Il film evento firmato 3D Produzioni e Nexo Digital nelle sale il 22, 23 e 24 ottobre
"Klimt & Schiele. Eros e Psiche" – La nostra recensione
Egon Schiele, Autoritratto con spalla nuda sollevata. Foto: © M. Thumberger. Courtesy Leopold Museum, Vienna
Samantha De Martin
18/10/2018
Un vivace spartito dove l’arte incontra la musica, una danza rivoluzionaria desiderosa di tradurre ogni aspetto della realtà in un’opera d’arte totale.
Era questa la Vienna nella quale vissero Gustav Klimt ed Egon Schiele, divisa tra gli ultimi residui dell’immobilismo asburgico e della severità puritana, e il nascente fervore artistico che trovò nell’erotismo la sua più alta ma anche dissacrante cifra stilistica. A tradurre in immagini questo prezioso universo disegnato dai due illustri artisti della Secessione, permeato dagli studi di Freud sulla psiche che offrono nuova linfa all’arte, è il Fregio di Beethoven di Gustav Klimt, ispirato alla Nona sinfonia. In questo capolavoro tridimensionale tra geni sospesi, Gorgoni terrificanti e le arti che portano l’uomo nel regno dell’ideale, il cavaliere dorato rappresentato dall’artista ha il volto del compositore Gustav Mahler.
In quest’opera straordinaria sviluppata su tre pareti e conservata nel Palazzo della Secessione di Vienna, è racchiusa anche tutta l’eredità che Klimt ha lasciato al suo pupillo Schiele: la capacità dell’arte di trionfare sul male e sulla morte.
Nel valzer in cui si muove la narrazione cinematografica è forse questa l’immagine più rappresentativa intorno alla quale ruota l’essenza di Klimt & Schiele. Eros e Psiche, ultimo documentario firmato 3D Produzioni e Nexo Digital, con la partecipazione straordinaria di Lorenzo Richelmy, e che celebra il centanario della morte dei due artisti. Il 22, 23 e 24 Ottobre sarà in 350 sale per guidare lo spettatore tra i capolavori dei musei più rappresentativi di Vienna, dall’Albertina al Belvedere, dal Kunsthistorisches Museum al Sigmund Freud Museum, ripercorrendo quel fertile periodo artistico, letterario, musicale in cui circolano nuove idee, si scoprono con Freud i moti della psiche e le donne cominciano a liberarsi dei corsetti per rivendicare la loro indipendenza. Sono gli anni nei quali la sessualità femminile inizia timidamente a sganciarsi dai confini dello sguardo maschile che l’aveva tenuta prigioniera per secoli, come si evince dalla poesia Notte trasfigurata dell’allora 25enne Arnold Schönberg, dove il ritratto in musica della nuova donna è racchiuso nella confessione di un tradimento.
La recita della buona società, fatta di baci rubati alle spalle di mogli e mariti, raggiri e scommesse celebra un nuovo ruolo della donna che emerge in tutta la sua ammaliante, lasciva femminilità. Questa nuova identità affiora dallo sguardo di Giuditta, ma anche dall'intraprendenza di personaggi come Hermine Hug-Hellmuth, una delle prime donne ad essere ammessa alla Società Psicoanalitica di Vienna, e ancora di Berta Zuckerkandl, il cui salotto è un crocevia d’artisti, o anche di Dora Kallmus, la più famosa fotografa di Vienna.
Sono gli anni in cui dietro le facciate puritane di una Vienna ricoperta d’oro, l’Austria cede ai colpi scandalosi di una società che cambia. In questo scrigno esplosivo dove, nei salotti e nei caffè, scienza e musica dialogano con l’arte e la psicanalisi di Freud svela all’uomo moderno la propria irrazionalità, gli artisti rompono con la tradizione uccidendo l’arte dei loro padri. In questo contesto esplode, nel 1897, la Secessione, movimento di avanguardia che per primo ha interpretato il malessere e l’inquietudine del suo tempo cominciando a raccontare la storia dell’uomo del Novecento. Un uomo che tenta di rinascere da quelle ceneri depositate dalla guerra e dall’influenza spagnola che aveva ucciso il 28enne Egon Schiele, da quel conflitto che stava chiudendo un’epoca, soffocando, nelle trincee, la speranza nella scienza e nel progresso accesa dal secolo dei lumi. Ma è anche un uomo che per la prima volta legge dentro se stesso.
Pittura e autoanalisi si incrociano ad esempio in Schiele, di fronte alla grande specchiera regalatagli dalla madre, dove l’artista studia se stesso. Ritorna qui l'immgine dello specchio, come nel dipinto Nuda veritas di Klimt, che assurge a un intimo riflesso dell’anima, la stessa che partorirà, nel caso di Schiele, 170 autoritratti attraverso i quali l’artista si copia e si trasforma.
