Anatomie dell'effimero. Sette visioni di transitorietà
Dal 21 Settembre 2013 al 30 Novembre 2013
Bagnacavallo | Ravenna
Luogo: Convento di San Francesco
Indirizzo: via Cadorna 8
Orari: tutti i giorni 15-18.30; sabato e domenica anche 10-12
Curatori: Diego Galizzi
Enti promotori:
- Ministero per i beni e le attività culturali
- Istituto Nazionale per la Grafica
- Regione Emilia-Romagna
- Provincia di Ravenna
- Sistema museale della Provincia di Ravenna
- Unione dei Comuni della Bassa Romagna
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0545 280913/ 348 8812153
E-Mail info: gabinettostampe@comune.bagnacavallo.ra.it
Sito ufficiale: http://www.comune.bagnacavallo.ra.it
All'inaugurazione saranno presenti il sindaco Laura Rossi, un rappresentante della Provincia di Ravenna e il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna Lanfranco Gualtieri, assieme al curatore Diego Galizzi.
Il filo conduttore della mostra, allestita nelle suggestive sale al primo piano del convento di San Francesco, è una riflessione sull'evanescenza delle cose terrene e, di conseguenza, sulla precarietà dell'esistenza umana. Una riflessione che nasconde in sé un ossimoro: come incidere, fissandolo, l'effimero. A interpretare questo viaggio dentro la dimensione della transitorietà saranno sette artisti, alcuni giovani altri già affermati: Laura Bisotti, Elisabetta Diamanti, Erico Kito, Elena Molena, Lanfranco Quadrio, Nicola Samorì e Giorgia Severi, in un percorso espositivo che conta più di ottanta opere.
«Una mostra dedicata al tema dell'effimero si inserisce in un filone lunghissimo, e numerosi sono stati gli ingegni che si sono misurati su questo terreno – commenta il curatore Diego Galizzi nel saggio introduttivo alla mostra. – La vanitas, ovvero il messaggio di precarietà e fragilità delle cose terrene, e dunque anche dell’uomo, si è codificato in un vero e proprio topos della storia dell'arte solo verso l'inizio del Seicento. Questo era un genere di pittura normalmente caratterizzato dalla presenza di oggetti allusivi alla caducità umana, come il teschio, la candela, le bolle di sapone o gli strumenti per la misurazione del tempo.
Ma consegnare oggi al linguaggio del contemporaneo una riflessione sull'evanescenza delle cose significa andare ben oltre il concetto della vanitas così come siamo abituati a vederlo enunciato dagli artisti del passato. Innanzitutto perché oggi i caratteri della precarietà sono presenti in tutti gli aspetti della società. In un mondo in cui tutto scappa e nulla resta, parlare di transitorietà non implica necessariamente evocare la morte. Spesso, anzi, è sufficiente sintonizzarsi su questa perenne situazione di instabilità, tipica della società dell'effimero, per sollevare nell'artista un senso di inquietudine e di sudditanza al tempo frammentato della quotidianità.»
Sin dagli spettacolari apparati effimeri delle feste e dei trionfi rinascimentali, l'incontro tra arte e effimero è sempre stato caratterizzato dall'ibridazione delle tecniche artistiche. Insomma, l'effimero è sin da allora il luogo ideale per l'esperimento. Per questo la mostra Anatomie dell'effimero accoglie nel suo percorso espositivo alcuni lavori che contemplano anche “variazioni sul tema” dell'incisione tradizionalmente intesa, la quale, senz'altro, rimane il filo conduttore preponderante. Ecco allora che accanto ai bulini di Lanfranco Quadrio, così strettamente legati ai modi dei grandi bulinisti rinascimentali, o alle acqueforti scabre e potenti di Nicola Samorì, fanno la loro comparsa le flebili impronte di gramigna su carta di Giorgia Severi, immagini di grande suggestione e particolarmente efficaci nell'esprimere l'evanescenza dell'essere, ma che tecnicamente esulano dal procedimento incisorio.
Altre volte l'incisione viene utilizzata per realizzare parti di installazioni più ampie e articolate, dove la caratteristica del multiplo, tipica del metodo incisorio tradizionale, viene sostanzialmente ad annullarsi in una composizione che, nella sua interezza, non può che configurarsi come pezzo unico. Si vedano ad esempio i lavori di Laura Bisotti, che propone vibranti visioni di fugaci fiammate della memoria giocando sulla riproposizione seriale di tessere lavorate ora all'acquatinta, ora all'acquaforte, oppure fatte di frammenti di fotografie o di parole dattiloscritte.
Ad esiti scenograficamente simili, puntando cioè sull'assemblaggio degli elementi, è giunta anche Elena Molena, un'artista rigorosa nelle sue realizzazioni incisorie, ma che col suo Tappeto urbano ha voluto affidare al mantra della ripetizione e al sottile gioco della componibilità/decomponibilità il senso più compiuto dello spaesamento e della perdita d'identità tipici di molti paesaggi urbani postindustriali. Lo stesso valga per l'inaspettato squarcio nella carta che segna drammaticamente il Giardino anatomico II di Samorì: sotto le mentite spoglie di un accadimento esterno che turba l'unitarietà dell'immagine a stampa, vi è in realtà il messaggio angoscioso di una forma di vita che, in quanto terrena, per quanto pulsante, è destinata a rapida disgregazione.
