Storie di salvezza da Van Dyck a Guido Reni

L'arte oltre la peste. Cinque capolavori creati per festeggiare la rinascita

Carlo Grubacs (1801- 1878), Notturno con la Festa del Redentore, Olio su tela, 67 x 100 cm, Collezione privata
 

Francesca Grego

21/05/2020

Presenza ciclica nella storia dell’Europa, fin dall’antichità la peste si è portata via uomini e fortune. Ma, strano a dirsi, qualcosa ci ha regalato: chiese, monumenti, dipinti, che personaggi facoltosi e popoli interi hanno finanziato per ottemperare a una promessa fatta nel momento del bisogno o per festeggiare il ritorno alla normalità.
Dopo le calamità c’è sempre una rinascita, e la bellezza si prende la sua parte. Ci aspetta una fioritura delle arti dopo la sconfitta del Covid-19? In attesa di saperlo, scopriamo cinque capolavori creati nei secoli passati come ringraziamento per lo scampato pericolo. Da Nord a Sud della penisola italiana perché, come la peste, l’arte e la voglia di vivere non hanno confini.


Basilica di Santa Maria della Salute, Venezia

Venezia - La Basilica di Santa Maria della Salute
Dal 1348 la peste ha decimato la popolazione di Venezia almeno una volta al secolo. Alla quinta, violentissima ondata, il doge Nicolò Contarini fa un voto: appena l’incubo sarà cessato edificherà un magnifico tempio in onore della Vergine. La prima pietra della Santa Maria della Salute viene posata nel 1631 a Punta della Dogana. Si innalzano verso il cielo la doppia cupola di Baldassarre Longhena, la statua della Vergine Capitana del Mar e una teoria di re e profeti scolpiti che fanno della chiesa una delle massime espressioni del Barocco a Venezia. Seppur “eccitato di trasferirsi a Venetia per un’opera insigne”, Gian Lorenzo Bernini declina diplomaticamente l’invito a decorare l’altare maggiore. Al suo posto arriva un giovane artista fiammingo, Giusto de Court, che da questo momento in poi diverrà “scultor celeberrimo”. Dal marmo candido sorgerà una Madonna in volo tra le nubi con il Divin Bambino, che accoglie la supplica di Venezia genuflessa e ordina a un Angelo di scacciare la Peste con una torcia infuocata. Uno spettacolo ad alto impatto teatrale, a cui si aggiungeranno l’icona bizantina della Mesopandissa o Madonna della Salute, giunta da Candia, e più tardi il dipinto di San Marco in trono di Tiziano (1510), ex voto per la fine della peste che 60 anni dopo si porterà via anche l’anziano Maestro.


Guido Reni, Pala della Peste, 1630, Pinacoteca Nazionale di Bologna

Bologna - La Pala della Peste di Guido Reni
La peste del 1630 non tormentò solo Venezia, ma anche la Lombardia, il Piemonte, la Toscana e parte dell’Emilia-Romagna. A Bologna il cinquantacinquenne Guido Reni scampò al morbo mantenendo il primato di miglior pittore in città. Passata la tempesta, il Senato gli affidò la realizzazione di un pallione - uno stendardo - da portare in processione ogni anno come ringraziamento alla Madonna per la fine dell’epidemia. Fu così che, mescolando dolore e gratitudine, il Maestro della pittura barocca dipinse su un drappo di seta quello che è considerato uno dei suoi massimi capolavori. Nella parte superiore della Pala della Peste la Vergine è seduta su un trono di nubi e poggia i piedi sull’arcobaleno, simbolo di pacificazione, mentre la sua luce rischiara il grigio del cielo. Tra le sue braccia il Bambino benedice con in mano un ramo fiorito. Più in basso i Santi protettori di Bologna - Petronio, Procolo, Francesco d’Assisi, Floriano e Domenico - con i fondatori della Compagnia del Gesù Sant’Ignazio da Loyola e San Francesco Saverio intercedono a favore della città. Ai loro piedi Bologna è ancora avvolta da nubi plumbee, mentre dalle mura escono i carri sinistri dei monatti.


