Piccola guida alla 16° Mostra Internazionale di Architettura
Biennale 2018: 10 padiglioni per un viaggio intorno al mondo
Vértigo Horizontal / Vertigine Orizzontale / Horizontal Vertigo | 16. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, FREESPACE, 2018
Carlo Chambry
01/06/2018
Venezia - La grande macchina della Biennale di Architettura 2018 è definitivamente partita. Presentati i 71 architetti partecipanti, le due sezioni speciali e i 65 padiglioni nazionali, assegnati i Leoni d’oro (alla Svizzera per la miglior partecipazione nazionale, al portoghese Eduardo Souto de Moura per il miglior partecipante, all’architetto britannico Kenneth Frampton per la carriera) e d’Argento (agli architetti belgi Jan de Vylder, Inge Vinck e Jo Taillieu), nonché le Menzioni Speciali andate al Padiglione della Gran Bretagna e ai progetti di Andra Matin (Indonesia) e Rahul Mehotra (India-USA), i visitatori hanno tempo fino al 25 novembre per scoprire tutte le declinazioni del tema Freespace in un caleidoscopio di proposte giunte a Venezia da tutto il mondo.
Ma come orientarsi nel labirinto di progetti che popolano i Giardini e l’Arsenale nell’edizione curata da Yvonne Farrell e Shelley McNamara? Per chi avrà modo di esplorarli tutti, le sorprese certo non mancheranno. Per gli altri, ecco la nostra piccola guida.
1. Svizzera 240 - House Tour
“Una installazione architettonica piacevole e coinvolgente, ma che al contempo affronta le questioni chiave della scala costruttiva nello spazio domestico”: questa la motivazione della giuria presieduta da Sofìa von Ellrichshausen (Argentina) e composta da Frank Barkow (Stati Uniti), Kate Goodwin (Australia), Patricia Patkau (Canada), Pier Paolo Tamburelli (Italia) per l’assegnazione al Padiglione Svizzero del massimo riconoscimento della 16° Mostra Internazionale di Architettura. Svizzera 240: House Tour porta in scena una moderna “casa di Alice”: varchi angusti e corridoi da attraversare in posizioni insolite, finestre aperte sul nulla, porte altissime o minuscole, maniglie difficili da raggiungere sfidano i canoni consueti dell’abitare e mostrano come anche gli ambienti più familiari possano trasformarsi nel set di un’avventura piena di incognite. Scopo del gioco: focalizzare l’attenzione sulla plasticità latente della casa, “il più popolare habitat del mondo”.
2. Gran Bretagna – Island
Si presenta sorprendentemente vuoto e circondato da impalcature il padiglione britannico, ma la sua terrazza si trasforma in una piazza pensile aperta sui Giardini e sul mare: un’Isola che, secondo i curatori Caruso St John Architects e Marcus Taylor, può essere “luogo di rifugio o di esilio”. Il riferimento è alla condizione storica del Regno Unito, ma anche agli scenari futuri aperti dalla Brexit.
Grazie alla coraggiosa operazione di sottrazione totale, gli spazi coperti mettono a nudo la propria struttura e le tracce, molteplici e contraddittorie, lasciate da un uso espositivo lungo 12 decenni.
Sul tetto “l’isola è piena di rumori, suoni e dolci arie che danno piacere e non fanno male”, immaginano gli autori citando La Tempesta di Shakespeare. Sono tanti i temi che le aleggiano intorno: cambiamenti climatici, abbandono, colonialismo, isolamento, ricostruzione, santuario. A definirne l’identità saranno i visitatori e il ricco programma di eventi che animeranno la piazza nei prossimi mesi, tra dibattiti di architettura, spettacoli, cinema e poesia.
3. Santa Sede – Vatican Chapels
Al suo debutto nella Biennale di Architettura, la Santa Sede presenta uno degli allestimenti più apprezzati di questa edizione.
Ad accogliere le dieci cappelle firmate da Norman Foster, Francesco Cellini, Eduardo Souto de Moura, Terunobu Fujimori, Andrew D.Berman, Javier Corvalàn Espinola, Flores & Prats, Sean Godsell, Carla Juacaba, MAP Studio e Smiljan Radic Clarke, è il verde rigoglioso dell’Isola di San Giorgio Maggiore.
