenso patrimonio a Parma e precisamente nei caveau blindati del Centro contabile della Comit, in via Langhirano, ritenuti a prova di bombardamenti aerei.
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“Con i suoi oltre 73mila visitatori, il MArTa - spiega Degl’Innocenti - grazie a un finanziamento europeo di 2milioni 507mila euro, sta lavorando a un progetto di digitalizzazione di migliaia di reperti archeologici e alla creazione di una piattaforma in open data e in open source per allargare la fruizione da parte del pubblico”.
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