Percorsi sotterranei
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subterranea 7
14/09/2001
Per rendere omaggio all’intrepido santo, Papa Clemente VII ha battezzato Pozzo di S. Patrizio la monumentale opera del Sangallo, intrapresa per approvvigionare d’acqua una città inespugnabile ma priva di sorgenti.
E una delle singolarità di Orvieto, di cui Brandi, storico d’arte e viaggiatore attento, scrisse: “issata sulla sua scogliera terrestre, Orvieto non guarda mai sotto di sé, quasi avesse paura di un capogiro”: una città verticale, dunque, costruita sopra una piattaforma di tufo e pozzolana, simile da lontano all’indiana Jaisalmer, che allo slancio verso l’alto, ai pinnacoli delle torri e delle guglie del Duomo oppone una città sotto la città. Una realtà ombrosa e umida, in gran parte inesplorata ma ricca di storia, di storie.
Niente misteri, né cunicoli, nemmeno case-grotta come a Matmata, né passaggi segreti (anche se durante il secondo conflitto mondiale si pensò di utilizzare alcune cavità come rifugio). La gran parte degli ambienti sotterranei è il risultato di iniziative indipendenti e temporanee, intraprese quasi sempre da privati. Eppure sotto i palazzi e le chiese di Orvieto ci sono più di mille zone vuote e ciò costituisce un cuscinetto anti-terremoto perché le onde telluriche si infrangono sulle superfici irregolari, come nelle sale insonorizzate.
Orvieto scavava sotto se stessa per tanti motivi: come in molte altre realtà italiane l’estrazione di materiale da costruzione è sempre stata una delle principali attività di “svuotamento”. Una delle cave estrattive più estese è quella denominata “Fungaia”.
E poi la creazione di silos ipogei, con scale per gli uomini e rampe per i vasi e le botti, utilizzati per la conservazione delle derrate alimentari, in particolare il vino (Orvieto era anche nota col nome, di matrice greca, di Oinarea: dove scorre il vino). In alcuni ambienti si produceva olio (alcune macine di frantoi sono state ritrovate sotto all’ex-ospedale della città) e si lavoravano ferri e ceramiche in fornaci sotterranee.
Infine i pozzi: oltre ai sessanta metri del S. Patrizio, il pozzo della Cava è uno dei più impressionanti. Un cilindro di due metri di diametro che scende per ventisette metri sotto terra. Subito prima di raggiungere l’acqua si apre un cunicolo laterale la cui origine è ancora ignota. Così come non si sa se siano vere le leggende che parlano di morti e suicidi in fondo ai pozzi e di sacrifici con tanto di offerte votive.
Le aree della cavità 6, che si affacciano sullo strapiombo della rupe, hanno le pareti completamente lavorate in centinaia di nicchie 30x30x30. Non sono, come per molto tempo si è creduto, alloggiamenti di urne cinerarie etrusche (quando Orvieto si chiamava Velzna), ma nidi per tortore e piccioni, preziosa risorsa alimentare che non richiede foraggio. Le tracce di intonaco sulle pareti (per pulire meglio gli ambienti dal prezioso guano) insieme ai resti di vasche e la strategica esposizione a sud non lasciano dubbi sull’uso di queste stanze come colombari. Tra i numerosi esempi simili merita menzione la cava di Pomponio Hylas a Porta Latina, Roma.
Nel medioevo e nel Rinascimento la spazzatura era molto meno abbondante di oggi. Se aggiungiamo alla mancanza di un sistema organizzato per raccoglierla e smaltirla il fatto che ancora non era stata ideata la funicolare per collegare la città alta con la piana sottostante si capisce che i rifiuti andavano eliminati in casa. Ecco allora i butti, vere e proprie cavità di scarico organico e inorganico. Strati di cocci e frammenti di utensili di grande interesse che il museo civico di Orvieto cerca di sistemare e preservare.
La trentennale storia dell’esplorazione sistematica delle grotte di Orvieto la si deve alle iniziative di appassionati speleologi del posto. Ora i fondi, peraltro abbastanza munifici negli anni ’90, sono sufficienti per mantenere lo stato attuale delle cavità conosciute ma non per proseguire le incursioni sotterranee.
Il Comune ha affidato alla Speleotecnica (tel. 0763 344891 – speleotecnica@libero.it) l’organizzazione di tour con esperti competenti ed entusiasti a fare da guida in un labirinto che vale davvero la pena esplorare.
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