Klimt e Schiele, protagonisti del film scritto da Arianna Marelli e diretto da Michele Mally, ci portano dritti in questo nuovo mondo fatto di erotismo e solitudine, inquietudine e disordine. Oltre ad essere un interessante documentario sui due più illustri rappresentanti della Secessione, il film è un attento e intenso viaggio nella società della Vienna del tempo dove prende forma l’identità dell’uomo del Novecento.
Nella seconda parte del documentario, i due artisti scompaiono temporaneamente per lasciare maggiore spazio alla società viennese con la sua musica che risuona nelle piazze e nei caffè, e con il ricordo dei giganti del passato, Mozart, Beethoven, Schubert e Brahms.
L’intero racconto si snoda attraverso una polifonia di voci: dal Nobel per la medicina e neuroscienziato Eric Kandel - che svela le connessioni tra inconscio, mente e creatività - agli storici dell’arte Alfred Weidinger e Jane Kallir che racconteranno Klimt, Schiele e gli altri, spiegando l'attualità dei loro quadri.
A tenere insieme i fili della narrazione, come un potente collante, la musica, tutta viennese: da Mozart a Schubert, dai valzer a Mahler, fino ai giorni nostri. E quando questa musica rischia di essere spenta, con Mahler costretto a lasciare Vienna, nel dicembre del 1907 a causa degli attacchi antisemiti lanciati contro di lui sulla stampa, l’esclamazione di Klimt "Tutto è finito" è l'urlo disperato di un’intera generazione di artisti moderni che intravedono i segni della fine. Ma è una fine soltanto apparente. Tra noi c’è ancora l’eco di quel mondo recuperato attraverso la suggestione di un accordo, di un ballo, di un abbraccio.
Perché se nell’attuale società post moderna, fatta di nuove libertà e diritti legali, tutto è possibile, è anche grazie a quell’Europa di fine Ottocento tanto sconvolta e rivoluzionata da artisti e musicisti che come Klimt, Schiele, Strauss scandalizzarono il mondo vestendolo, tuttavia, di una nuova luce.
Forse è anche per questo che la fisarmonica di Christian Bakanic, alla fine del documentario, continua a suonare. Come a ricordare che anche nella Vienna apparentemente tramontata con la caduta degli dei della Secessione, l’oro antico della danza, della musica, dell’arte, brilla sempre, ancora oggi, a distanza di un secolo.
Leggi anche:
• Michele Mally: il mio Klimt & Schiele, una storia intensa e straziante che racconta l'uomo del Novecento
• Storia di un celebre bacio: il capolavoro di Klimt visto da vicino
• Egon Schiele: 128 anni e non li dimostra: parola di Jane Kallir
Era questa la Vienna nella quale vissero Gustav Klimt ed Egon Schiele, divisa tra gli ultimi residui dell’immobilismo asburgico e della severità puritana, e il nascente fervore artistico che trovò nell’erotismo la sua più alta ma anche dissacrante cifra stilistica. A tradurre in immagini questo prezioso universo disegnato dai due illustri artisti della Secessione, permeato dagli studi di Freud sulla psiche che offrono nuova linfa all’arte, è il Fregio di Beethoven di Gustav Klimt, ispirato alla Nona sinfonia. In questo capolavoro tridimensionale tra geni sospesi, Gorgoni terrificanti e le arti che portano l’uomo nel regno dell’ideale, il cavaliere dorato rappresentato dall’artista ha il volto del compositore Gustav Mahler.
In quest’opera straordinaria sviluppata su tre pareti e conservata nel Palazzo della Secessione di Vienna, è racchiusa anche tutta l’eredità che Klimt ha lasciato al suo pupillo Schiele: la capacità dell’arte di trionfare sul male e sulla morte.
Nel valzer in cui si muove la narrazione cinematografica è forse questa l’immagine più rappresentativa intorno alla quale ruota l’essenza di Klimt & Schiele. Eros e Psiche, ultimo documentario firmato 3D Produzioni e Nexo Digital, con la partecipazione straordinaria di Lorenzo Richelmy, e che celebra il centanario della morte dei due artisti. Il 22, 23 e 24 Ottobre sarà in 350 sale per guidare lo spettatore tra i capolavori dei musei più rappresentativi di Vienna, dall’Albertina al Belvedere, dal Kunsthistorisches Museum al Sigmund Freud Museum, ripercorrendo quel fertile periodo artistico, letterario, musicale in cui circolano nuove idee, si scoprono con Freud i moti della psiche e le donne cominciano a liberarsi dei corsetti per rivendicare la loro indipendenza. Sono gli anni nei quali la sessualità femminile inizia timidamente a sganciarsi dai confini dello sguardo maschile che l’aveva tenuta prigioniera per secoli, come si evince dalla poesia Notte trasfigurata dell’allora 25enne Arnold Schönberg, dove il ritratto in musica della nuova donna è racchiuso nella confessione di un tradimento.