Ispirato alla “cappella nel bosco” costruita nel 1920 da Gunnar Asplud nel cimitero di Stoccolma, il progetto si presenta come una metafora del peregrinare della vita e per gli architetti ha comportato una sfida inusuale: immaginare edifici sacri isolati in un contesto naturale del tutto astratto, connotato unicamente dal suo emergere dalla Laguna. “L’apparire di qualcosa di costruito nello smisurato della natura indica la funzione fondamentale dell’architettura: essere luogo di orientamento e di misura, prima di tutto”, ha spiegato il curatore Francesco Dal Co.
4. Stati Uniti – Dimensions of Citizenship
Cosa significa essere cittadini oggi? Non è un caso che la domanda arrivi dagli Stati Uniti dell’era Trump. Curato da un team di altissimo livello – Nial Atkinson, Ann Lui e Mimi Zeiger- il padiglione a stelle e strisce si interroga sulle trasformazioni del concetto di cittadinanza nell’attuale contesto globalizzato. Gli architetti esplorano perciò le relazioni tra la costruzione fisica dello spazio e la sua capacità di generare forme di appartenenza nelle persone che lo abitano. Il Cittadino, la Civitas, la Regione, la Nazione, il Globo, la Rete e il Cosmo sono i livelli di indagine scelti per dar conto di un’esperienza sempre più complessa e rizomatica.
Storie di diseguaglianza e di violenza sugli individui o sull’ambiente si affacciano dalle installazioni per portare alla luce i paradossi sotterranei dell’attualità.
5. Cina – Building a Future Countryside
Se immaginando lo spazio pubblico della Cina avete pensato a edifici alveare e metropoli sterminate, siete fuori strada. Il curatore Li Xiangning ha in mente un futuro diverso.
È vero: dalle pianure del Nord alle città d’acqua a Sud del Fiume Azzurro, migliaia di villaggi sono diventati aree industriali o hanno sacrificato il proprio capitale umano a favore dei centri di produzione tecnologica. Ma questa metamorfosi senza precedenti ha bisogno di un seguito. Ed è proprio dalle campagne che arrivano le soluzioni per un rinnovamento all’insegna del Freespace: dimore poetiche, produzione locale, pratiche culturali, turismo rurale, ricostruzione delle comunità, future esplorazioni.
“La motivazione di questa mostra – spiega Li Xiangning - oltrepassa la xiangchou, termine cinese che si riferisce alla nostalgia per i territori rurali. Torniamo ad esplorare la campagna dove è nata la cultura cinese, per riportare alla luce valori dimenticati e possibilità ignorate. Da lì costruiremo la campagna futura”.
6. Bahrain – Friday Sermon
Estetica raffinata e attenzione ai minimi dettagli caratterizzano il Padiglione del Barhain, che quest’anno ha entusiasmato molti osservatori. In una struttura sopraelevata di acciao e vetro smerigliato, il tema del FreeSpace si apre sui luoghi della khutbah, il sermone del venerdì, un rituale che ha origine nella tradizione pre-islamica della recita dei poemi epici e permea di sé la storia del mondo arabo.
Benché non sia propriamente un’occasione di dibattito, in molti contesti rappresenta dell’espressione più visibile del concetto di assemblea pubblica. “Che si configuri come un canale di propaganda e dominio o di emancipazione e liberazione – scrivono i curatori - che abbia connotazioni conservatrici o progressiste, la khutbah trova ascolto in milioni di fedeli. Khutbat Al-Jom’ah/ Friday Sermon ripercorre l’evoluzione e la struttura di questo rituale di predicazione e ascolto collettivo in alcune città del mondo”.
7. Argentina – Vértigo Horìzontal
Parte dagli sterminati orizzonti del Paese sudamericano l’invito a ripensare il territorio argentino come una costruzione collettiva dove l’architettura dialoga con il paesaggio.
Nel buio della sala, il cielo e i campi verdi delle pampas si incontrano all’interno di un enorme parallelepipedo di vetro scuro lungo 21 metri. Intorno, 40 disegni parlano di parchi pubblici, strutture a destinazione sociale e progetti partecipati concepiti a partire dal 1083, anno del ritorno del Paese alla democrazia.
“Progetti generosi”, commentano i curatori Javier Mendiondo, Pablo Anzilutti, Francisco Garrido e Federico Cairoli: “Sono stati scelti in virtù della loro dimensione primitiva, viscerale, come documenti capaci di trasmettere la forza del pensiero espresso con il tratto, dove la forza dell’idea prevale, dove ogni orpello scompare per liberare l’identità dell’idea”. Dall’interno della teca i disegni si intravedono in trasparenza, in corrispondenza della linea d’orizzonte, a simboleggiare sinergia e reciprocità tra architetture e paesaggio, in un territorio vasto e avvolgente in cui le opere dell’uomo sono letteralmente immerse.
