Al Museo del Cenacolo fino all’8 dicembre
L’Ultima Cena per immagini: l’opera di Leonardo attraverso il tempo
Particolare dell’Ultima Cena durante la ripresa del film “Il Cenacolo” di Luigi Rognoni, dedicato al restauro di Mauro Pellicioli (1953). Archivio Fotografico Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Milano
Francesca Grego
29/05/2019
Milano - Ne ha viste di storie in 521 anni il Cenacolo di Leonardo da Vinci. Oggi si racconta attraverso la fotografia, il cinema e il documentario, in una mostra che ne abbraccia le vicende lungo più di un secolo.
Su iniziativa del Museo Nazionale del Cenacolo Vinciano, del Polo Museale della Lombardia e della Fondazione Cineteca, L’Ultima Cena per immagini ripercorre l’appassionante avventura del capolavoro leonardiano dalla fine dell’Ottocento ai nostri giorni, rispolverando pagine in parte dimenticate.
Come il bombardamento aereo dell’agosto 1943, quando un ordigno esploso al centro del Chiostro dei Morti polverizzò il portico, le celle e la biblioteca, tirando giù tutta la volta e una parete del Refettorio di Santa Maria delle Grazie e arrivando a danneggiare le lunette proprio sopra l’Ultima Cena. Nelle immagini del Museo del Cenacolo rivediamo l’opera protetta da sacchi di sabbia, le impalcature erette per prevenire il crollo della parete, il cortile ridotto a una sconvolgente spianata di macerie.
L’itinerario espositivo si snoda nei diversi ambienti del museo a pochi passi dall’opera originale, per espandersi fino al giardino. Dopo la furia distruttiva delle bombe, spazio al racconto dei restauri, imprescindibili per un’opera tanto delicata. Quello del maestro Mauro Pellicioli, che rimediò ai danni del conflitto, ma anche quelli di inizio Novecento, firmati da Luigi Cavenaghi e Oreste Silvestri. Per arrivare all’intervento ventennale di Pinin Brambilla Barcilon (1977-1999), cui dobbiamo l’aspetto attuale del dipinto. Al suo lavoro è dedicata l’opera Madame Pinin dei video artisti Masbedo, esposta per i 500 anni dalla morte del maestro al Refettorio delle Stelline, all’interno della mostra L’Ultima Cena dopo Leonardo.
A confronto con il Cenacolo, il restauro della Cappella Sistina “era stato semplice come lavare un vetro” dichiarò la restauratrice lombarda al New York Times tre anni prima di concludere l’intervento.
Invitare Leonardo a dipingere una parete, in effetti, era stato un bel rischio. Il genio non amava la tecnica dell’affresco e passò gran parte della vita a elaborare alternative tanto ingegnose quanto aleatorie. Per questo capolavori come la Battaglia d’Anghiari rimasero incompiuti o sparirono come inghiottiti dal tempo.
“L’Ultima Cena è secondo me l’opera più oscura al mondo”, ebbe a dire Madame Pinin nel 2015 in occasione dell’uscita del libro cui, ormai novantenne, affidava la sua straordinaria esperienza: Leonardo “ha avuto la straordinaria capacità di ritrarre la natura dell’uomo, ma ha usato una tecnica destinata a scomparire e ciò ha reso ancora più misterioso il suo lavoro”.
Qui entra in gioco il ruolo del restauro, destinato a entrare, di volta in volta, quasi nel DNA dell’opera. Come vediamo bene nell’allestimento al Museo del Cenacolo, ciascun intervento è legato a una precisa fase storica, definita dai progressi della tecnica ma anche da idee sempre diverse sull’arte e sulla conservazione. L’approccio di Pinin Brambilla si basava sulla prevenzione e sul controllo ambientale, da cui discendono le regole ferree che oggi definiscono la fruizione dell’opera.
Ma quando e perché il refettorio di un convento si trasformò in monumento e poi in museo? L’Ultima Cena per immagini spiega anche questo, facendo luce su una vicenda tutt’altro che lineare.
Realizzata in collaborazione con Gallerie d’Italia, Università degli Studi di Milano e i Padri Domenicani della Basilica di Santa Maria delle Grazie, la mostra ha il sostegno di Intesa Sanpaolo ed Epson, che ha digitalizzato le migliaia di foto d’epoca provenienti dagli archivi delle soprintendenze interessate.
