A Palazzo Grassi e Punta della Dogana dal 8 aprile al 16 dicembre 2018
Ritorno alla normalità per Monsieur Pinault
Albert Oehlen, Ohne Titel, Particolare, 2016 | Courtesy © Pinault Collection
Piero Muscarà
05/04/2018
Venezia - Doppia apertura a Venezia per la Pinault Collection che inaugura da Domenica 8 Aprile nelle sue ambasciate lagunari le mostra dell’artista tedesco Albert Oehlen Cows by the water a Palazzo Grassi e la collettiva Dancing with myself a Punta della Dogana. Le due mostre saranno aperte al pubblico sino al 16 dicembre 2018.
Certo la prima sensazione è di assenza.
Mancano i tesori meravigliosi di Damien Hirst e la colossalità di una mostra grandiosa, anche se un Hirst lo si riesce pur sempre a infilare, quasi nascosto in cima ad una scaletta a Punta della Dogana. Ma pare un pretesto o un omaggio al più.
Se Hirst lo scorso anno oscurò la Biennale di Christine Macel Viva Arte Viva presentando al grande pubblico un'importante operazione d’arte e un sofisticato gioco di comunicazione, difficilmente Grassi&Dogana potranno riproporre il senso di meraviglia destato nel pubblico e lasceranno volentieri il palcoscenico del 2018 alle grandi celebrazioni attese per i 500 anni di Tintoretto, che sarà al centro della scena da settembre a Palazzo Ducale e alle Gallerie dell’Accademia e in molti luoghi della città, e alla Biennale di Architettura che aprirà i battenti a fine Maggio prossimo.
Dicevamo della sensazione di assenza.
Ma probabilmente, anzi certamente, la volontà degli organizzatori è quella di un ritorno alla normalità e un riallacciare (a Palazzo Grassi) il percorso del lungo lavoro sulle monografie d’artista inaugurato nell’aprile del 2012 con Urs Fischer e proseguito con Rudolf Stiegel, Irvin Penn, Martyal Raysse e Sigmar Polke. E sì certo Damien Hirst. Mostre costruite sempre intorno al cuore della collezione del multimilionario imprenditore francese François Pinault ma arricchite da prestiti da collezioni private e musei internazionali.
La mostra del tedesco Oehlen è curata da Caroline Bourgeois e traccia un percorso ricco e completo dell’artista dagli anni ‘80 a oggi mettendo in scena la sua ricerca estetica e riuscendo quasi a tracciare una sorta di percorso lì dove nemmeno lo stesso Albert Oehlen oserebbe andare. Tratto distintivo, oltre al variare dello stile e della rappresentazione nel corso degli anni, la sequenza di “Ohne Titel” che si susseguono ripetitivamente negli anni e nelle stanze. Per il resto bei colori e dimensioni delle tele imponenti comme il faut data la dimensione degli spazi espositivi che offre Palazzo Grassi.
E infatti la curatrice deve tirar fuori dal cilindro il tema della musica come metafora del metodo di lavoro di Oehlen per dare un filo conduttore narrativo a questa Cows by the water e citare nel testo critico del catalogo la famosa storia di Thelonious Monk e del suo “I’ve made the wrong mistake”.
E quasi riesce a convincerci della potenza di un gesto artistico a cui manca un soffio per essere davvero spiritualmente apprezzabile e a cui va il merito di riuscire a non annoiare il pubblico nonostante il grande impegno profuso nel tentativo di understatement. Ci sono belle opere, soprattutto i collages, che da sole valgono il biglietto per Palazzo Grassi.
Albert Oehlen, Ohne Titel, 2009-2011, Olio, carta su tela, 270 x 210 cm, Collezione privata | © Albert Oehlen | Foto: Lothar Schnepf
Quanto a Punta della Dogana. Il tema è certo interessante. Quello dell’autorappresentazione dell’artista e infatti nel titolo si gioca sul “me, myself and I”. Le opere sono molte, alcune non del tutto adatte alla vastità degli spazi del grande edificio angolare che domina il Bacino San Marco, ma ce sono anche alcune molto belle come la scultura che accoglie all’ingresso di Urs Fischer dove l’artista mette in scena se stesso seduto ad un tavolo. L’opera - purtroppo ancora una volta Untitled - è del 2011 e viene dalla collezione del padrone di casa. Realizzata completamente in cera di paraffina pare eternamente destinata a sciogliersi, come una candela al vento, predisponendo nativamente la trasformazione delle proprie forme da figurative a casualmente astratte e mettendo in scena la fine dell’artista stesso - come scrive il testo critico - in ultima forma di “vanitas”.
Urs Fisher, Untitled, 2011 | Courtesy © Pinault Collection
E ce ne sono molti altri di artisti naturalmente. La mostra nasce dall’idea di far dialogare la collezione Pinault con opere selezionate dalla collezione del Museo Folkwang di Essen ed è curata da Martin Bethenod (ovvero il direttore di Palazzo Grassi / Punta della Dogana) e da Florian Ebner, che dopo 4 anni a Essen è oggi a capo della sezione fotografica del Centre Pompidou di Parigi.
In tutto 140 opere di 32 artisti tra i quali spiccano i nomi di Rudolf Stingel, del duo inglese Gilbert & George, Alighiero Boetti, Robert Fischer e Maurizio Cattelan per citare i più noti.