8. Australia – Repair
Un allestimento immersivo e multisensoriale attende i visitatori del Padiglione Australia, che porta a Venezia le praterie della terra dei canguri. Curato da Baracco+Wright Architects e dall’artista Linda Tegg, è incentrato su un'architettura attiva per restituire condizioni migliori all’ambiente di cui fa parte.
Ce ne parla Grasslands Repair, un’installazione di ben 10 mila piante, che negli spazi espositivi della Biennale suggerisce l’idea di “un dialogo fisico tra l’architettura e la comunità delle specie in via d’estinzione”. Una pratica strategica quando si ha a che fare con un paesaggio come quello australiano, tra i più eterogenei ed ecologicamente sensibili del mondo.
A dar forza al messaggio c’è Skylight, “installazione luminosa a sostegno della vita”, mentre il video Ground presenta importanti testimonianze architettoniche di “riparazione civica, sociale, culturale, economica o ambientale”.
9. Brasile – Muros de Ar / Walls of Air
Se la Germania riflette sul concetto di barriera alla vigilia dei 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, i Muros del Padiglione Brasile sono spesso inafferrabili come l’aria: confini invisibili, che tuttavia strutturano in forme diverse la vita del Paese in conseguenza dei processi di urbanizzazione.
Dieci grandi mappe cartografiche, elaborate dal team curatoriale dopo uno scambio con professionisti e studiosi di vari settori, rendono immediatamente visibile la portata e la varietà di dispositivi di separazione sociale, economica, politica e culturale. Disegni e modelli di 17 progetti provenienti da 9 città brasiliane riflettono la possibilità di concepire l’architettura come mezzo per ripensare le barriere negli ambienti urbani.
10. Arcipelago Italia
È un’Italia silenziosa e spesso in disparte, quella che il curatore Mario Cucinella ha scelto di portare sotto i riflettori della Biennale. Le aree interne della Penisola, quel “Paese delle mille piccole città”, ricco di bellezze artistiche e naturali, eterogeneo per paesaggio, tradizioni, economia, che tuttavia uno storico come Fernand Braudel definirebbe un unico “spazio urbano nel Mediterraneo”.
Concepito come un viaggio nella preziosa varietà dello Stivale, l’allestimento spazia dalle Alpi al limite estremo degli Appennini, fino alle isole maggiori, alla ricerca di luoghi, esperienze, prospettive. Per approdare a cinque progetti sperimentali tagliati su misura di altrettante comunità: Gibellina in Sicilia, le Foreste Casentinesi tra Toscana ed Emilia-Romagna, Camerino nelle Marche, i centri collinari di Grassano e Ferrandina in Basilicata, Ottana in Sardegna, diventano laboratori per trovare soluzioni a problemi diffusi. L’architettura si fa “empatica” e rinnova la propria relazione con il territorio, diventando strumento di rinascita.
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1. Svizzera 240 - House Tour
“Una installazione architettonica piacevole e coinvolgente, ma che al contempo affronta le questioni chiave della scala costruttiva nello spazio domestico”: questa la motivazione della giuria presieduta da Sofìa von Ellrichshausen (Argentina) e composta da Frank Barkow (Stati Uniti), Kate Goodwin (Australia), Patricia Patkau (Canada), Pier Paolo Tamburelli (Italia) per l’assegnazione al Padiglione Svizzero del massimo riconoscimento della 16° Mostra Internazionale di Architettura. Svizzera 240: House Tour porta in scena una moderna “casa di Alice”: varchi angusti e corridoi da attraversare in posizioni insolite, finestre aperte sul nulla, porte altissime o minuscole, maniglie difficili da raggiungere sfidano i canoni consueti dell’abitare e mostrano come anche gli ambienti più familiari possano trasformarsi nel set di un’avventura piena di incognite. Scopo del gioco: focalizzare l’attenzione sulla plasticità latente della casa, “il più popolare habitat del mondo”.
2. Gran Bretagna – Island
Si presenta sorprendentemente vuoto e circondato da impalcature il padiglione britannico, ma la sua terrazza si trasforma in una piazza pensile aperta sui Giardini e sul mare: un’Isola che, secondo i curatori Caruso St John Architects e Marcus Taylor, può essere “luogo di rifugio o di esilio”. Il riferimento è alla condizione storica del Regno Unito, ma anche agli scenari futuri aperti dalla Brexit.
