Sculture veronesi del '300: tra restauro e valorizzazione
Veronella, Redentore benedicente
04/04/2012
Verona - Apre oggi, 4 aprile, a Verona la mostra "Sculture veronesi del Trecento. Restauri" con la quale si intende presentare ad un più ampio pubblico alcune selezionate testimonianze afferenti al significativo e peculiare capitolo della scultura veronese del Trecento, interessate, in questi ultimi anni, da interventi di manutenzione, restauro e valorizzazione.
Le opere esposte risultano per lo più poco note, in quanto conservate e dislocate in sedi di difficile accesso o in luoghi decentrati e poco frequentati. L’intento dell'esposizione è quello di valorizzare alcuni testi della scultura veronese e di incentivare una riflessione sulle problematiche scelte metodologiche adottate nel corso dei restauri, nel rispetto del valore storico rappresentato dalla policromia, sia originaria che storicizzata dai vari interventi di manutenzioni e di ridipinture.
La temperie culturale da cui scaturisce la produzione plastica trecentesca presentata coincide con l’affermarsi in Verona della Signoria scaligera e degli Ordini mendicanti. E’ la Verona di Cangrande della Scala e di Dante che sta sullo sfondo della fioritura di botteghe di scultori e lapicidi da cui emerge la singolare, vigorosa personalità artistica del cosiddetto Maestro di Santa Anastasia, identificato da Mellini in Rigino di Enrico. Il carattere altamente “espressionistico” e ricco di “pathos” delle sue creazioni si coglie in mostra con immediatezza nella Crocifissione di Cellore, ricomposta con il gruppo dello Svenimento della Vergine, prestato dal Museo di Castelvecchio. Il mondo medievale delle “ sacre rappresentazioni” pare riflettersi nel potente realismo del Maestro di Santa Anastasia, nella coralità dei gruppi delle Crocifissioni (al Museo di Castelvecchio è ospitata quella proveniente dalla chiesa di San Giacomo di Tomba) e dei Compianti (Caprino Veronese e chiesa di San Fermo).
In mostra il dramma si stempera in accenti di più pacato lirismo nelle sue due prove giovanili di Veronella e di Riva del Garda. Di altri coevi scultori, attivi nella prima metà del secolo, si possono apprezzare alcune Madonne che offrono emblematiche versioni stilistiche, nella singolare rivisitazione di pregressi stilemi romanici. La chiesa di San Pietro in Monastero della Fondazione Cariverona, sede della mostra, ospita la pregevole effigie della Vergine con il Bambino, che pare un sintomatico esempio dell’incipiente aggiornamento sui moduli del gotico; l’affermarsi della nuova sensibilità si coglie nella ieratica figura del vescovo Donato, riferibile alla mano di Giovanni di Rigino, scultore attestato da opere autografe, come la Madonna del Fiore di Montorio, firmata e datata 1389, al quale generalmente è stata ricondotta la produzione plastica veronese della seconda metà del secolo. Alla forza trasfusa nella pietra dal Maestro di Santa Anastasia subentra una trattazione più blanda ed elegante delle volumetrie e delle superfici, che si traduce nell’assottigliamento di forme slanciate enfatizzate da piatti e spezzati panneggi.
Le opere esposte risultano per lo più poco note, in quanto conservate e dislocate in sedi di difficile accesso o in luoghi decentrati e poco frequentati. L’intento dell'esposizione è quello di valorizzare alcuni testi della scultura veronese e di incentivare una riflessione sulle problematiche scelte metodologiche adottate nel corso dei restauri, nel rispetto del valore storico rappresentato dalla policromia, sia originaria che storicizzata dai vari interventi di manutenzioni e di ridipinture.
La temperie culturale da cui scaturisce la produzione plastica trecentesca presentata coincide con l’affermarsi in Verona della Signoria scaligera e degli Ordini mendicanti. E’ la Verona di Cangrande della Scala e di Dante che sta sullo sfondo della fioritura di botteghe di scultori e lapicidi da cui emerge la singolare, vigorosa personalità artistica del cosiddetto Maestro di Santa Anastasia, identificato da Mellini in Rigino di Enrico. Il carattere altamente “espressionistico” e ricco di “pathos” delle sue creazioni si coglie in mostra con immediatezza nella Crocifissione di Cellore, ricomposta con il gruppo dello Svenimento della Vergine, prestato dal Museo di Castelvecchio. Il mondo medievale delle “ sacre rappresentazioni” pare riflettersi nel potente realismo del Maestro di Santa Anastasia, nella coralità dei gruppi delle Crocifissioni (al Museo di Castelvecchio è ospitata quella proveniente dalla chiesa di San Giacomo di Tomba) e dei Compianti (Caprino Veronese e chiesa di San Fermo).
In mostra il dramma si stempera in accenti di più pacato lirismo nelle sue due prove giovanili di Veronella e di Riva del Garda. Di altri coevi scultori, attivi nella prima metà del secolo, si possono apprezzare alcune Madonne che offrono emblematiche versioni stilistiche, nella singolare rivisitazione di pregressi stilemi romanici. La chiesa di San Pietro in Monastero della Fondazione Cariverona, sede della mostra, ospita la pregevole effigie della Vergine con il Bambino, che pare un sintomatico esempio dell’incipiente aggiornamento sui moduli del gotico; l’affermarsi della nuova sensibilità si coglie nella ieratica figura del vescovo Donato, riferibile alla mano di Giovanni di Rigino, scultore attestato da opere autografe, come la Madonna del Fiore di Montorio, firmata e datata 1389, al quale generalmente è stata ricondotta la produzione plastica veronese della seconda metà del secolo. Alla forza trasfusa nella pietra dal Maestro di Santa Anastasia subentra una trattazione più blanda ed elegante delle volumetrie e delle superfici, che si traduce nell’assottigliamento di forme slanciate enfatizzate da piatti e spezzati panneggi.
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