Hirst, come dicevamo, è alla fine del percorso in cima alla scaletta caso mai vi venisse il desiderio di affacciarvi di lassù per godere del bel panorama di un’altra Venezia che fu. Il soggetto selezionato è ovviamente Il Collezionista nella versione più délabré del bel torso, quella in verde bronzo incrostato di coralli.
Certo la prima sensazione è di assenza.
Mancano i tesori meravigliosi di Damien Hirst e la colossalità di una mostra grandiosa, anche se un Hirst lo si riesce pur sempre a infilare, quasi nascosto in cima ad una scaletta a Punta della Dogana. Ma pare un pretesto o un omaggio al più.
Se Hirst lo scorso anno oscurò la Biennale di Christine Macel Viva Arte Viva presentando al grande pubblico un'importante operazione d’arte e un sofisticato gioco di comunicazione, difficilmente Grassi&Dogana potranno riproporre il senso di meraviglia destato nel pubblico e lasceranno volentieri il palcoscenico del 2018 alle grandi celebrazioni attese per i 500 anni di Tintoretto, che sarà al centro della scena da settembre a Palazzo Ducale e alle Gallerie dell’Accademia e in molti luoghi della città, e alla Biennale di Architettura che aprirà i battenti a fine Maggio prossimo.
Dicevamo della sensazione di assenza.
Ma probabilmente, anzi certamente, la volontà degli organizzatori è quella di un ritorno alla normalità e un riallacciare (a Palazzo Grassi) il percorso del lungo lavoro sulle monografie d’artista inaugurato nell’aprile del 2012 con Urs Fischer e proseguito con Rudolf Stiegel, Irvin Penn, Martyal Raysse e Sigmar Polke. E sì certo Damien Hirst. Mostre costruite sempre intorno al cuore della collezione del multimilionario imprenditore francese François Pinault ma arricchite da prestiti da collezioni private e musei internazionali.
La mostra del tedesco Oehlen è curata da Caroline Bourgeois e traccia un percorso ricco e completo dell’artista dagli anni ‘80 a oggi mettendo in scena la sua ricerca estetica e riuscendo quasi a tracciare una sorta di percorso lì dove nemmeno lo stesso Albert Oehlen oserebbe andare. Tratto distintivo, oltre al variare dello stile e della rappresentazione nel corso degli anni, la sequenza di “Ohne Titel” che si susseguono ripetitivamente negli anni e nelle stanze. Per il resto bei colori e dimensioni delle tele imponenti comme il faut data la dimensione degli spazi espositivi che offre Palazzo Grassi.
E infatti la curatrice deve tirar fuori dal cilindro il tema della musica come metafora del metodo di lavoro di Oehlen per dare un filo conduttore narrativo a questa Cows by the water e citare nel testo critico del catalogo la famosa storia di Thelonious Monk e del suo “I’ve made the wrong mistake”.
E quasi riesce a convincerci della potenza di un gesto artistico a cui manca un soffio per essere davvero spiritualmente apprezzabile e a cui va il merito di riuscire a non annoiare il pubblico nonostante il grande impegno profuso nel tentativo di understatement. Ci sono belle opere, soprattutto i collages, che da sole valgono il biglietto per Palazzo Grassi.
Albert Oehlen, Ohne Titel, 2009-2011, Olio, carta su tela, 270 x 210 cm, Collezione privata | © Albert Oehlen | Foto: Lothar Schnepf
Quanto a Punta della Dogana. Il tema è certo interessante. Quello dell’autorappresentazione dell’artista e infatti nel titolo si gioca sul “me, myself and I”. Le opere sono molte, alcune non del tutto adatte alla vastità degli spazi del grande edificio angolare che domina il Bacino San Marco, ma ce sono anche alcune molto belle come la scultura che accoglie all’ingresso di Urs Fischer dove l’artista mette in scena se stesso seduto ad un tavolo. L’opera - purtroppo ancora una volta Untitled - è del 2011 e viene dalla collezione del padrone di casa. Realizzata completamente in cera di paraffina pare eternamente destinata a sciogliersi, come una candela al vento, predisponendo nativamente la trasformazione delle proprie forme da figurative a casualmente astratte e mettendo in scena la fine dell’artista stesso - come scrive il testo critico - in ultima forma di “vanitas”.
Urs Fisher, Untitled, 2011 | Courtesy © Pinault Collection
E ce ne sono molti altri di artisti naturalmente. La mostra nasce dall’idea di far dialogare la collezione Pinault con opere selezionate dalla collezione del Museo Folkwang di Essen ed è curata da Martin Bethenod (ovvero il direttore di Palazzo Grassi / Punta della Dogana) e da Florian Ebner, che dopo 4 anni a Essen è oggi a capo della sezione fotografica del Centre Pompidou di Parigi.
In tutto 140 opere di 32 artisti tra i quali spiccano i nomi di Rudolf Stingel, del duo inglese Gilbert & George, Alighiero Boetti, Robert Fischer e Maurizio Cattelan per citare i più noti.
Hirst, come dicevamo, è alla fine del percorso in cima alla scaletta caso mai vi venisse il desiderio di affacciarvi di lassù per godere del bel panorama di un’altra Venezia che fu. Il soggetto selezionato è ovviamente Il Collezionista nella versione più délabré del bel torso, quella in verde bronzo incrostato di coralli.
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