A cura di Michela Palazzo, L’Ultima Cena per immagini. La fotografia racconta la storia del Novecento sarà visitabile al Museo del Cenacolo fino al prossimo 8 dicembre .
Su iniziativa del Museo Nazionale del Cenacolo Vinciano, del Polo Museale della Lombardia e della Fondazione Cineteca, L’Ultima Cena per immagini ripercorre l’appassionante avventura del capolavoro leonardiano dalla fine dell’Ottocento ai nostri giorni, rispolverando pagine in parte dimenticate.
Come il bombardamento aereo dell’agosto 1943, quando un ordigno esploso al centro del Chiostro dei Morti polverizzò il portico, le celle e la biblioteca, tirando giù tutta la volta e una parete del Refettorio di Santa Maria delle Grazie e arrivando a danneggiare le lunette proprio sopra l’Ultima Cena. Nelle immagini del Museo del Cenacolo rivediamo l’opera protetta da sacchi di sabbia, le impalcature erette per prevenire il crollo della parete, il cortile ridotto a una sconvolgente spianata di macerie.
L’itinerario espositivo si snoda nei diversi ambienti del museo a pochi passi dall’opera originale, per espandersi fino al giardino. Dopo la furia distruttiva delle bombe, spazio al racconto dei restauri, imprescindibili per un’opera tanto delicata. Quello del maestro Mauro Pellicioli, che rimediò ai danni del conflitto, ma anche quelli di inizio Novecento, firmati da Luigi Cavenaghi e Oreste Silvestri. Per arrivare all’intervento ventennale di Pinin Brambilla Barcilon (1977-1999), cui dobbiamo l’aspetto attuale del dipinto. Al suo lavoro è dedicata l’opera Madame Pinin dei video artisti Masbedo, esposta per i 500 anni dalla morte del maestro al Refettorio delle Stelline, all’interno della mostra L’Ultima Cena dopo Leonardo.
A confronto con il Cenacolo, il restauro della Cappella Sistina “era stato semplice come lavare un vetro” dichiarò la restauratrice lombarda al New York Times tre anni prima di concludere l’intervento.
Invitare Leonardo a dipingere una parete, in effetti, era stato un bel rischio. Il genio non amava la tecnica dell’affresco e passò gran parte della vita a elaborare alternative tanto ingegnose quanto aleatorie. Per questo capolavori come la Battaglia d’Anghiari rimasero incompiuti o sparirono come inghiottiti dal tempo.
“L’Ultima Cena è secondo me l’opera più oscura al mondo”, ebbe a dire Madame Pinin nel 2015 in occasione dell’uscita del libro cui, ormai novantenne, affidava la sua straordinaria esperienza: Leonardo “ha avuto la straordinaria capacità di ritrarre la natura dell’uomo, ma ha usato una tecnica destinata a scomparire e ciò ha reso ancora più misterioso il suo lavoro”.
Qui entra in gioco il ruolo del restauro, destinato a entrare, di volta in volta, quasi nel DNA dell’opera. Come vediamo bene nell’allestimento al Museo del Cenacolo, ciascun intervento è legato a una precisa fase storica, definita dai progressi della tecnica ma anche da idee sempre diverse sull’arte e sulla conservazione. L’approccio di Pinin Brambilla si basava sulla prevenzione e sul controllo ambientale, da cui discendono le regole ferree che oggi definiscono la fruizione dell’opera.
Ma quando e perché il refettorio di un convento si trasformò in monumento e poi in museo? L’Ultima Cena per immagini spiega anche questo, facendo luce su una vicenda tutt’altro che lineare.
Realizzata in collaborazione con Gallerie d’Italia, Università degli Studi di Milano e i Padri Domenicani della Basilica di Santa Maria delle Grazie, la mostra ha il sostegno di Intesa Sanpaolo ed Epson, che ha digitalizzato le migliaia di foto d’epoca provenienti dagli archivi delle soprintendenze interessate.
A cura di Michela Palazzo, L’Ultima Cena per immagini. La fotografia racconta la storia del Novecento sarà visitabile al Museo del Cenacolo fino al prossimo 8 dicembre .
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