Antoon van Dyck, Santa Rosalia in gloria, intercede per la fine della peste a Palermo, 1624, Olio su tela, 73.7 x 99.7 cm, New York, Metropolitan Museum of Art

Palermo - La Santa Rosalia di Antoon Van Dyck
Nella primavera del 1624 Antoon Van Dyck è convocato a Palermo dal viceré spagnolo per realizzare un ritratto. Una nave berbera attracca nel porto e provoca lo scoppio della più potente epidemia mai vista sull’isola. Van Dyck resta bloccato in città dove, nel frattempo, vengono ritrovati i resti di Santa Rosalia. La peste sembra rallentare miracolosamente e il culto della vergine palermitana si diffonde a macchia d’olio. Il pittore dà vita a diversi quadri dedicati alla Santuzza, tra cui la Santa Rosalia incoronata dagli angeli di Palazzo Abatellis. Per ironia della sorte uno di questi, Santa Rosalia in gloria intercede per la fine della peste a Palermo, è attualmente in quarantena al Metropolitan Museum di New York. All’Oratorio del Rosario di San Domenico del capoluogo siciliano, invece, la Madonna del Rosario e Santi segna il primo atto di una guerra tra gli ordini religiosi che si contendono la devozione per Rosalia. Nasce qui l’iconografia tradizionale della fanciulla con la corona del rosario in mano, mentre ai suoi piedi un bambino si tura il naso per proteggersi dall’odore della peste, rappresentata nelle sembianze di un teschio. Durante questi mesi di lockdown Santa Rosalia è tornata per le strade di Palermo sotto forma di proiezioni luminose: sui muri della città è apparsa anche l’immagine dipinta da Van Dyck, con una mascherina chirurgica sul viso.


La Guglia in Piazza San Domenico Maggiore

Napoli - La Guglia di San Domenico Maggiore
Nel 1656 la peste raggiungeNapoli e la colpisce con furia devastante. Sollecitato dai monaci domenicani, il popolo partenopeo raccoglie i fondi necessari ad erigere un monumento a San Domenico per ringraziarlo della fine del flagello e scongiurarne il ritorno. Cosimo Fanzago, Francesco Picchiatti e Domenico Vaccaro sono gli artefici della monumentale Guglia che tuttora domina la frequentatissima Piazza San Domenico Maggiore, nel cuore del centro storico. Si dice che per costruirla Fanzago abbia sottratto blocchi di pietra antica dalle rovine di Porta Cumana, riemersa proprio durante i lavori. Su un monumento alto 26 metri gli scultori disposero sirene a doppia coda, putti, santi e motivi decorativi, ponendo in cima la statua bronzea del fondatore dei domenicani. La posizione della Guglia nel centro esatto del perimetro storico di Napoli - sul Decumano Maggiore conosciuto come Spaccanapoli e tra i vertici del “triangolo magico” che collega la Chiesa di San Domenico con la Cappella Sansevero e la Statua del dio Nilo - l’ha ammantata di un alone di mistero. Reminiscenze egizie, energie esoteriche e simbologie alchemiche sembrano concentrarsi attorno all’obelisco, che la leggenda vuole frequentato anche da uno dei fantasmi più famosi di Napoli : quello della gentildonna Maria d’Avalos, uccisa a pochi passi da qui per ordine del marito geloso, il musicista Gesualdo da Venosa.


Nicolas Poussin (1594 - 1665), La visione di Santa Francesca Romana, 1657, Olio su tela, Parigi, Museo del Louvre

Roma - La Visione di Santa Francesca Romana di Nicolas Poussin
Le pestilenze non sono mancate nemmeno a Roma, così come gli ex-voto. Alla Peste Nera del 1348, per esempio, dobbiamo i 124 scalini della Scala Santa in Aracoeli, finanziata con una colletta popolare e inaugurata in Campidoglio nientemeno che da Cola di Rienzo. In pittura è Nicolas Poussin a mettere in scena l’uscita dall’epidemia del 1656. Su commissione del cardinale Giulio Rospigliosi (futuro papa Clemente IX), il pittore francese realizza la Visione di Santa Francesca Romana: un quadro a lungo dato per disperso e acquisito dal Louvre nel 2001 dopo il ritrovamento in una collezione privata francese. La Santa, che i cittadini dell’Urbe invocavano spesso contro le calamità, qui reca le frecce spezzate del flagello e appare coperta da un velo candido al cospetto di una nobildonna inginocchiata, Anna Colonna Barberini secondo la ricostruzione dello storico Marc Fumaroli. L’Angelo che la accompagna scaccia la Peste, un essere mostruoso con serpenti al posto dei capelli, che fugge trascinando un uomo e un bambino e si lascia alle spalle una fanciulla riversa al suolo. Per ciascuna di queste figure Poussin prese a modello una statua vista a Roma: rispettivamente un gladiatore della Collezione Farnese, un Niobide allora esposto nel Giardino di Villa Medici e la Santa Cecilia di Stefano Maderno della Chiesa di Santa Cecilia in Trastevere.

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