In ricognizione archeologica alle pendici di Orte
Etruschi
25/02/2004
Superati gli antichi insediamenti di Fidenae e Crustumerium lungo la via Flaminia fatta aprire nel 220 a.C. dal censore romano Gaio Flaminio, si giunge nella cittadina viterbese di Orte. La centralità strategica di “Horta”, eretta su un poggio tufaceo che ancora domina il tracciato del Tevere e i territori della Sabina, è stata ribadita nel corso dei secoli dai romani, che ne fecero un importante municipio, da Goti, Bizantini e Longobardi con ripetuti saccheggi sulla via di Roma e, nella prima metà del IV secolo, dall’elezione a sede vescovile. Importante snodo del traffico stradale e ferroviario in età moderna, Orte si erge su un territorio ricco di materiali che la attestano come insediamento abitato, senza soluzione di continuità, dall’età del bronzo fino ai nostri giorni. Le sue pendici, marcate dal secolare corso del Tevere, sono caratterizzate da un reticolo di sentieri le cui pareti terrose sanno restituire, ad occhi esperti ed allenati, un’incredibile quantità di frammenti ceramici di epoca protostorica, databili a partire dal bronzo medio (VIII-VI secolo a.C.). Orli, fondi, pareti di olle e anse, talvolta perfino decorati, il dato archeologico fornito dai reperti che documentano l’esistenza di insediamenti autoctoni precedenti alla nascita della civiltà etrusca, sembra trovare conforto nelle fonti classiche. In un passo dell’Eneide (VII, 716) infatti, facendo riferimento a tradizioni orali latine, Virgilio scrive di un contingente giunto da Orte (“Hortinae classes”) in soccorso di Turno, il mitico re dei rutuli in guerra contro i troiani di Enea per la contesa di Lavinia, figlia del re Latino.
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