La recita della buona società, fatta di baci rubati alle spalle di mogli e mariti, raggiri e scommesse celebra un nuovo ruolo della donna che emerge in tutta la sua ammaliante, lasciva femminilità. Questa nuova identità affiora dallo sguardo di Giuditta, ma anche dall'intraprendenza di personaggi come Hermine Hug-Hellmuth, una delle prime donne ad essere ammessa alla Società Psicoanalitica di Vienna, e ancora di Berta Zuckerkandl, il cui salotto è un crocevia d’artisti, o anche di Dora Kallmus, la più famosa fotografa di Vienna.
Sono gli anni in cui dietro le facciate puritane di una Vienna ricoperta d’oro, l’Austria cede ai colpi scandalosi di una società che cambia. In questo scrigno esplosivo dove, nei salotti e nei caffè, scienza e musica dialogano con l’arte e la psicanalisi di Freud svela all’uomo moderno la propria irrazionalità, gli artisti rompono con la tradizione uccidendo l’arte dei loro padri. In questo contesto esplode, nel 1897, la Secessione, movimento di avanguardia che per primo ha interpretato il malessere e l’inquietudine del suo tempo cominciando a raccontare la storia dell’uomo del Novecento. Un uomo che tenta di rinascere da quelle ceneri depositate dalla guerra e dall’influenza spagnola che aveva ucciso il 28enne Egon Schiele, da quel conflitto che stava chiudendo un’epoca, soffocando, nelle trincee, la speranza nella scienza e nel progresso accesa dal secolo dei lumi. Ma è anche un uomo che per la prima volta legge dentro se stesso.
Pittura e autoanalisi si incrociano ad esempio in Schiele, di fronte alla grande specchiera regalatagli dalla madre, dove l’artista studia se stesso. Ritorna qui l'immgine dello specchio, come nel dipinto Nuda veritas di Klimt, che assurge a un intimo riflesso dell’anima, la stessa che partorirà, nel caso di Schiele, 170 autoritratti attraverso i quali l’artista si copia e si trasforma.
Klimt e Schiele, protagonisti del film scritto da Arianna Marelli e diretto da Michele Mally, ci portano dritti in questo nuovo mondo fatto di erotismo e solitudine, inquietudine e disordine. Oltre ad essere un interessante documentario sui due più illustri rappresentanti della Secessione, il film è un attento e intenso viaggio nella società della Vienna del tempo dove prende forma l’identità dell’uomo del Novecento.
Nella seconda parte del documentario, i due artisti scompaiono temporaneamente per lasciare maggiore spazio alla società viennese con la sua musica che risuona nelle piazze e nei caffè, e con il ricordo dei giganti del passato, Mozart, Beethoven, Schubert e Brahms.
L’intero racconto si snoda attraverso una polifonia di voci: dal Nobel per la medicina e neuroscienziato Eric Kandel - che svela le connessioni tra inconscio, mente e creatività - agli storici dell’arte Alfred Weidinger e Jane Kallir che racconteranno Klimt, Schiele e gli altri, spiegando l'attualità dei loro quadri.
A tenere insieme i fili della narrazione, come un potente collante, la musica, tutta viennese: da Mozart a Schubert, dai valzer a Mahler, fino ai giorni nostri. E quando questa musica rischia di essere spenta, con Mahler costretto a lasciare Vienna, nel dicembre del 1907 a causa degli attacchi antisemiti lanciati contro di lui sulla stampa, l’esclamazione di Klimt "Tutto è finito" è l'urlo disperato di un’intera generazione di artisti moderni che intravedono i segni della fine. Ma è una fine soltanto apparente. Tra noi c’è ancora l’eco di quel mondo recuperato attraverso la suggestione di un accordo, di un ballo, di un abbraccio.
Perché se nell’attuale società post moderna, fatta di nuove libertà e diritti legali, tutto è possibile, è anche grazie a quell’Europa di fine Ottocento tanto sconvolta e rivoluzionata da artisti e musicisti che come Klimt, Schiele, Strauss scandalizzarono il mondo vestendolo, tuttavia, di una nuova luce.
Forse è anche per questo che la fisarmonica di Christian Bakanic, alla fine del documentario, continua a suonare. Come a ricordare che anche nella Vienna apparentemente tramontata con la caduta degli dei della Secessione, l’oro antico della danza, della musica, dell’arte, brilla sempre, ancora oggi, a distanza di un secolo.
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