Grazie alla coraggiosa operazione di sottrazione totale, gli spazi coperti mettono a nudo la propria struttura e le tracce, molteplici e contraddittorie, lasciate da un uso espositivo lungo 12 decenni.
Sul tetto “l’isola è piena di rumori, suoni e dolci arie che danno piacere e non fanno male”, immaginano gli autori citando La Tempesta di Shakespeare. Sono tanti i temi che le aleggiano intorno: cambiamenti climatici, abbandono, colonialismo, isolamento, ricostruzione, santuario. A definirne l’identità saranno i visitatori e il ricco programma di eventi che animeranno la piazza nei prossimi mesi, tra dibattiti di architettura, spettacoli, cinema e poesia.
3. Santa Sede – Vatican Chapels
Al suo debutto nella Biennale di Architettura, la Santa Sede presenta uno degli allestimenti più apprezzati di questa edizione.
Ad accogliere le dieci cappelle firmate da Norman Foster, Francesco Cellini, Eduardo Souto de Moura, Terunobu Fujimori, Andrew D.Berman, Javier Corvalàn Espinola, Flores & Prats, Sean Godsell, Carla Juacaba, MAP Studio e Smiljan Radic Clarke, è il verde rigoglioso dell’Isola di San Giorgio Maggiore.
Ispirato alla “cappella nel bosco” costruita nel 1920 da Gunnar Asplud nel cimitero di Stoccolma, il progetto si presenta come una metafora del peregrinare della vita e per gli architetti ha comportato una sfida inusuale: immaginare edifici sacri isolati in un contesto naturale del tutto astratto, connotato unicamente dal suo emergere dalla Laguna. “L’apparire di qualcosa di costruito nello smisurato della natura indica la funzione fondamentale dell’architettura: essere luogo di orientamento e di misura, prima di tutto”, ha spiegato il curatore Francesco Dal Co.
4. Stati Uniti – Dimensions of Citizenship
Cosa significa essere cittadini oggi? Non è un caso che la domanda arrivi dagli Stati Uniti dell’era Trump. Curato da un team di altissimo livello – Nial Atkinson, Ann Lui e Mimi Zeiger- il padiglione a stelle e strisce si interroga sulle trasformazioni del concetto di cittadinanza nell’attuale contesto globalizzato. Gli architetti esplorano perciò le relazioni tra la costruzione fisica dello spazio e la sua capacità di generare forme di appartenenza nelle persone che lo abitano. Il Cittadino, la Civitas, la Regione, la Nazione, il Globo, la Rete e il Cosmo sono i livelli di indagine scelti per dar conto di un’esperienza sempre più complessa e rizomatica.
Storie di diseguaglianza e di violenza sugli individui o sull’ambiente si affacciano dalle installazioni per portare alla luce i paradossi sotterranei dell’attualità.
5. Cina – Building a Future Countryside
Se immaginando lo spazio pubblico della Cina avete pensato a edifici alveare e metropoli sterminate, siete fuori strada. Il curatore Li Xiangning ha in mente un futuro diverso.
È vero: dalle pianure del Nord alle città d’acqua a Sud del Fiume Azzurro, migliaia di villaggi sono diventati aree industriali o hanno sacrificato il proprio capitale umano a favore dei centri di produzione tecnologica. Ma questa metamorfosi senza precedenti ha bisogno di un seguito. Ed è proprio dalle campagne che arrivano le soluzioni per un rinnovamento all’insegna del Freespace: dimore poetiche, produzione locale, pratiche culturali, turismo rurale, ricostruzione delle comunità, future esplorazioni.
“La motivazione di questa mostra – spiega Li Xiangning - oltrepassa la xiangchou, termine cinese che si riferisce alla nostalgia per i territori rurali. Torniamo ad esplorare la campagna dove è nata la cultura cinese, per riportare alla luce valori dimenticati e possibilità ignorate. Da lì costruiremo la campagna futura”.
6. Bahrain – Friday Sermon
Estetica raffinata e attenzione ai minimi dettagli caratterizzano il Padiglione del Barhain, che quest’anno ha entusiasmato molti osservatori. In una struttura sopraelevata di acciao e vetro smerigliato, il tema del FreeSpace si apre sui luoghi della khutbah, il sermone del venerdì, un rituale che ha origine nella tradizione pre-islamica della recita dei poemi epici e permea di sé la storia del mondo arabo.