La mostra, realizzata con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, fa parte del programma Ravenna 2019, prove tecniche, e gode del patrocinio di Ministero per i beni e le attività culturali, Istituto Nazionale per la Grafica, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna, Sistema museale della Provincia di Ravenna e Unione dei Comuni della Bassa Romagna.
Il filo conduttore della mostra, allestita nelle suggestive sale al primo piano del convento di San Francesco, è una riflessione sull'evanescenza delle cose terrene e, di conseguenza, sulla precarietà dell'esistenza umana. Una riflessione che nasconde in sé un ossimoro: come incidere, fissandolo, l'effimero. A interpretare questo viaggio dentro la dimensione della transitorietà saranno sette artisti, alcuni giovani altri già affermati: Laura Bisotti, Elisabetta Diamanti, Erico Kito, Elena Molena, Lanfranco Quadrio, Nicola Samorì e Giorgia Severi, in un percorso espositivo che conta più di ottanta opere.
«Una mostra dedicata al tema dell'effimero si inserisce in un filone lunghissimo, e numerosi sono stati gli ingegni che si sono misurati su questo terreno – commenta il curatore Diego Galizzi nel saggio introduttivo alla mostra. – La vanitas, ovvero il messaggio di precarietà e fragilità delle cose terrene, e dunque anche dell’uomo, si è codificato in un vero e proprio topos della storia dell'arte solo verso l'inizio del Seicento. Questo era un genere di pittura normalmente caratterizzato dalla presenza di oggetti allusivi alla caducità umana, come il teschio, la candela, le bolle di sapone o gli strumenti per la misurazione del tempo.
Ma consegnare oggi al linguaggio del contemporaneo una riflessione sull'evanescenza delle cose significa andare ben oltre il concetto della vanitas così come siamo abituati a vederlo enunciato dagli artisti del passato. Innanzitutto perché oggi i caratteri della precarietà sono presenti in tutti gli aspetti della società. In un mondo in cui tutto scappa e nulla resta, parlare di transitorietà non implica necessariamente evocare la morte. Spesso, anzi, è sufficiente sintonizzarsi su questa perenne situazione di instabilità, tipica della società dell'effimero, per sollevare nell'artista un senso di inquietudine e di sudditanza al tempo frammentato della quotidianità.»
Sin dagli spettacolari apparati effimeri delle feste e dei trionfi rinascimentali, l'incontro tra arte e effimero è sempre stato caratterizzato dall'ibridazione delle tecniche artistiche. Insomma, l'effimero è sin da allora il luogo ideale per l'esperimento. Per questo la mostra Anatomie dell'effimero accoglie nel suo percorso espositivo alcuni lavori che contemplano anche “variazioni sul tema” dell'incisione tradizionalmente intesa, la quale, senz'altro, rimane il filo conduttore preponderante. Ecco allora che accanto ai bulini di Lanfranco Quadrio, così strettamente legati ai modi dei grandi bulinisti rinascimentali, o alle acqueforti scabre e potenti di Nicola Samorì, fanno la loro comparsa le flebili impronte di gramigna su carta di Giorgia Severi, immagini di grande suggestione e particolarmente efficaci nell'esprimere l'evanescenza dell'essere, ma che tecnicamente esulano dal procedimento incisorio.
Altre volte l'incisione viene utilizzata per realizzare parti di installazioni più ampie e articolate, dove la caratteristica del multiplo, tipica del metodo incisorio tradizionale, viene sostanzialmente ad annullarsi in una composizione che, nella sua interezza, non può che configurarsi come pezzo unico. Si vedano ad esempio i lavori di Laura Bisotti, che propone vibranti visioni di fugaci fiammate della memoria giocando sulla riproposizione seriale di tessere lavorate ora all'acquatinta, ora all'acquaforte, oppure fatte di frammenti di fotografie o di parole dattiloscritte.
Ad esiti scenograficamente simili, puntando cioè sull'assemblaggio degli elementi, è giunta anche Elena Molena, un'artista rigorosa nelle sue realizzazioni incisorie, ma che col suo Tappeto urbano ha voluto affidare al mantra della ripetizione e al sottile gioco della componibilità/decomponibilità il senso più compiuto dello spaesamento e della perdita d'identità tipici di molti paesaggi urbani postindustriali. Lo stesso valga per l'inaspettato squarcio nella carta che segna drammaticamente il Giardino anatomico II di Samorì: sotto le mentite spoglie di un accadimento esterno che turba l'unitarietà dell'immagine a stampa, vi è in realtà il messaggio angoscioso di una forma di vita che, in quanto terrena, per quanto pulsante, è destinata a rapida disgregazione.
La mostra, realizzata con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, fa parte del programma Ravenna 2019, prove tecniche, e gode del patrocinio di Ministero per i beni e le attività culturali, Istituto Nazionale per la Grafica, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna, Sistema museale della Provincia di Ravenna e Unione dei Comuni della Bassa Romagna.
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