Giorgio De Chirico e Lisa Sotilis. Il sogno metafisico

Giorgio De Chirico e Lisa Sotilis. Il sogno metafisico, Centro Culturale Caradium, Carrè (VI)

 

Dal 25 Aprile 2014 al 11 Maggio 2014

Carrè | Vicenza

Luogo: Centro Culturale Caradium

Indirizzo: via Monte Ortigara

Orari: ven 16-19; sab, dom e festivi 10-12 e 15-19.30

Curatori: Floriano De Santi

Enti promotori:

  • Comune di Carrè - Assessorato alla Cultura
  • Regione Veneto

Costo del biglietto: € 5

E-Mail info: info@mveventi.com

Sito ufficiale: http://www.mveventi.com


“Lo spazio plastico di De Chirico non è una costruzione prospettica, ma la rottura, il crollo di ogni schema tradizionale; la rottura dello schema architettonico. Non si tratta più di provocare la sorpresa dalla rottura della consuetudine e di mettere in moto o in stasi il meccanismo dell'immaginazione, ma di suscitare un'emozione e di prolungarla nel tempo, di darle un percorso in cui tutti i fatti sognati, gli aspetti del passato, del presente e del futuro vengono toccati e riaccesi”. (Lisa Sotilis) 
Giorgio De Chirico sarà protagonista, assieme a Lisa Sotilis, della mostra “Il sogno metafisico”, dal 25 aprile all’11 maggio 2014 presso il Centro Culturale Caradium di Carrè (Vi). 
Organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Carrè in collaborazione con MV Eventi e curata dal professor Floriano De Santi, la mostra vuole essere spunto per indagare le tematiche principali del grande genio della Metafisica in un excursus di oltre 30 opere su carta e sculture. “Ospitare alcune preziose opere di Giorgio De Chirico e di Lisa Sotilis al Centro Culturale Caradium di Carrè” afferma l’Assessore alla Cultura Giovanni Colasante “é la dimostrazione di come si possano far giungere in periferia eventi di grande valore artistico. 
Inaugurato dall'attuale Amministrazione all'inizio del presente mandato, il Caradium ha ospitato mostre internazionali di fotografia, storiche, di pittura, opere teatrali su scottanti temi sociali, affermandosi come soggetto culturale di spicco nel panorama dell'Alto Vicentino. Abbiamo sempre creduto nel valore dell'arte come strumento in grado di aprire la mente, di insegnare a vedere “oltre”, di stimolare la fantasia, di aiutare la comprensione reciproca e di appianare i conflitti, oltre che di sollevarci dalle pene quotidiane e regalarci una vera serenità interiore. 
E De Chirico che con la propria visione mistica del mondo trasmette significati immediati al visitatore, è l'interprete ideale di questo bisogno che alberga in ciascuno di noi”. Figlio di un ingegnere ferroviario, De Chirico visse dapprima ad Atene, dove studiò al locale Politecnico, poi, nel 1905, si trasferì con la madre e col fratello Andrea (Alberto Savinio) a Monaco di Baviera. L'arte di A. Böcklin e la filosofia di Nietzsche lo impressionarono profondamente. Cominciò a dipingere quadri allegorici e nel 1910 compì un viaggio a Firenze. 
Dipinse allora l'Enigma dell'oracolo e l'Enigma d'un pomeriggio d'autunno, le prime opere in cui si rivelano le possibilità simboliche del sogno, in cui oggetti reali si trovano in relazioni innaturali e insolite, calate entro un'atmosfera sospesa. Dal 1911 al 1915 fu a Parigi, dove frequentò G. Apollinaire, M. Jacob, P. Picasso. Rivelatore e chiarificatore fu soprattutto l'incontro con G. Apollinaire. 
Tornato in Italia (servizio militare durante la guerra) è stato, con Carlo Carrà, l'iniziatore della pittura "metafisica", rivolta a creare suggestioni fantastiche con l'accostamento di oggetti disparati e specialmente di statue antiche in uno spazio costruito secondo le regole della prospettiva quattrocentesca, ma acceso da colori di timbro decisamente moderno, con associazioni stupefacenti non soltanto di sensi e di idee, ma anche di storia e di tempo. Sin dalle prime terracotte e dalle ceramiche policrome del 1938-40 de Chirico dimostra come il classicismo non sia per lui una determinata concezione del mondo, ma un atteggiamento umano che è perfettamente legittimo valutare sotto l’aspetto morale, come fu valutato nel periodo del grande classicismo francese dal Poussin. 
Il desiderio di bello che al pensiero classico è strettamente connesso, ma che cessa di essere un bello naturale per diventare un bello spirituale, sopravvive così all’idea di spazio e di natura, e si collega ad ogni forma, e non già in quanto finge e rappresenta, ma in quanto è e significa. Se la pittura, il disegno, la stampa d’arte di de Chirico escogitano tutti i mezzi per abbreviare il processo della fattura, per raggiungere la durata minima, la sua scultura, non sembra affatto assillata dalla stessa premura. Quasi tutte le opere tridimensionali dechirichiane sono di bronzo, e il processo di trasposizione da una materia all’altra richiede parecchie fasi successive: anche quando la forma si attua come trasposizione diretta della “cosa”, quella cosa è costretta ad eternarsi nel bronzo. 
Del resto, uno dei temi dominanti de Il grande Archeologo del 1970 è proprio l’antagonismo di forma e di spazio. Si può dire che la forma nasce dalla distinzione dello spazio, raggiunge la propria pienezza quando ha fatto intorno a sé il vuoto, quando cessa di reagire alla luce e all’atmosfera, al vicino e al lontano, e determina da sé, con il ritmo sicuro dei volumi e dei piani, le proprie condizioni prospettiche. 
“Nell’opera pittorica e scultorea di Giorgio de Chirico e di Lisa Sotilis” afferma Floriano De Santi “è facile dedurre come l’itinerario di una ricerca che ha per tema il mito, che anzi s’identifica con il mythos, più si avvicina a noi nel tempo più allontana il fuoco del suo obbiettivo. Si configura cioè come una prospettiva rovesciata le cui linee di convergenza si dirigono verso il riguardante e trovano il punto focale di congiunzione alle spalle del piano di intersezione della nostra coscienza oltrepassandone la lucida superficie riflettente. È una prospettiva che si allontana progressivamente dai Campi Elisi del mito dai quali era partita per addentrarsi fra la nebbia del noumeno e dell’inespresso, verso l’origine delle cose, in quello che Goethe nella Pandora aveva chiamato “l’oscuro regno della possibilità mescolatrice delle forme”. 
È una prospettiva che indica la continuità di una linea, la persistenza d’un rapporto – certo sempre più precario ed insidiato, ma forse più aperto a sollecitazioni – con i grandi archetipi mitici che si rivelano ora spogli del loro aspetto simbolico, “culturale”, che appaiono come qualcosa che insorge e si subisce nella sua barbarica imminenza”.

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