Benché non sia propriamente un’occasione di dibattito, in molti contesti rappresenta dell’espressione più visibile del concetto di assemblea pubblica. “Che si configuri come un canale di propaganda e dominio o di emancipazione e liberazione – scrivono i curatori - che abbia connotazioni conservatrici o progressiste, la khutbah trova ascolto in milioni di fedeli. Khutbat Al-Jom’ah/ Friday Sermon ripercorre l’evoluzione e la struttura di questo rituale di predicazione e ascolto collettivo in alcune città del mondo”.
7. Argentina – Vértigo Horìzontal
Parte dagli sterminati orizzonti del Paese sudamericano l’invito a ripensare il territorio argentino come una costruzione collettiva dove l’architettura dialoga con il paesaggio.
Nel buio della sala, il cielo e i campi verdi delle pampas si incontrano all’interno di un enorme parallelepipedo di vetro scuro lungo 21 metri. Intorno, 40 disegni parlano di parchi pubblici, strutture a destinazione sociale e progetti partecipati concepiti a partire dal 1083, anno del ritorno del Paese alla democrazia.
“Progetti generosi”, commentano i curatori Javier Mendiondo, Pablo Anzilutti, Francisco Garrido e Federico Cairoli: “Sono stati scelti in virtù della loro dimensione primitiva, viscerale, come documenti capaci di trasmettere la forza del pensiero espresso con il tratto, dove la forza dell’idea prevale, dove ogni orpello scompare per liberare l’identità dell’idea”. Dall’interno della teca i disegni si intravedono in trasparenza, in corrispondenza della linea d’orizzonte, a simboleggiare sinergia e reciprocità tra architetture e paesaggio, in un territorio vasto e avvolgente in cui le opere dell’uomo sono letteralmente immerse.
8. Australia – Repair
Un allestimento immersivo e multisensoriale attende i visitatori del Padiglione Australia, che porta a Venezia le praterie della terra dei canguri. Curato da Baracco+Wright Architects e dall’artista Linda Tegg, è incentrato su un'architettura attiva per restituire condizioni migliori all’ambiente di cui fa parte.
Ce ne parla Grasslands Repair, un’installazione di ben 10 mila piante, che negli spazi espositivi della Biennale suggerisce l’idea di “un dialogo fisico tra l’architettura e la comunità delle specie in via d’estinzione”. Una pratica strategica quando si ha a che fare con un paesaggio come quello australiano, tra i più eterogenei ed ecologicamente sensibili del mondo.
A dar forza al messaggio c’è Skylight, “installazione luminosa a sostegno della vita”, mentre il video Ground presenta importanti testimonianze architettoniche di “riparazione civica, sociale, culturale, economica o ambientale”.
9. Brasile – Muros de Ar / Walls of Air
Se la Germania riflette sul concetto di barriera alla vigilia dei 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, i Muros del Padiglione Brasile sono spesso inafferrabili come l’aria: confini invisibili, che tuttavia strutturano in forme diverse la vita del Paese in conseguenza dei processi di urbanizzazione.
Dieci grandi mappe cartografiche, elaborate dal team curatoriale dopo uno scambio con professionisti e studiosi di vari settori, rendono immediatamente visibile la portata e la varietà di dispositivi di separazione sociale, economica, politica e culturale. Disegni e modelli di 17 progetti provenienti da 9 città brasiliane riflettono la possibilità di concepire l’architettura come mezzo per ripensare le barriere negli ambienti urbani.
10. Arcipelago Italia
È un’Italia silenziosa e spesso in disparte, quella che il curatore Mario Cucinella ha scelto di portare sotto i riflettori della Biennale. Le aree interne della Penisola, quel “Paese delle mille piccole città”, ricco di bellezze artistiche e naturali, eterogeneo per paesaggio, tradizioni, economia, che tuttavia uno storico come Fernand Braudel definirebbe un unico “spazio urbano nel Mediterraneo”.
Concepito come un viaggio nella preziosa varietà dello Stivale, l’allestimento spazia dalle Alpi al limite estremo degli Appennini, fino alle isole maggiori, alla ricerca di luoghi, esperienze, prospettive. Per approdare a cinque progetti sperimentali tagliati su misura di altrettante comunità: Gibellina in Sicilia, le Foreste Casentinesi tra Toscana ed Emilia-Romagna, Camerino nelle Marche, i centri collinari di Grassano e Ferrandina in Basilicata, Ottana in Sardegna, diventano laboratori per trovare soluzioni a problemi diffusi. L’architettura si fa “empatica” e rinnova la propria relazione con il territorio, diventando strumento di rinascita.
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